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Benvenuti in PARLIAMO DI SALUTE

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Sarà affrontato anche il campo delle medicine alternative e della psicoanalisi.



Pubblicheremo inoltre interessanti articoli di storia della medicina.

30 dic 2010




Un'occhiata al cuore
prima di salire sugli sci

Soprattutto per chi ha più di 35 anni è opportuno un elettrocardiogramma all'inizio della stagione sulle piste


(Ansa)
MILANO - Forse qualcuno l'ha già prenotata, tanti la stanno sognando, aspettando impazienti: in vista delle vacanze di fine anno è tempo di pensare alla settimana bianca. Non solo all'albergo, però: prima di partire è meglio assicurarsi di essere in forma, cominciando ad allenarsi per rimettere ai piedi sci o snowboard. Altrimenti c'è il rischio di andare a ingrossare la casistica di Gert Klug, un medico dell’Università di Innsbruck che ha studiato 1.500 turisti in settimana bianca sulle Alpi tirolesi, arrivati nel suo ospedale fra il 2006 e il 2010 dopo aver avuto problemi cardiaci sulle piste. In 170 avevano avuto un vero e proprio infarto: non moltissimi, considerando i milioni di sciatori che ogni anno trascorrono le vacanze sulla neve in quelle zone, ma i dati raccolti da Klug sono parecchio interessanti perché dipingono un ritratto assai preciso del turista a rischio cuore sulla neve.

FATTORI DI RISCHIO - In oltre la metà dei casi, infatti, chi aveva avuto un infarto in settimana bianca era sedentario per quasi tutto il resto dell'anno; il 70% dei pazienti, inoltre, aveva almeno un paio di fattori di rischio cardiovascolare, dal fumo alla pressione alta, dal colesterolo in eccesso alla glicemia sballata. La scarsa preparazione fisica, unita a un sistema cardiovascolare non proprio perfetto, è il mix fatale assieme all'altitudine: in quota si riduce la disponibilità di ossigeno per cuore e vasi, che con il freddo "lavorano" peggio. Così si può andare incontro a un infarto, soprattutto all’inizio della vacanza, quando bisogna ancora adattarsi al nuovo ambiente, ma si è già iniziato a sciare. Non a caso il dottor Klug ha dimostrato che il 56% degli infarti si verifica nel primo o secondo giorno dall’arrivo, dopo le prime discese sulle piste. Magari alla sera, rientrati in hotel: l'infarto avviene mente si scia solo nel 40% dei casi. «Lo sci alpino è un'attività anaerobica, che impone grossi sforzi di breve durata; anche il cuore è sotto stress, basti pensare al batticuore dopo una discesa - spiega Alessandro Biffi, presidente della Società italiana di cardiologia dello sport -. Difficilmente chi prenota la settimana bianca riflette sui possibili rischi per la salute; invece chi ha più di 35-40 anni dovrebbe sottoporsi almeno all'elettrocardiogramma, a riposo e sotto sforzo. Lo sci va bene per tutti, anche chi ha avuto problemi di cuore può farlo, ma con le dovute cautele».

RACCOMANDAZIONI - «Chi ha avuto un infarto può fare la settimana bianca, purché si sottoponga a controlli accurati prima della partenza e non salga troppo in quota: non bisognerebbe oltrepassare i 2mila metri, l'ideale è stare attorno ai 1.500 metri - conferma Marino Scherillo, presidente dell'Associazione nazionale medici cardiologi ospedalieri -. Le stesse raccomandazioni valgono per gli ipertesi, che in montagna sono più a rischio perché con l'altitudine la pressione tende a salire: prima di partire è bene rivedere la terapia, accertarsi che l'ipertensione sia sotto controllo e stabilire con il medico il numero di ore "permesse" sugli sci». Una visita medica preventiva sarebbe, tra l'altro, molto utile non solo per il cuore: «Con un buon anticipo rispetto alla partenza è opportuno fare il punto sul proprio grado di preparazione atletica, per pensare a un programma di allenamento presciistico adatto. Chi arriva sulle piste dopo un anno di sedentarietà rischia grosso anche per le articolazioni: gli incidenti sulle piste spesso dipendono proprio dalla mancanza di allenamento» conclude Biffi.



Carlo Sartorio

29 dic 2010


FDA SOSPENDE TRIAL SU ANTIDOLORIFICO JOHNSON&JOHNSON


Boston - Su richiesta della Food and Drug Administration, la casa farmaceutica Johnson & Johnson ha sospeso gli studi su un antidolorifico sperimentale, a causa del rischio di effetti collaterali sulle ossa. L'agenzia di controllo statunitense teme che sia il farmaco in questione sia altri medicinali appartenenti alla classe degli inibitori del fattore di crescita dei nervi possano determinare l'insorgere di una condizione in cui si rende necessario il ricorso all'artroplastica totale.

Il virus Xmrv non è legato alla sindrome da stanchezza cronica

(AGI) - Londra, 29 dic. - Il virus Xmrv non e' legato alla sindrome da fatica cronica come si credeva in precedenza. Lo ha dimostrato uno studio pubblicato dalla rivista Retrovirology, secondo cui l'esperimento del 2009 che invece aveva confermato la tesi e' stato minato da una contaminazione accidentale. La ricerca di due anni fa aveva suggerito la relazione dopo aver trovato tracce del virus in alcuni campioni di pazienti affetti dalla sindrome e in altri con un tumore alla prostata. Secondo il nuovo studio, invece, ralizzato dalla University College di Londra e dall'Universita' di Oxford, l'Xmrv proveniva da frammenti di Dna di topo che avevano contaminato le colture cellulari usate nell'esperimento. "La nostra conclusione e' che il virus non causa la malattia", hanno scritto gli autori, secondo cui comunque esiste la possibilita' che la causa sia un virus diverso dall'Xmrv. I ricercatori sono giunti alla conclusione comparando il Dna dei virus che contaminano le colture cellulari e di quelli trovati nei pazienti, verificando che sono quasi identici, mentre invece nei secondi avrebbero dovuto mostrare una evoluzione dovuta al passaggio nell'uomo.
Inoltre l'esperimento ha dimostrato che la principale linea di cellule utilizzata per lo studio del tumore alla prostata presenta una forte contaminazione. "Se la causa della patologia fosse stata il virus - hanno aggiunto gli esperti - campioni di pazienti da ogni parte del mondo avrebbero dovuto mostrare virus geneticamente diversi".

28 dic 2010




Da uno studio su criminali finlandesi svelato il segreto dell'impulsività violenta
MILANO
Scatta nei maschi sotto l’influsso dell’alcol l’interruttore genetico del raptus identificato da un team internazionale guidato dai National Institutes of Health (Nih) americani, che ha “setacciato” il Dna di alcuni cittadini finlandesi colpevoli di crimini violenti non premeditati. La ricerca è pubblicata su Nature e anche se, a detta degli stessi autori, la scoperta non basta da sola a spiegare tutta la gamma dei possibili comportamenti dettati da impulsi incontrollati, aiuta comunque a far luce sulle azioni violente spesso commesse da chi ha esagerato con l’alcol, aprendo la strada all’eventuale definizione di strategie diagnostiche e terapeutiche. La mutazione nel mirino riguarda il gene HTR2B, che regola la produzione di un recettore cerebrale della serotonina.

«L’impulsività è un fattore coinvolto in numerosi comportamenti patologici, dall’aggressività verso gli altri, al suicidio, alla dipendenza», sottolinea David Goldman, coordinatore dell’equipe di ricerca, a capo del Laboratorio di neurogenetica dell’Istituto nazionale sull’alcolismo e l’abuso di alcol degli Nih. Ma l’impulsività, precisa l’esperto, «è anche un tratto caratteriale vantaggioso in tutti i casi in cui bisogna prendere una decisione rapida, o quando può convenire assumersi un rischio».

In collaborazione con scienziati finlandesi e francesi, Goldman e colleghi hanno studiato un gruppo di finlandesi autori di crimini violenti commessi apparentemente “a ciel sereno”. La scelta è caduta sulla Finlandia per ragioni di semplicità genetica: poiché gli attuali abitanti del Paese scandinavo discendono da un numero relativamente piccolo di antenati, le probabilità di individuare i geni che influenzano i comportamenti impulsivi sarebbero state superiori.

I ricercatori hanno mappato il Dna dei finlandesi autori di raptus criminali, confrontandolo con quello di altrettanti connazionali senza problemi di impulsività grave (gruppo controllo). Gli scienziati hanno così osservato che l’unico elemento predittivo di un comportamento patologicamente impulsivo era la variante di un gene, l’HTR2B, che codifica un recettore della serotonina localizzato nel cervello. La serotonina, ricordano infatti gli studiosi, è un neurotrasmettitore che influenza numerosi comportamenti, compresa l’impulsività.

«La cosa interessante - nota Goldman - è che abbiamo scoperto anche come essere portatori di questa variante genetica non sia sufficiente per agire con impulsività violenta. I possessori di questa mutazione a rischio raptus che avevano commesso un atto di questo genere erano maschi. E tutti erano diventati violenti soltanto sotto i fumi dell’alcol, sostanza che già di per sé contribuisce a sciogliere i freni inibitori». Per verificare la scoperta gli studiosi hanno quindi condotto un esperimento sui topi, confermando che, quando l’equivalente murino del gene umano HTR2B veniva eliminato o “spento”, gli animali diventavano più impulsivi. Test sull’eventuale influenza dell’alcol anche nei topi sono ancora in corso.

Nonostante la variante genetica identificata sia «relativamente diffusa in Finlandia», Goldman e colleghi tengono a puntualizzare che l’impulsività dipende da un mix di fattori genici e ambientali. Ulteriori studi sono dunque necessari per chiarire meglio l’origine del raptus.
La Stampa Scienze

27 dic 2010



INFERTILITA’ E FUMO (PURTROPPO)VANNO D’ACCORDO
Più lunghi i tempi di concepimento (oltre un anno). Anche lesioni tubariche da spirale,l’aborto o infezioni sessuali sono concrete cause


LUGANO - L’abitudine al fumo è sempre più una delle cause dell’infertilità femminile. Secondo uno studio svizzero (ProCrea), le fumatrici presentano in media un tasso d’infertilità più alto,una fecondità ridotta ed impiegano più tempo a concepire (in genere oltre un anno). Il fumo è infatti dannoso per le ovaie. Anche l’uso di droghe e l’abuso di alcool concorrono all’infertilità della donna.
Fra le altre motivazioni viene in particolare considerata l’endometriosi, per la quale i tempi lunghi di diagnosi consentono un intervento spesso tardivo. Accanto poi alla questione età sono da ricordare le lesioni tubariche ( un caso su tre), legate alla presenza della spirale o ad aborto oppure anche inseguito ad un rapporto sessuale infetto.
L’età media nella decisione di avere un figlio supera i trent’anni d’età. Se dopo i 25,il patrimonio ovarico è intatto, dopo i trenta tende ad abbassarsi, a calre ulteriormente dopo i 35 ed a scomparire passati i 40. I successi si assestano intorno al 40% fino a 36 anni, mentre calano al 29% fino ai 39 anni e crollano dopop i quaranta.
Circa infine gli studi genetici si può dire che oggi aiutino a determinare con maggiore precisione le metodologie d’intervento nella procreazione assistita, arrivando a stabilire per ogni paziente un trattamento mirato fin dalla stimolazione ormonale.

GIAN UGO BERTI
(riproduzione vietata)

25 dic 2010


Il matrimonio fa male a linea, single e divorziati in forma

ROMA - Il matrimonio fa male al fisico, infatti i single o i divorziati, cioé coloro che, quindi, sono tornati single, sono più in forma dei coniugati. E' quanto dimostra uno studio su quasi 9000 adulti (6900 maschi e 1971 femmine) pubblicato sulla rivista American Journal of Epidemiology dall'equipe di Francisco Ortega dell'istituto Karolinska di Stoccolma.

Secondo quanto riferito online dalla Reuters che riporta questa ricerca, i suoi risultati indicano per la prima volta chiaramente che le grandi transizioni nella vita di una persona (eventi come il matrimonio o il divorzio) hanno un impatto notevole sugli stili di vita, quindi anche sul proprio fisico e sullo stato di salute. Gli esperti hanno monitorato (con vari test fisici e parametri di salute, e 'interrogandoli' periodicamente sui loro stili di vita) la salute e la forma fisica del loro campione nell'arco di tre anni, nel corso dei quali parte del campione si é sposato, o ha divorziato.

E' emerso che le donne che sono rimaste single durante tutto lo studio sono in forma fisica migliore rispetto alle loro coetanee maritate e che anzi le single nel corso dei tre anni hanno migliorato la propria forma fisica.

Gli uomini, invece, se sposati tendono ad andare incontro al declino della propria forma fisica. I single si 'salvano' in parte dal declino. Coloro che divorziano migliorano la forma fisica, mentre si riscontra un declino del corpo tra i maschi che si risposano nel corso dello studio. Lo studio dimostra quindi che fattori sociali hanno un impatto notevole sulla propria forma fisica e che lo stato coniugale di una persona è particolarmente importante.

Insomma se il matrimonio è in vista, meglio iscriversi in palestra, e non solo per entrare nell'abito da indossare il giorno delle nozze, ma anche per restare in forma negli anni a venire.

23 dic 2010




SUPERLAVORO PER MEDICI DI FAMIGLIA:30 VISITE AL GIORNO
Indagine della Società Italiana di medicina Generale. Crescono visite per ipertensione, disturbi del metabolismo dei grassi e diabete

FIRENZE – Aumenta il lavoro per i medici di medicina generale: oggi, mediamente, ciascuno esegue quotidianamente 30 visite al giorno. Una crescita che da 6,6 contatti per anno nel 2003 è passata a 7,1 dello scorso anno. Un aumento più sensibile al Sud e nelle Isole.
Vanno più spesso le donne, ma non oltre i 75 anni quando,a prevalere sono gli uomini. Su 100 visite,23 terminano con la richiesta accertamento diagnostico – strumentale, 14 con richiesta di visita specialistica e 72 con una prescrizione farmaceutica. E’ la fotografia scattata dal VI° rapporto Health Search della SIMG,la Società Italiana di medicina Generale.
Fra le motivazioni, la più frequente è l’ipertensione (15%), diabete mellito (5%), disordini del metabolismo dei grassi (3%). In maggiore crescita è il diabete, poi la cardiopatia ischemica cronica e l’infarto cardiaco acuto. Sostanziale continuità,invece, nella prescrizione farmacologica.
Sono in costante lievitazione,infine, l’ictus ischemico,la bronchite cronica ostruttiva,la depressione,l’artrosi,la demenza,l’ipertrofia prostatica benigna e la malattia da reflusso gastro-esofageo. Se il diabete mellito è in crescita soprattutto nei maschi,l’asma fa invece registrare un aumento maggiore nelle donne.
In tema di costi, un paziente assistito dal medico di famiglia costa mediamente in un anno 382 euro (un ricovero ospedaliero ordinario è invece pari a poco più di 3 mila euro per le donne e 3500 per l’uomo. La spesa più alta nella fascia fra 75 ed 84 anni,oltre gli 85 anni decisamente più bassa.

Gian Ugo Berti
Riproduzione vietata

22 dic 2010

A Worldwide Day's Worth of Food

A Worldwide Day's Worth of Food


25,26,27 Dicembre inducono in tentazione
TANTE ABBUFFATE, QUALCHE RISCHIO
Il menù tipo – ospedale per fare qualche conto di calorie. Poi ognuno decida per sè


Per la vigilia di Natale avete già in programma il classico cenone in famiglia, con le tradizionali, numerose portate. Per il pranzo del 25, naturalmente vi aspetta la suocera. Non si può non mancare. Nessuno vuol rimanere indietro e mamma attende in silenzio, ma vi vuole assolutamente per cena, vogliosa di non essere da meno. Un amico che insiste per ricambiare la cortesia dello scorso anno e così tutti da lui per Santo Stefano. Senza dimenticare di finire gli avanzi (si fa per dire), a cena del 26. Per chi avesse ancora un po’ di posto, c’è poi da passare l’intera domenica del 27.
Anche solo a scorrere questo calendario d’impegni gastronomici, si avverte un senso di sazietà. Ma a giustificare eventuali conseguenze, ve la prenderete con il calendario che ha spudoratamente messo di fila tre festività.
Dare consigli non è facile per chi sia abituato a certe maratone. Nemmeno noi vogliamo farlo. Diciamo però che la quantità di calorie medie che necessitano ad una persona,ogni giorno,che non svolga lavori pesanti è di duemila 200. Non è un calcolo matematico, è solo una linea d’indirizzo.
Lo sa bene chi prepara il menu’ per persone ricoverate in ospedale. Ci riferiamo a chi possa seguire un’alimentazione normale. In pratica, nell’ambito di una scelta, sempre sui livelli sopraindicati.
Il Servizio di Dietetica degli Spedali Riuniti, come spiega la coordinatrice, Lucia Coppini, in particolare prevede: per il pranzo del 25 lasagne al forno o pennette al salmone. Arista in crosta di pane oppure calamari ripieni. Patate arrosto o pisellini al prosciutto. Dolci natalizi e spumante. Per la sera,invece, risotto al limone o tortellini in brodo, bollito misto in salsa verde o verdesca all’aceto balsamico. Asparagi al limone o tris d’insalate. Ananas.
Passiamo a Santo Stefano. Agnolotti al ragu’ oppure bavette ai carciofi. Roastbeef o cotolette d’agnello al forno. Crocchette di patate o sformato di spinaci. Dolci natalizi. Infine per cena,stracciatella o cappelletti in brodo. Brasato al chianti o platesse alla mugnaia. Gratin di finocchi o verdure miste grigliate. Macedonia di frutta fresca.
La scelta di uno dei due menù proposti (prenotabile il giorno precedente) è calcolato su 2 mila duecento calorie. Nessuno nega che si possa andare un po’ più su, a casa vostra oppure che Natale venga solo una volta l’anno. Unicamente lo scopo è informare per orientare. Ciascuno tenga conto del proprio stato di salute e scelga in completa autonomia ed allegria.

GIAN UGO BERTI

21 dic 2010



Married Men Behave Better

Men who are married engage in less aggressive and illegal behavior than those who aren't, according to a new study.

The trend seems to be partly because of the bonding effect of marriage itself and partly because less antisocial men tend to be the ones walking down the aisle in the first place, the research shows.

Previous links have been drawn between marriage and the reduction in bad behavior. But it wasn't known why.

Researchers from Michigan State University found that men who are more antisocial -- defined as being aggressive, having a lack of remorse, being irresponsible and dismissing the rights of others -- are less likely to tie the knot, while those who are less antisocial are more likely to get married.

"Antisocial personality disorder is often misunderstood as being asocial," lead author S. Alexandra Burt, an associate professor of psychology, told AOL Health. "It's a pervasive pattern of disregarding and violating the rights and safety of others."

But being married also appears to further lessen antisocial tendencies, the researchers found.

"If you're bonded to other people [like a spouse], maybe you're going to be less likely to disregard their rights," Burt said.

University of Pennsylvania psychiatrist Dr. Christos Ballas called that part of the study "silly."

"Of course he is engaged in less antisocial behaviors -- he doesn't have the opportunity to be involved in it," Ballas told AOL Health. "Can he go out every weekend and get drunk? Nope, but he doesn't not because he's a better person, but because the institution of marriage requires him to stay home more."

The findings, published online and in the December issue of the Archives of General Psychiatry, relied on subjects who were twins to rule out the possibility that different genetic makeups were behind the trend.

Researchers analyzed data from 289 pairs of male twins four different times, when they were 17, 20, 24 and 29 years old.

More on Marriage
Almost 40 Percent of Americans Say Marriage Is Obsolete How Your Income Affects Your Marriage Chances Those who were less antisocial when they were 17 and 20 were more likely to have gotten married by the time they turned 29.

But once the men in the study had wed, their rates of antisocial behavior dropped even more.

The team looked at pairs of identical twins, one who had gotten married and one who had stayed single, finding that the married twin usually seemed to exhibit less antisocial behavior than the unmarried twin did.

Burt theorizes that with marriage comes more bonding with one's spouse and less time spent with antisocial friends who are likely to get into trouble themselves.

"There is a reduction in the amount of time spent with deviant peers," she told AOL Health. "Instead of hanging out with their friends all the time, they're with their wife."

The positive effect of being a husband also appeared to be stronger in good marriages than in bad ones, the researchers said.

"The stronger the marriage and the better the marriage, the lower the levels of antisocial behavior," Burt explained. "But there might be a chicken-and-egg thing going on: Is it easier to have better marital quality with someone who is nicer to begin with? We're not really sure."

Men are much more prone to being antisocial than women, she said, which is why women weren't included in the study.

"The number of women I would expect to be engaging in antisocial behavior is very, very small," said Burt.

Ultimately, the authors concluded that the relationship between marriage and good behavior is fairly complex.

"Our results indicate that the reduced rate of antisocial behavior in married men is more complicated than we previously thought," Burt said in a statement. "Marriage is generally good for men, at least in terms of reducing antisocial behavior, but the data also indicate that it's not random who enters into the state of marriage."

But does the research really prove what it claims? Ballas isn't so sure.

"The study doesn't show that married men engage in less antisocial behaviors. It shows that when you're married, you can kiss all those fun times good-bye," he said. "That would be a joke, by the way; my wife may read this."
from Time


Vincenzo Chiarugi (1759-1820)

È stato uno dei più importanti medici italiani dell'età moderna, in particolare per le innovazioni realizzate nella gestione degli ospedali per le malattie mentali.
Nato ad Empoli, la sua vita trascorse quasi per intero in Toscana. Si laureò a Pisa a soli vent'anni. Svolse il praticantato necessario all'abilitazione presso l'ospedale di Santa Maria Nuova a Firenze, dove ebbe inizio la sua carriera di medico. Nel 1785 fu distaccato nel reparto di malattie psichiatriche, cioè il vecchio ospedale di Santa Dorotea che era stato accorpato al Santa Maria Nuova.
Nel 1788 ebbe l'incaricò di direttore dell'ospedale Bonifazio, dove ebbe finalmente la possibilità di mettere in atto un vero e proprio programma clinico per i malati mentali. Grazie anche alla "legge sui pazzi" promulgata nel Granducato toscano nel 1774, le istituzioni per le malattie mentali non avevano più solamente scopo di reclusione, in condizioni tali da causare un'altissima mortalità. In una prospettiva libera da superstizioni, l'alienato era finalmente considerato un malato bisognoso di terapie. Il regolamento che Chiarugi impose all'ospedale Bonifazio era basato essenzialmente sul rispetto della persona ed escludeva quindi le punizioni corporali, gli strumenti di contenzione (quando non strettamente necessari), lo sfruttamento lavorativo dei degenti. Anche la struttura, con ampi spazi verdi fruibili dai pazienti, era largamente innovativa. Pur riprendendo spunti già presenti nella clinica psichiatrica europea, Chiarugi rappresenta probabilmente il primo tentativo sistematico di applicare la nuova visione terapeutica alla malattia mentale.
Nel suo trattato Della pazzia in genere e in ispecie. Trattato medico-analitico con una centuria di osservazioni, pubblicato nel 1793-94 in tre volumi, Chiarugi espone compiutamente la sua classificazione clinico-osservativa della malattia mentale, distinguendola chiaramente dalle forme di alienazione temporanee dovute ad altre patologie note. La sua nosologia ha avuto quindi il merito di dare una sistemazione sperimentale a questa classe di malattie, solamente da poco considerata passibile di analisi scientifica. Il quadro teorico cui Chiarugi faceva riferimento era lo iatromeccanicismo di Brown e Haller, anche se l'idea della presenza di un'anima spirituale deputata alle funzioni intellettuali ostacolò l'approccio medico alla pazzia. Il suo nome è associato spesso a quello del francese Philippe Pinel, che realizzò analoghe riforme nei manicomi francesi. Rispetto a Chiarugi, in Pinel è però presente una solida base fisiologica e anatomica del tutto assente nel toscano.
Dal momento che il Bonifazio era non solo per malati mentali ma in generale per gli "incurabili", Chiarugi fece numerose osservazioni cliniche anche su altre affezioni, in particolare sulle patologie dermatologiche derivanti da malattie veneree e sulla pellagra che affliggeva le campagne toscane.
Seppur poco noto in Europa, in Italia godette di un certo prestigio. Nelle istituzioni mediche toscane ricoprì numerosi incarichi nelle, e fu membro di molte Accademie scientifiche.

Opere principali:
Lettere sopra un caso di mal venereo, 1783.
Della pazzia in genere e in ispecie. Trattato medico-analitico con una centuria di osservazioni, 1793-1794.
Saggio teorico-pratico sulle malattie cutanee sordide osservate nel R. Ospedale Bonifazio di Firenze, 1799.
Istoria delle malattie afrodisiache, e di quelle malattie ostinate e non guarite dall'arte medico-chirurgica venute nel R. Ospedale di Bonifazio negli anni 1802 e 1803, 1804.
La fisica dell'uomo, ossia corso compleo di medician ad uso degli Ufficiali di Sanità, 1811-12
Saggio di ricerche sulla pellagra, 1814.



Vincenzo Chiarugi





V. Chiarugi, Frontespizio della Spiegazione delle piante esprimenti le cassette componenti l'armamentario chirurgico dell' I. e R. Arcispedale di S. Maria Nuova, Firenze 1818

Da Storia delle neuroscienze in Italia

20 dic 2010








Marie e Pierre Curie

Niente nella vita va temuto: deve essere solamente compreso. MARIE CURIE


Ancora oggi tutti gli appunti di laboratorio presi da Marie Curie a partire dal 1890, anche i suoi ricettari di cucina, sono considerati pericolosi a causa della loro esposizione alla radioattività.
Sono conservati in apposite scatole piombate e chiunque voglia consultarli deve indossare abiti di protezione.


Marie Curie «È fra tutte le persone celebri, la sola che la gloria non abbia corrotto. (Albert Einstein)


Marie Curie, di origine polacca, e suo marito Pierre, sono famosi per le loro ricerche sulla radioattività, ispirate da quelle del fisico francese Henri Bequerel. Marie Curie fu anche la prima a usare il termine "radioattivo" per indicare tutte le sostanze con una considerevole attività elettromagnetica. Scoprì e isolò due elementi radioattivi, il polonio e il radio. Dopo la morte di Pierre prese il suo posto come docente di fisica all'Università di Parigi, prima donna a insegnare in quella istituzione. Continuò le sue ricerche, cercando impieghi medici per la radioattività. Vinse il Premio Nobel per la fisica nel 1903 e per la chimica nel 1911.

Nato a Parigi, in Francia, Pierre Curie divenne famoso per le sue ricerche sulla radioattività e sul magnetismo. Sin da ragazzo dimostrò grandi capacità matematiche e si diplomò all'Università di Parigi a soli 18 anni.
Il matrimonio con la polacca Manya Sklodowska segnò l'inizio di una collaborazione fortunata. Insime isolarono due nuovi elementi radioattivi e ottennero nel 1903 il Premio Nobel per aver scoperto, con Henry Bequerel, la radioattività.
Pierre studiò anche le proprietà degli elementi radioattivi, identificando l'esistenza nell'atomo di particelle positive, negative e neutre.

Nell’autunno del 1891 una giovane emigrata polacca, di nome Marie Sklodowska, si iscrisse con entusiasmo alla facoltà di scienze della Sorbona a Parigi.
La sua capigliatura biondo-cenere e i suoi tratti somatici slavi furono per molto tempo gli unici indizi con cui gli studenti identificavano la loro timida compagna. Ma i giovanotti erano l’ultima cosa che l’interessasse. Quella ragazza era completamente immersa nei suoi studi scientifici ai quali si applicava con febbrile impegno. Di indole troppo schiva per stringere amicizia con i francesi, trovò rifugio tra i suoi compatrioti nella colonia polacca, che per lei rappresentava una piccolo isola di Polonia libera nel Quartiere Latino di Parigi.
La giovane conduceva una vita che potremmo definire di una semplicità monastica: la sue uniche entrate consistevano nel denaro che aveva messo da parte lavorando come governante nel suo paese d’origine e nelle piccole somme che riceveva periodicamente dal padre, un oscuro ma colto professore di matematica.


Tali finanze ammontavano ad appena 40 rubli mensili, vale a dire tre franchi al giorno con i quali Marie doveva pagarsi la camera, i pasti, il vestiario e le tasse universitarie. Per assolvere a questi pagamenti, abolì ogni diversivo che potesse sviarla dal suo programma di lavoro e si organizzò un’esistenza tanto spartana quanto inumana nella quale non era contemplato l’aver freddo o fame. Nel suo programma di vita non aveva lasciato spazio all’amore e al matrimonio e, dominata dalla passione per la scienza, all’età di 26 anni era ancora fortemente attaccata alla propria indipendenza.


Fu allora che entrò in scena Pierre Curie.
Era uno scienziato di grande acume, francese, e si dedicava alle ricerche scientifiche: a 35 anni era ancora celibe. Il loro primo incontro avvenne nel 1894 in laboratorio. Pierre Curie giudicò subito Madamoiselle Sklodowska una persona straordinaria; egli era attratto dalla sua grazia e dalla sua assoluta mancanza di civetteria. Ma ciò che più lo affascinava era il suo coraggio, la sua fierezza e la completa dedizione al lavoro. Pochi mesi dopo le chiese di diventare sua moglie e ci vollero dieci mesi prima che l’ostinata fanciulla potesse accettare l’idea di sposarsi.



Nel secondo anno di matrimonio Marie dette alla luce Irène, futura vincitrice del Premio Nobel.



La studiosa fu attratta da una recente pubblicazione dello scienziato francese Antoine Henri Becquerel. Questi aveva scoperto che i sali di uranio emettevano spontaneamente, senza essere esposti alla luce, raggi di natura ignota. Un composto di uranio, messo su una lastra fotografica avvolta in carta nera, aveva impressionato la lastra attraverso la carta. Questa fu la prima osservazione del fenomeno a cui in seguito Marie dette il nome di radioattività, ma la natura e l’origine della radiazione erano ancora un enigma. I coniugi Curie iniziarono a chiedersi da dove venisse l’energia che i composti di uranio liberavano sottoforma di radiazione.

Mentre approfondiva la conoscenza dei raggi di uranio grazie ad un laboratorio ricavato in un piccolo magazzino - concessole dal direttore della scuola di fisica in cui lavorava il marito - Marie scoprì che anche i composti di un altro elemento, il torio, emettono raggi spontanei come quelli dell’uranio. In entrambi i casi la radioattività era molto più forte di quanto non sembrasse giustificare la quantità di uranio o di torio contenuta negli elementi esaminati. C’era solo una spiegazione possibile a questa radiazione anormale: i minerali dovevano contenere in piccola quantità una sostanza molto più fortemente radioattiva dell’uranio e del torio. Ma quale? Nei suoi esperimenti Marie aveva esaminato tutti gli elementi chimici conosciuti. Si trattava dunque di scoprire un nuovo elemento!

Nel luglio 1898 i coniugi Curie scoprirono l’esistenza del polonio, dal nome della città tanto cara alla ricercatrice, e nel dicembre 1898 annunciarono l’esistenza del radio. Ma nessuno aveva mai visto il radio e non se ne conosceva il peso atomico. Per provare l’esistenza di questi due elementi chimici i Curie dovettero faticare altri quattro anni, durante i quali ottennero dal governo austriaco il permesso di analizzare tonnellate di residui provenienti dalle miniere di Joachimsthal.



Nel 1902, tre anni e nove mesi dopo il giorno in cui i Curie avevano annunciato la probabile esistenza del radio, Marie, grazie alla sua ostinazione, raggiunse finalmente la vittoria: riuscì a preparare un decigrammo di radio puro e ne determinò i peso atomico. Il radio esisteva ufficialmente.
Il radio si presentava come una polvere bianca, molto simile al sale da cucina. Ma le sue proprietà erano stupefacenti: la sua radiazione era due milioni di volte più forte di quella dell’uranio. I raggi attraversavano le materie più dure e opache.

L’ultima stupefacente scoperta fu che il radio poteva diventare alleato dell’uomo nella lotta contro il cancro. Fu per questo risvolto di utilità sociale che i Curie non esitarono a riferire ai tecnici americani i segreti di quel “metallo favoloso”, rinunciando a considerarsi gli inventori del radio e quindi ad assicurarsene i diritti di produzione in tutto il mondo.
Nel novembre 1903 la Royal Society di Londra conferì a Pierre e Marie una delle sue onorificenze più alte: la Medaglia Davy. Poco dopo giunse il riconoscimento della Svezia. Il 10 dicembre 1903 l’Accademia delle Scienze di Stoccolma annunciò che il Premio Nobel per la fisica per l’anno in corso era stato conferito per metà a Henri Becquerel e per metà ai coniugi Curie per le loro scoperte nel campo della radioattività.

Dopo la morte accidentale di Pierre, avvenuta il 19 aprile 1906, Marie ottenne il posto del marito all’Università della Sorbona, seguito da diplomi e onorificenze di accademie straniere. La Sorbona e l’Istituto Pasteur insieme fondarono l’Istituto del Radio, che includeva due sezioni: un laboratorio di radioattività e un laboratorio per le ricerche biologiche e gli studi sul cancro. Fino alla sua morte, il laboratorio rimase il centro della vita di Marie Curie. Tuttavia, il radio le fu fatale: ammalatasi per le troppe emanazioni nocive del radio a cui era esposta da anni, il venerdì 6 luglio 1934, a mezzogiorno, senza discorsi e senza cortei, senza la presenza di nessun uomo di Stato né di altre autorità, Madame Curie prese modestamente il suo posto nel regno dei morti. Fu seppellita accanto a Pierre, nel cimitero di Sceaux alla presenza dei suoi parenti, dei suoi amici e dei collaboratori che l’amavano.

19 dic 2010



Esami in gravidanza: tanti, anche se va bene
ROMA - Cambiano i criteri per l'esecuzione dell'amniocentesi e villocentesi come esami di screening per la sindrome di Down, che e' il rischio piu' frequente in una gravidanza fisiologica o normale, in donne in salute. Questi esami non devono essere offerti a tutte le gestanti con piu' di 35 anni, ma solo a quelle che siano risultate positive, e dunque a rischio, a un test combinato che valuta eta' materna, translucenza nucale e alcuni valori nel sangue.

E' questo il nuovo indirizzo stabilito nelle linee guida sulla gravidanza fisiologica, redatte da un gruppo multidisciplinare di professionisti coordinati dall'Istituto superiore di sanita' (Iss) e dal Centro per la valutazione dell'efficacia dell'assistenza sanitaria (Ceveas) su mandato del ministero della Salute. Nel nostro Paese la gravidanza, lamentano molti esperti, e' eccessivamente medicalizzata.

Lo dimostrano i dati dell'ultimo rapporto del Cedap (Certificato di assistenza al parto), riferiti al 2007: in oltre l'84% delle gravidanze il numero di visite ostetriche effettuate e' superiore a 4 mentre per ogni parto si fa una media di 5,1 ecografie. Le amniocentesi effettuate sono state il 15,4%, e diventano il 43% nelle madri con piu' di 40 anni. Il nuovo orientamento delle linee guida e' quindi quello di fissare dei paletti e criteri precisi, offrendo l'amniocentesi e la villocentesi alle donne di tutte le eta' (e non piu' dai 35 anni in su) che pero' siano risultate positive al test combinato eseguito tra la 11/a e 13/a settimana. ''Si tratta di introdurre una diversa pratica clinica per individuare le donne a rischio - spiega Vittorio Basevi del Ceveas, coordinatore del progetto delle linee guida - facendo dell'amniocentesi e villocentesi delle indagini di secondo livello''. Il test combinato si basa sull'eta' materna, la ricerca della translucenza nucale e la determinazione di alcuni valori nel sangue come la frazione beta libera di hCg e della proteina plasmatica A associata alla gravidanza.

Attualmente l'amniocentesi e la villocentesi sono a carico del Ssn per le donne dai 35 anni in su e sono gli esami che consentono con certezza di diagnosticare un feto affetto da sindrome di Down. ''Ma con questi esami c'e' un rischio di perdite fetali di circa il 2% - continua Basevi -. Stabilire invece prima, con il test combinato, chi e' a rischio riduce il numero di interventi diagnostici invasivi, dei nati con sindrome di Down e ha la stessa quantita' di falsi positivi e negativi dell'amniocentesi e villocentesi. E' lo stesso approccio sperimentato in altri Paesi, come la Danimarca, dove la valutazione del rischio fatta con test combinato ha dimezzato il numero di nati con sindrome di Down''.

Questo tipo di prestazione ''e' previsto che venga offerta a tutte le donne e sia inserita nei nuovi lea - conclude Basevi - Nel caso vi siano altre anomalie nel feto, si esce dalla gravidanza fisiologica, e quindi le raccomandazioni sono diverse. Quello stabilito in queste linee guida riguarda la gravidanza non a

News
16/12/2010 - SALUTE
Il "gene della carestia"
apre la strada all'obesità



Un'eredità dagli antenati che trascorrevano lunghi periodi senza mangiare
ROMA
Carestia, una parola che è quasi uscita dal vocabolario del mondo occidentale. Dove, per contro, dilaga l’obesità. Le cause, ormai è noto, sono la sedentarietà, la cattiva alimentazione e la predisposizione genetica all’accumulo di chili di troppo. Predisposizione che si deve principalmente a un gene, che si potrebbe chiamare proprio “della carestia”, il Crtc3. Lo abbiamo ereditato dai nostri antenati, costretti a trascorrere lunghi periodi a corto di cibo: grazie al Crtc3, infatti, l’organismo rallenta la combustione dei grassi.

La scoperta, fatta su modello animale dai ricercatori del Salk Institute for Biological Studies (Usa) e pubblicata sulla rivista Nature, ha portato a dimostrare che i topi privi di questo gene regolatore del dispendio energetico sono protetti dall’aumento eccessivo di peso, anche seguendo una dieta ricca di grassi.

Un risultato che potrebbe avere implicazioni enormi nella lotta all’epidemia di obesità e delle sue conseguenze, come il diabete di tipo 2: il gene Crtc3 potrebbe infatti servire come strumento diagnostico e bersaglio per nuovi farmaci contro l’obesità.

«Come essere umani», ha detto Marc Montminy, scienziato che ha coordinato lo studio, «abbiamo sviluppato modi di affrontare la carestia, esprimendo geni come “Crtc3” per rallentare la velocità di combustione dei grassi. Individui con questi “geni risparmiatori” attivi avevano un vantaggio perché li aiutavano a sopravvivere a lunghi periodi senza cibo». Ma oggi, nel 2010, questi geni ci svantaggerebbero. Nel complesso questo studio illustra un principio importante: ciò che è geneticamente vantaggioso in un contesto culturale o storico, può non esserlo in un altro. In realtà, Montminy non considera l’obesità come un’aberrazione o una “malattia”.

«Immagazzinare grasso nel tessuto adiposo è una risposta normale», spiega, «molte persone sono obese, ma non sviluppano diabete di tipo 2». I geni come CRTC3 -suggerisce lo scienziato- potrebbe servire come strumenti diagnostici e bersagli per i farmaci.

18 dic 2010



L'insonnia? Si combatte (anche) sul web
Due studi scientifici confermano la validità di alcuni programmi terapeutici online


MILANO - C'è chi passa ore davanti alla tv o su un libro, sperando che prima o poi la palpebra inizi a calare. E chi, svegliandosi di soprassalto nel cuore della notte, non riesce più ad addormentarsi e si riduce ad aspettare l'alba navigando online. Piuttosto che saltare di sito in sito, forse sarebbe meglio affidarsi ad uno dei tanti percorsi di aiuto psicologico per insonni che stanno prendendo piede su Internet.

INTERNET-TERAPIA - Due studi scientifici recenti hanno confermato la validità dei programmi psicoterapeutici per chi soffre di insonnia. Che questo approccio sia da preferire all'assunzione prolungata di farmaci è ormai cosa risaputa. È meno nota, invece, l'esistenza di terapie altrettanto efficaci che possono essere svolte interamente online. Il più famoso di questi programmi si chiama SHUTi ed è stato realizzato da ricercatori dell'Università della Virginia. Si tratta di un percorso guidato di nove settimane, durante le quali il paziente viene adeguatamente formato ad una corretta gestione del sonno (attraverso schede esplicative e giochi interattivi), "smontando" molti dei luoghi comuni che spesso ossessionano l'insonne-tipo. Ad esempio, che bisogna per forza riposare otto ore per sentirsi bene. O che, se si è stanchi, è giusto andare a letto presto: sbagliato, meglio rispettare la regolarità. Contemporaneamente, il paziente è invitato a tenere un diario in cui riporta i dati salienti della giornata (alimentazione, esercizi svolti, ore di veglia). In base alle informazioni acquisite, il programma calcola le ore di sonno che dovrebbe dormire per stare bene.

RISULTATI - SHUTi si basa sull'approccio psicoterapeutico secondo cui l'insonne deve prima di tutto cambiare l'atteggiamento mentale nei confronti del proprio problema. Obiettivo che il programma sembra raggiungere alla grande. In un esperimento condotto con 45 individui è stato riscontrato un aumento del 16% della "sleep efficiency" (parametro che tiene conto del tempo trascorso nel letto dormendo rispetto a quello passato rigirandosi), mentre i minuti di insonnia sono scesi complessivamente del 55%.
Risultati simili sono stati raggiunti in un altro esperimento condotto all'Università di Manitoba (Canada), anche questo basato su un programma online. A fine percorso il 35 per cento dei tester ha dichiarato di aver migliorato il proprio rapporto con il sonno.

ALTRI PROGRAMMI - Oltre a queste due esperienze, in rete esistono svariati altri programmi contro l'insonnia. E' il caso di "CBTforInsomnia" dell'Università del Massachusetts o dei percorsi online sviluppati da compagnie private come "MySelfHelp" e "Overcoming Insomnia". Secondo i dati di quest'ultimo servizio, nel primo anno di terapia i partecipanti hanno risparmiato oltre 3.000 dollari grazie alla migliore produttività sul lavoro.



Nicola Bruno



Belli addormentati: il sonno è una cura

Fotografati alcuni volontari da stanchi e da riposati:
nel secondo caso i visi sono stati giudicati più attraenti



MILANO - Il sonno è una cura di bellezza: chi dorme bene appare agli occhi degli altri più sano e attraente. Lo dimostra uno studio condotto da John Axelsson dell'istituto Karolinska di Stoccolma, che ha chiesto a un gruppo di 65 volontari di giudicare il volto di 23 persone dai 18 ai 31 anni in due occasioni, dopo una notte in cui avevano dormito bene e in un momento in cui erano in deficit di sonno. L'esito della ricerca è stato pubblicato sul British Medical Journal.

RITRATTI - La carenza di sonno ha effetti ormai ampiamente dimostrati sul cervello e quindi sulle performance mentali, memoria e apprendimento compresi. Ma finora mancava uno studio che correlasse il dormir poco all'aspetto fisico. I ricercatori svedesi hanno fotografato i volontari in due occasioni, da stanchi e da riposati. Le immagini sono state scattate in due giorni diversi, ma sempre tra le 2 e le 3 del pomeriggio, e i 23 erano rigorosamente senza trucco e con i capelli sciolti. In un caso sono stati ritratti dopo una normale notte di sonno, nell'altro dopo aver dormito poco. I volontari non avevano bevuto alcol nei giorni precedenti l'esperimento e sono tutti non fumatori. Poi è stata la volta della giuria: i 65 osservatori dovevano dire quali visi risultassero più attraenti e "salutari": chiaramente hanno avuto la meglio i visi riposati. (Fonte: Ansa)




15 dicembre 2010

17 dic 2010




Svelato il segreto
della donna senza paura
S. M. abita in un rustico dello Iowa, in America, ed è studiata da molti ricercatori: le manca l'amigdala. È priva cioè di quella parte del cervello da cui nascono i timori che possiedono l'uomo e tanti animali
di VITTORIO ZUCCONI

La donna che accarezza le tarantole non è capace di avere paura. Vive una vita di disumana serenità, danzando leggera fra i terrori reali o immaginari che fanno di noi quello che siamo, creature di emozioni. Di lei conosciamo soltanto le iniziali, "SM", perché è stata usata come cavia da un'università, dove abita, nel rustico vuoto dello Iowa, e la ragione per la quale non conosce paura. È l'assenza dell'amigdala, il piccolo corpo nervoso a forma di mandorla, appunto "amigdala" in greco, che dal profondo del nostro cervello controlla le azioni e le reazioni, i sentimenti e le emozioni che chiamiamo paura.

È noto da tempo che in quel piccolo organo sta il segreto della condizione umana, la sentinella della nostra sopravvivenza, la condanna delle nostre notti, la molla dei nostri comportamenti. Menomazioni, patologie, difetti della amigdala cambiano radicalmente il rapporto con il mondo esterno, possono impedire di riconoscere, nelle situazioni, nei gesti, addirittura nello sguardo degli altri quei segnali sottili che fanno scattare il meccanismo del "fuggi o lotta", presente in tutti gli animali superiori. Ma la Signora Esseemme, studiata per mesi dalla Università dello Iowa, è completamente priva di ogni riflesso di paura. Non dice, come il bambino eroe del film di Salvatores "Io non ho paura". Non vince, come il soldato magari impregnato di grappa, di rum, di esaltazione patriottica o religiosa che si lancia oltre il parapetto della trincea, il terrore della morte. La paura è un lusso che le è impedito.

L'hanno accompagnata nei luoghi canonici delle più ovvie fobie umane e specialmente femminili, in laboratori brulicanti di enormi ragni e di serpi, creature delle quali aveva detto di avere orrore. Ma quando si è trovata fra di loro, ha serenamente carezzato il dorso peloso di enormi tarantole e la pelle secca a fredda di serpi, sperabilmente non velenose. Né passeggiate solitarie fra cimiteri di notte, visioni di film specialmente ripugnanti o conversazioni nelle carceri con stupratori seriali e killer ben lieti di raccontare ogni raccapricciante dettaglio delle loro imprese hanno provocato alcuna reazione di paura registrata dai sensori che i ricercatori le avevano applicato per registrare le classiche risposte fisiologiche dell'ansia. La mancanza dell'amigdala la rende semplicemente incapace di avere paura, come un daltonico totale è incapace di vedere i colori.
A che serva lo studio di questa sfortunata, o fortunatissima signora che non teme neppure la morte, lo spiegano i ricercatori della scuola di neurologia dell'Università dello Iowa, uno stato del MidWest americano che offre un numero specialmente alto di volontari nelle Forza Armate. Dieci anni ormai di guerra in Iraq e in Afghanistan hanno prodotto 500 mila reduci, migliaia di suicidi e diecine di migliaia di uomini e donne mutilati non nel corpo, ma nell'anima, dalla "PTSD", la sindrome da stress post traumatico. Sono ex combattenti che vivono nel terrore, e nel trauma, di quanto hanno visto, subito, inflitto, a volte rottami umani incapaci di uscire di casa, di affrontare una banale autostrada, un ufficio, un locale pubblico, bloccati da quella "amigdala" fuori controllo che invia al cervello e al corpo segnali paralizzanti di paura anche quando non ve n'è motivo, come un allarme antifurto che urla anche quando il pericolo non esiste. La signora Esseemme dell'Iowa e le altre cavie come lei possono aiutare a capire come resettare questo termostato del terrore, senza arrivare all'estremo dell'azzeramento completo delle emozioni e alla trasformazione dei pazienti in robot.

E proprio qui, al confine fra la scienza e la fantascienza, fra la terapie e l'abuso, sta il rischio delle sperimentazioni sull'amigdala e sugli altri organi, nervi, ghiandole che rendono umani gli umani, tra il piacere e la paura, tra l'orrore e la tenerezza. La fantasia corre al pensiero di futuri soldati robot, privati di quel freno emotivo che è la paura di morire e, come studia da anni il Pentagono, la paura di uccidere, a volte più forte addirittura dell'istinto di sopravvivenza. L'antropologia, la storia dell'evoluzione umana, sa bene che senza nostra sorella paura, innesco formidabile dell'intelligenza e della creatività, la nostra specie non sarebbe sopravvissuta al mondo ostile e feroce che la circondava ed è ovvio che questa donna dello Iowa non vivrebbe a lungo ballando serena con gli orsi o attraversando la strada senza il timore di essere investita. Lo sanno i famigliari che non le permettono di uscire mai di casa da sola. Ma se la sua perfetta incoscienza da bambina che comincia a gattonare per il mondo incurante di spigoli e prese elettriche fa tenerezza, il pensiero di una legione di armati senza umanità e senza mai rimorsi fa paura. Almeno a noi che abbiamo l'amigdala che funziona anche troppo bene.
(17 dicembre 2010) © Riproduzione riservata

16 dic 2010



Aumenta pressione e battiti cardiaci
FA TROPPO FREDDO: OCCHIO AL CUORE
Coprire bene testa,gola e piedi. I rimedi della nonna, aspettando il medico
Anche oggi farà molto freddo . Un preavviso dei “giorni della merla” a fine gennaio. Ma il troppo storpia sempre, perché se è vera la leggenda secondo cui il freddo pungente ammazza i germi, non bisogna trascurare come tante cosa cambino nel nostro organismo quando s’abbassa di molto la colonnina del mercurio, che lo si voglia o no. Per un effetto di costrizione sui vasi sanguigni, ad esempio, aumentano la pressione arteriosa ed i battiti cardiaci, quindi cresce la probabilità di malattie cardio e cerebrovascolari. Chi soffre di cuore o d’ipertensione eviti di stare a lungo all’aperto.
Come proteggersi in casa – Regolare la temperatura fra i 19° ed i 21°, con gradiente d’umidità intorno al 50%, mettendo contenitori d’acqua sui termosifoni o ricorrere ai deumidificatori. Chiudete gli spifferi di porte e finestre, ma non dimenticate di arieggiare bene i locali dove si viva. Spegnere sempre termocoperte o scaldaletto andando a coricarsi.
Come proteggersi fuori casa – Vi siete mai chiesti come in campagna il cappotto praticamente non si usi? Il segreto è vestirsi a più strati così da spogliarsi e rivestirsi passando da un ambiente all’altro. Si preferiscono giacconi impermeabili a vento e neve, condizioni che accelerano il raffreddamento dell’organismo, aumentando la percezione del freddo. Altro segreto: coprirsi bene capo,gola e piedi( questi ultimi anche con due paia di calzini)
Cosa mangiare – Più calorie, senza esagerare. Fare attenzione all’alcool. Non aumenta la temperatura corporea, dà solo una sensazione di calore perché provoca vasodilatazione superficiale, con dispersione di calore e rapido raffreddamento. E’ bene quindi bere molta acqua.
E se arrivasse l’influenza? - Si è anche un po’ restii a chiamare subito il medico, della serie “passerà”. Comunque,nell’attesa, contro il mal di gola, valida si dimostra la tintura madre di propoli con un decotto oppure praticare i classici gargarismi con un decotto quotidiano di equiseto,fiori d’arnica e fieno greco. Quel bruciore poi al torace,dietro lo sterno,lo possiamo curare con la classica farina di riso sul petto. In ogni caso,dieta liquida,spremute,succhi di frutta e verdura. Per umidificare invece un ambiente troppo secco essenza di tino,verbena,eucalipto.
Se “ve la sentite arrivare addosso” - Piuttosto che la doccia,privilegiate il bagno caldo:riscalda e rilassa di più. A potenziarne l’effetto sciogliete pino,lavanda,timo ed eucalipto. Ed ora arriviamo alla “chicca”:vino cotto (latte od acqua)con un pizzico di zucchero (o miele) ed uno di cannella. Ed ancora,in alternativa,latte bollente con due dita (in orizzontale,non in verticale)di cognac e due cucchiaini di miele. Il latte contiene sostanze saline,quindi reidrata e dà energia.
Non respirate bene? - Miele di eucalipto. Sinusite? Foglie essiccate di mirto. Origano quindi per la fastidiosa tracheite che non vi fa dormire. La banana per la tosse notturna. Alla fine,spossati,volete riprendere forza? Insalata di cavolo,succo di limone,olio,aceto di mele,peperoncino,miele,pinoli,sesamo,mandorle. Naso chiuso? I tradizionali “fumacchi”, acqua bollita,salvia eucalipto,camomilla. Raucedine? Centrifuga di carote fresche. Tosse? Succo di limone,miele. Mal di testa?Fette di patate sulla fronte tenute ferme da un foulard. Convalescenza? Pomodori crudi,molto maturi o berne il succo. Il brodo di pollo è di ottimo aiuto. Avete bisogno di vitamina C?Il kiwi fa al caso vostro (intolleranza a parte),così come aranci,pompelmi,limoni. Il tutto,alla pari di un buon sonno ristoratore,ben coperti così da fare una salutare sudata,depurandovi dalle dannose tossine di batteri e virus. Il tutto con buon senso e prudenza. Stanno in qualunque ricetta, anche se non li leggerete.
GIAN UGO BERTI


Aglio e cipolle per prevenire l'artrosi

Dal cibo un aiuto contro il disturbo a mani, anche e ginocchia. Protegge anche la frutta, agrumi esclusi



MILANO - Non sarà contento chi odia l'alito pesante che, inevitabilmente, si accompagna a un piatto di pasta aglio, olio e peperoncino o a un'insalata mista con le cipolle. Perché proprio aglio e cipolle sembrano l'ideale per proteggere le articolazioni dai danni del tempo, artrosi prima di tutto: lo dimostrano i dati di uno studio pubblicato su BMC Musculoskeletal Disorders.

STUDIO - La ricerca è stata condotta da Frances Williams, epidemiologa del King's College di Londra, su poco più di 500 coppie di gemelle sane intorno ai 60 anni. Tutte sono state sottoposte a radiografie per la diagnosi dell'eventuale artrosi, in più è stata valutata la dieta di ciascuna attraverso il Food Frequency Questionnaire, che indaga quantità e frequenza del consumo di svariati alimenti; l'impiego di gemelli aiuta a comprendere meglio gli effetti di diverse tipologie di alimentazione su uno stesso corredo genetico di partenza. Analizzando i dati i ricercatori hanno tenuto conto dell'età, dell'indice di massa corporea e del livello di attività fisica, tutti elementi che potevano «falsare» il risultato: lo scopo degli studiosi era infatti capire se specifiche abitudini alimentari possano avere effetti protettivi nei confronti dell'artrosi di qualunque tipo. E pare proprio che sia così: chi d'abitudine mangia molta frutta e verdura vede ridursi in maniera significativa il rischio di artrosi dell'anca. Sarebbero soprattutto la frutta (agrumi esclusi) e ortaggi come aglio, cipolle e scalogni i cibi maggiormente protettivi.

AGLIO E CIPOLLE - Per capire meglio perché ciò accada i ricercatori hanno analizzato in vitro, su cellule in coltura, gli effetti di un composto derivato dall'aglio, il diallil-disulfide. Ebbene questa sostanza sembra capace di azzerare l'espressione, indotta dalle citochine infiammatorie, delle metalloproteinasi della matrice extracellulare, enzimi che in caso di artrosi hanno un ruolo chiave nell'alterazione e nella distruzione delle articolazioni. La Williams spiega: «Gli studi epidemiologici basati su questionari alimentari hanno diversi punti deboli ed è sempre difficile separare con certezza gli effetti dei diversi componenti di una dieta. Per questo abbiamo deciso di fare esperimenti su cellule con il composto derivato dall'aglio: la sua azione sugli enzimi extracellulari ci dà una prova molto netta dei possibili meccanismi alla base dei benefici del consumo di aglio e cipolle. I nostri dati sembrano indicare che questi ortaggi potrebbero aiutare in qualche modo a prevenire l'artrosi dell'anca o magari a ridurne la gravità, aumentandone il consumo in una fase precoce della patologia. Naturalmente i risultati andranno confermati e, se così fosse, si potrà pensare a una sperimentazione clinica vera e propria nei pazienti». Per ora, gli amanti di agli e cipolle possono star tranquilli: gli odorosi ortaggi di sicuro non fanno male, e d'ora in poi c'è una scusa in più per giustificare l'alito pesante da zuppa di cipolla o aglio marinato.
dal Corriere salute

15 dic 2010


ANSA.it > Scienza e medicina > News Prima asportazione utero da ombelico
Intervento compiuto all'ospedale San Camillo di Trento
15 dicembre, 15:23

(ANSA) - TRENTO, 15 DIC - Prima operazione in Italia di asportazione dell'utero dall'ombelico. E' stata realizzata all'ospedale San Camillo di Trento su una donna colpita da una patologia benigna. Con questa tecnica, tutto l'intervento, sia in ingresso che in uscita, avviene dalla cicatrice ombelicale, utilizzando la cosiddetta 'chirurgia single side' e senza incisioni sull'addome e in vagina: Viene cosi' ridotta al minimo la traumaticita' dell'intervento.


Scipione Riva Rocci (07/08/1863 – 15/03/1937)Medico e docente universitario, perfezionatore dello sfigmomanometro a mercurio.

Nasce ad Almese (TO), figlio di un medico condotto e si laurea presso la regia università di Torino nel 1888. Acquisisce in seguito le specializzazioni in medicina interna e pediatria. A pochi anni dalla laurea, diviene assistente di Carlo Forlanini presso la clinica medica propedeutica torinese e docente di Patologia Medica presso la stessa università.


E' il 1896 quando Riva Rocci pubblica sui n° 50-51 della Gazzetta Medica di Torino una nota intitolata “Un nuovo sfigmomanometro". Seguendo le continue evoluzioni degli strumenti fino ad allora ideati per la misurazione della pressione sanguigna (gli sfigmomanometri, dal greco sphygmòs ovvero polso, pulsazione) Riva Rocci perfezionò quelli che erano stati i tentativi dei suoi colleghi.


Nella nota già citata, egli descrive dal punto di vista fisico - teorico il comportamento dei fluidi rifacendosi sui concetti generali dell'idraulica. In un secondo momento egli delinea il concetto di pressione arteriosa e traccia l'evoluzione dello sfigmomanometro (dai più recenti tentativi del dott. Karl von Vierordt fino ai ritrovati del fisiologo Étienne Jules Marey).

Il perfezionamento del nuovo sfigmomanometro a mercurio permette quindi, come espresso nella nota, “di rilevare, colla massima precisione scientifica possibile, non dei fenomeni naturali ma dei sintomi, cioè dati utilizzabili per la diagnosi, o per la prognosi, o per la cura delle malattie umane”.


Il nuovo strumento, pratico e preciso, conquistò l'Europa e gli Stati Uniti (dove il dott. H.W. Cushing, celebre neurochirurgo, ne introdusse l'impiego nella pratica senza esitazione).


Riva Rocci seguì il dott. Forlanini presso l'università di Pavia e assistette all'invenzione del primo pneumotorace terapeutico, contribuendo così alla cura dei pazienti affetti da tisi. Durante questo periodo fu docente di Pediatria presso la stessa università. Dal 1900 al 1928 fu direttore e primario dell'ospedale di Varese, dove fondò inoltre l'Associazione Medica Varesina.


Lo sfigmomanometro di Riva Rocci unito all'uso dello stetofonendoscopio (come descritto da Nikolai Korotkov nel 1905), salvo poche modifiche, accompagna ancora oggi il medico nella pratica semeiotica quotidiana.


Scipione Riva Rocci morì a Rapallo in seguito ad una grave malattia infettiva, l'encefalite letargica, contratta alcuni anni prima.

E' da ricordare che il medico di Almese non volle mai brevettare la sua invenzione e ne rifiutò pedissequamente ogni sfruttamento commerciale.

A cura di Rosario Luca Furnari,

14 dic 2010


ANSA.it > Scienza e medicina > News Scoperto gene che pulisce neuroni, inceppato causa Sla
Studio Italia-Usa, finanziato anche da Federazione calcio

ROMA - Grazie a uno studio italo-americano cominciano a ricomporsi le tessere del puzzle della sclerosi laterale amiotrofica (SLA - anche nota col nome di Lou Gehrig dal nome di un giocatore di baseball che ne fu colpito): e' stato infatti scoperto un gene, sul cromosoma 9, che, sebbene responsabile di un numero limitato di casi, suggerisce per la prima volta uno dei meccanismi alla base di questa malattia che uccide i neuroni del movimento e condanna alla paralisi: i neuroni si intossicano perche' si inceppa il processo di smaltimento dei rifiuti cellulari. Secondo quanto riferito da uno degli autori, Adriano Chio' del Centro SLA del Dipartimento di Neuroscienze dell'Universita' di Torino e Ospedale Molinette, il gene chiamato VPC produce infatti una proteina che e' coinvolta nel sistema di smaltimento dei rifiuti cellulari. Non a caso e' noto che nella SLA i neuroni muoiono avvelenati dall'accumulo di sostanze tossiche. Lo studio, sul Dna di famiglie italiane e Usa con membri malati di SLA, e' stato finanziato da FIGC (Federazione Italiana Gioco Calcio), da Fondazione Vialli e Mauro e Ministero della Salute e ha coinvolto anche il Laboratorio di Neurogenetica dell'NIH di Betheda, coordinato da Bryan Traynor, il Centro SLA dell'ospedale di Modena coordinato da Jessica Mandrioli e il laboratorio di genetica molecolare dell'azienda ospedaliera OIRM Sant'Anna diretto da Gabriella Restagno.

La SLA e' una malattia neurodegenerativa incurabile caratterizzata dalla morte dei neuroni motori di cervello e midollo spinale. Porta alla paralisi e la morte di solito interviene per blocco respiratorio ad alcuni anni dalla diagnosi. In Italia, spiega Chio' all'ANSA, ci sono circa 5000 malati; la malattia di solito esordisce a 60-70 anni e, proprio grazie ai ricercatori italiani, ci si e' accorti che i calciatori sono 6,5 volte piu' a rischio di ammalarsi con esordio precoce intorno ai 40 anni; per questo la FIGC ha deciso di dare il suo contributo allo studio Italia-Usa per comprendere cosa c'e' dietro la malattia. Per farlo gli esperti hanno analizzato per la prima volta tutto il 'Dna codificante' - il DNA che da' le istruzioni per produrre proteine (detto 'exoma') di svariate famiglie italiane e Usa con membri malati di SLA. Da questa analisi senza precedenti, pubblicata sulla rivista Neuron, e' stata isolata, racconta Chio', in 3 malati di una famiglia italiana una mutazione nel gene VPC. Poi il coinvolgimento di difetti in VPC e' stato confermato in famiglie americane. ''VPC - spiega Chio' - non e' il primo gene scoperto per la SLA ereditaria, conosciamo gia' i geni FOS, SOD1, TDP-43, ma finora nessuno di questi ci aveva permesso di pensare un possibile meccanismo molecolare che causa la SLA''. Invece VPC suggerisce un meccanismo: la proteina e' legata al sistema di smaltimento dei rifiuti cellulari e se non funziona questi rifiuti si accumulano.

Cio', precisa Chio', si collega strettamente al ruolo di TDP-43 che, non a caso, si accumula in modo aberrante nei neuroni malati di SLA. ''Quindi l'aver scoperto il coinvolgimento di VPC - dichiara Chio' - ci svela uno dei meccanismi che porta al danno dei neuroni nella SLA''. Ma il lavoro non si ferma qui, VPC, infatti, spiega circa il 2% dei casi; ci sono altre forma familiari di SLA che di certo fanno capo a altri geni che il team italo-Usa continuera' a cercare. Parallelemente si cercheranno sostanze che agiscano sul gene VPC per ripristinare lo smaltimento dei rifiuti cellulari. Queste scoperte, anche a distanza di tempo, possono portare a terapie, conclude Chio': in Usa, per esempio, sono gia' in atto studi pilota su pochi malati per sperimentare una possibile cura per i casi di SLA che dipendono da SOD1''.

13 novembre 2010 - Potrebbe essere l’uso massiccio (se non l’abuso) di integratori alimentari a causare l’elevato numero di casi di SLA tra i calciatori. Una ricerca italiana, condotta dai ricercatori dell’Università di Roma "Tor Vergata" e dalla Fondazione S. Lucia, coordinati dalla Prof.ssa Cristina Zona, potrebbe aver svelato il mistero della vera e propria ‘epidemia' di Sclerosi Laterale Amiotrofica tra i calciatori.

Lo studio ha dimostrato che gli aminoacidi ramificati (BCAA), contenuti negli integratori alimentari, possono causare alterazioni delle cellule nervose rendendole simili a quelle malate di SLA.

La ricerca è stata finanziata dal Ministero della Salute, dall’Istituto Superiore di Sanità e dalla Wyeth Italia. Una delle ipotesi avanzate dagli studiosi per tentare di spiegare la maggiore incidenza di SLA tra i calciatori italiani rispetto al resto della popolazione, è proprio l’abuso incontrollato di integratori alimentari assunti dagli atleti per incrementare le prestazioni fisiche e mentali, e per accelerare il recupero fisico dopo una intensa attività agonistica.

Partendo da questa ipotesi, lo studio condotto dai ricercatori della Capitale ha messo in risalto che sia cellule nervose in vitro esposte agli aminoacidi ramificati che topi di laboratorio alimentati con cibo contenente alte concentrazioni di BCAA, sviluppano delle proprietà funzionali sovrapponibili a quelle colpite dalla SLA.

È stato quindi individuato per la prima volta un possibile legame tra l’anomala incidenza di SLA nella popolazione calcistica italiana e l’assunzione incontrollata di integratori alimentari contenenti alte dosi di BCAA. I risultati sperimentali, pubblicati sulla rivista internazionale Experimental Neurology, pongono in primo piano l’esigenza di una maggiore informazione e controllo sull’assunzione di sostanze non sottoposte a nessun monitoraggio medico e solo apparentemente innocue.

L’incidenza della SLA tra i calciatori è molto alta rispetto alla media: si contano oltre 40 morti, e diverse decine di casi (da Signorini a Borgonovo): un’incidenza di 143/100.000, dato quasi 24 volte superiore al dato riscontrabile nella popolazione generale (6/100.000 secondo recenti stime).

Sul caso era intervenuto anche il magistrato torinese Raffaele Guariniello, che ha indagato per cinque anni su tutti i casi sospetti nel mondo del calcio: le cause ipotizzate finora spaziavano dal sospetto doping all’uso di diserbanti per i campi di calcio, fino ai traumi cerebrali a cui sono sottoposti i calciatori con i colpi di testa.




I MALATI DI SLA A ROMA PER MANIFESTARE

I malati di Sclerosi Laterale Amiotrofica (SLA), "anche in carrozzina, anche con gravi impedimenti fisici dovuti alla malattia manifesteranno martedì prossimo davanti al ministero dell’Economia perchè assieme a tutti i milioni di malati gravi, invalidi e non autosufficienti pretendono che sia rispettato il diritto alla salute e ad una vita dignitosa, sancito dalla Costituzione, e vogliono al più presto risposte esaustive dal ministro Giulio Tremonti".

I malati di Sla e le loro famiglie - spiega una nota - non si accontentano più di promesse fumose, di attese e rinvii, di provvedimenti accantonati. I Livelli Essenziali di Assistenza (LEA), cioè quelle linee guida che riguardano le prestazioni e i servizi che il Servizio Sanitario Nazionale è tenuto a garantire a tutti i cittadini gratuitamente o dietro pagamento di un ticket - sottolineano - sono stati ritirati oltre due anni fa dal governo che avrebbe dovuto produrne di nuovi, ma la pratica di revisione è ormai ferma da mesi sul tavolo del ministero dell’Economia.

Da anni si formano commissioni, l’ultima in ordine di tempo è la Consulta delle Malattie Neuromuscolari, che producono documenti i quali vengono regolarmente accantonati. Già il 21 giugno i malati di SLA erano scesi in piazza ed erano stati frettolosamente congedati dal sottosegretario alla presidenza del Consiglio Gianni Letta, fattosi garante di una pronta (quanto mai avvenuta) approvazione dei LEA. Anche l’ordine del giorno proposto dalla deputata del Pd, Maria Antonietta Farina Concioni, e approvato dal governo che impegnava il governo stesso ad emanare entro il 30 settembre del 2010 il decreto del presidente del Consiglio dei ministri sui Lea è alla fine caduto nel vuoto.

Sebbene indignati, stanchi e delusi e molti addirittura alla disperazione - prosegue la nota - i malati di Sla non hanno perso la voglia di lottare. Saranno in piazza per chiedere la copertura finanziaria e l’approvazione dei Livelli Essenziali di Assistenza e del relativo nomenclatore tariffario degli ausili; il finanziamento di 100 milioni di euro per il percorso assistenziale proposto dalla Consulta Ministeriale delle malattie neuromuscolari, per il sostegno alle famiglie e per la formazione e l’assunzione di Assistenti Familiari; il finanziamento di 10 milioni di euro per ricerca di base e clinica da effettuarsi in 10 centri universitari italiani con metodologie ed obiettivi condivisi e sinergici.

Tutte le persone non autosufficienti, tutti coloro che sono affetti da malattie gravi altamente invalidanti e tutte le famiglie di queste persone attendono al più presto provvedimenti concreti e si augurano che il ministro Tremonti si accorga che gli investimenti per la vita delle persone sono spese necessarie mentre altre, come i miliardi che verranno spesi per l’acquisto degli aerei da combattimento F35, sono spese che possono aspettare.

13 dic 2010



Come difendersi dal grande freddo


Le ondate di freddo che interessano buona parte del nostro paese durante questa stagione invernale possono costituire un pericolo soprattutto per le persone più a rischio come anziani, più vulnerabili per le compromesse condizioni vascolari e muscolari, neonati e lattanti che non si muovono a sufficienza per potersi riscaldare ed non sono in grado di dire se sentono freddo; inoltre tutti i soggetti affetti da malattie croniche come cardiopatici, asmatici, diabetici in cui le basse temperature possono causare un peggioramento o una riacutizzazione della patologia (ad es. l'inspirazione di aria fredda può causare crisi d'asma).
Effetti del freddo
Quando la temperatura ambientale raggiunge livelli molto bassi, il corpo si difende mediante una vasocostrizione a livello della cute per diminuire la dispersione di calore e proteggere gli organi più interni. Questo processo si accompagna ad un aumento dei valori di pressione, aumento del battito cardiaco e attivazione di tutti i processi che comportano un aumento della produzione di calore. Tutti questi fattori concorrono ad aumentare la probabilità di incidenti cardiovascolari, come episodi trombotici.

Proteggersi dal freddo in casa

Regolare la temperatura degli ambienti in cui si vive fra i 19°C e 21°.
Mantenere un giusto grado di umidificazione utilizzando gli appositi contenitori per l'acqua sui termosifoni o, in caso di eccessiva umidità, dei deumidificatori.
Contribuire ad un buon isolamento termico degli ambienti riducendo il più possibile gli spifferi di porte e finestre ; è bene tuttavia arieggiare periodicamente i locali.
Spegnere sempre eventuali termocoperte o scaldaletto prima di coricarsi.
Effettuare ogni anno la manutenzione degli impianti di riscaldamento e delle canne fumarie, in modo da mantenerli ben funzionanti, eliminando il rischio di incorrere in intossicazioni da monossido di carbonio.


Proteggersi dal freddo fuori casa

E' bene che le persone più a rischio (anziani, neonati e malati cronici) escano nelle ore meno fredde della giornata, evitando il mattino e la sera, mentre tutte le altre persone possono stare all'aperto per periodi non troppo lunghi svolgendo una leggera attività fisica, come camminare.
Scegliere l'abbigliamento più adatto alle temperature rigide indossando sempre guanti (le mani sono le prime a risentire degli effetti del freddo), sciarpa (per coprire il più possibile il volto e la bocca) e copricapi. Vestirsi a più strati consente di migliorare l'isolamento termico o di spogliarsi e rivestirsi se si passa da un ambiente freddo ad uno caldo e viceversa. Sono da preferire giacconi o cappotti impermeabili al vento e alla neve: il vento induce infatti un raffreddamento più veloce dell'organismo e all'aumentare dell'umidità dell'aria aumenta la percezione del freddo.
Evitare, in condizioni estreme, di portare fuori casa neonati che abbiano meno di tre mesi. Se è assolutamente necessario uscire, coprirlo molto bene vestendolo a strati.
I cardiopatici dovrebbero uscire solo se strettamente necessario, evitando sempre sforzi eccessivi (come spalare neve o spingere l'auto) e possibilmente uscire accompagnati.

Il freddo e l'alimentazione

Durante i mesi freddi l'organismo ha bisogno di assumere una quantità maggiore di energia rispetto agli altri periodi, ma non bisogna esagerare nell'introdurre cibi più calorici o in maggiore quantità. L'aumento deve essere contenuto entro il 10% delle calorie necessarie, altrimenti si rischia a fine inverno di ritrovarsi con qualche chilo in più.
Inoltre occorre fare attenzione al consumo di alcool. La diffusa credenza che bevendo alcool ci si riscalda è priva di fondamento. L'alcool infatti in realtà non aumenta la temperatura corporea, dà semplicemente una sensazione di calore a causa della vasodilatazione. Questo è addirittura controproducente perché la dilatazione dei vasi sanguigni superficiali causa una ulteriore dispersione di calore e comporta un veloce raffreddamento del corpo.
Infine soggiornare a lungo in ambienti riscaldati aumenta il fabbisogno di acqua dell'organismo: è bene quindi bere molta acqua

12 dic 2010





Benefica eroina:la vera,curiosa storia della droga più distruttiva del secolo.In realtà fu considerata a lungo un portentoso medicamento e messa in commercio dalla Bayer insieme all'aspirina



Una storia davvero curiosa e istruttiva, emersa recentemente. Quando cioe' la piu' pericolosa delle droghe era considerata un farmaco dalle molteplici indicazioni. Ed era "promossa" con slogan pubblicitari - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - La vera storia dell' eroina e' venuta recentemente alla luce dopo che, nel 1990, la Bayer, la casa farmaceutica che l' aveva messa per prima in commercio, ha finalmente aperto i suoi archivi. Con sorpresa si e' cosi' saputo che non era vero che l' eroina era stata sintetizzata per la prima volta alla Farbenfabriken Friedrich Bayer and Company, antico nome della societa' . Invece la sintesi della diacetilmorfina, il nome chimico dell' eroina, era in realta' gia' avvenuta circa 20 anni prima, nel 1874, in un oscuro laboratorio ad opera di un chimico chiamato Wright. Sfortunatamente per lui, alcuni suoi colleghi farmacologi, dopo averla sperimentata sulla rana e sul coniglio, ne avevano decretato l' inutilita' clinica. Come l' Aspirina. La seconda nascita della diacetilmorfina si verifica invece il 21 agosto 1897 ad opera del chimico della Bayer, Felix Hoffmann. Tra i chimici tedeschi c' era allora la convinzione che il processo di acetilazione degli alcaloidi naturali poteva originare composti meno tossici, piu' attivi e soprattutto piu' redditizi. Hoffmann, d' altra parte, aveva una ragione in piu' per apprezzare questa tecnica: neanche due settimane prima della neo sintesi dell' eroina aveva acetilato l' acido salicilico, offrendo alla Bayer la molecola dell' Aspirina. Largo respiro. La vera storia dell' eroina rivela un' altra sorpresa: la molecola non fu sintetizzata alla Bayer allo scopo di ottenere un antidoto della morfina, come si pensava. L' idea iniziale del farmacologo della Bayer, Heinrich Dreser, era invece quella di ottenere un prodotto piu' attivo della codeina nel migliorare la funzione respiratoria e nel calmare la tosse. Quello delle malattie dell' apparato respiratorio era gia' allora un mercato molto redditizio, anche perche' allora la tubercolosi polmonare era una malattia diffusa. A Dreser l' idea che l' eroina potesse migliorare la funzione respiratoria venne dall' osservazione degli animali da esperimento trattati con eroina: questa riduceva gli atti respiratori e, secondo Dreser, ne aumentava la profondita' . Quella che era la conseguenza della depressione dei centri del respiro venne interpretata come maggiore efficienza respiratoria. Se gli animali respiravano meglio il farmaco poteva giovare ai tanti malati di tubercolosi e perfino... agli alpinisti: infatti uno slogan della propaganda medica aveva definito l' eroina "la digitale del respiro". Dopo che Dreser pubblico' il suo primo lavoro farmacologico su quel surrogato della codeina, utile nell' "economizzare" la respirazione, perche' "approfondisce ciascun atto respiratorio", i piu' grossi farmacologi tedeschi, russi, francesi, inglese, ungheresi, svedesi e svizzeri si scatenarono per confermare i risultati di Dreser. Una panacea. Tra il 1899 e il 1905 vennero pubblicati 18 lavori clinici sull' eroina e nel 1910 i lavori clinici eseguiti con l' eroina includevano almeno 10 mila pazienti. La grande maggioranza degli studi giudico' l' eroina positivamente, alcuni lavori erano addirittura entusiastici. Nessuno parlava di "dipendenza iatrogena" ad eccezione di qualche voce dissidente. Bisogna riconoscere che il problema della dipendenza era relativamente limitato perche' l' eroina era somministrata per bocca alle dosi di 5 mg, anche se piu' volte al giorno. Dopo alcuni anni dalla sua introduzione, l' uso clinico dell' eroina venne peraltro esteso ben oltre le patologie respiratorie. Secondo la letteratura medica di allora l' eroina poteva avere almeno 30 indicazioni cliniche negli adulti, nei bambini, nelle donne gravide: l' angina pectoris, l' insufficienza miocardica, l' aneurisma aortico, la disfagia, il cancro dello stomaco, l' influenza, la sclerosi multipla, le malattie ginecologiche (tamponi impregnati di eroina), il parto e la narcosi. Alcune indicazioni sembrano oggi davvero bizzarre: febbre, ipertensione, singhiozzo, demenza, depressione, psicosi. Una possibile giustificazione del successo dell' eroina era la sua capacita' euforizzante. L' antisesso. L' eroina venne usata anche come antiafrodisiaco "per attenuare l' eccesso patologico della libido, inclusa la ninfomania". L' idea iniziale di questa applicazione venne al medico parigino Heins che aveva osservato come alcuni pazienti maschi, nonostante avessero grossi problemi respiratori, "non negavano nulla a Venere". Dopo brevetrattamento con eroina, questi pazienti lamentarono impotenza. Oggi l' impotenza e' un riconosciuto effetto collaterale. Nella legalita' . Nel 1899 la Bayer esportava l' eroina in 23 Paesi. Fino al 1913 la produzione annuale era "limitata" a una tonnellata. Ben presto pero' , non esistendo brevetto, almeno 20 ditte farmaceutiche, di cui 14 in Germania, si misero a produrre la "miracolosa" diacetilmorfina. Dopo il 1920 molte ditte farmaceutiche che producevano eroina, tra le quali Hoffmann La Roche, C.H. Bohringer e Sohn, Roessler fils e Co., riuscivano a eludere "La Hague Opium Convention" del 1912 e la Convenzione sull' Oppio di Ginevra del 1925, vendendo tonnellate di eroina al mercato nero fino al 1930. Oggi l' uso medico dell' eroina e' legalmente autorizzato solo in Inghilterra, Belgio, Canada, Irlanda, Malta e Svizzera. L' Inghilterra consuma il 95% della produzione legale di eroina, pari a kg 300 all' anno, come analgesico, ma anche nel trattamento dei tossicodipendenti. Nel 1970 il Comitato americano per il trattamento del dolore intrattabile, aveva chiesto la legalizzazione dell' eroina per il trattamento dei pazienti terminali. Tale richiesta non e' stata accolta, sulla base di severi studi clinici che avevano concluso che l' attivita' analgesica dell' eroina non era superiore a quella di altri oppioidi gia' in commercio, meno pericolosi.

*ordinario di Neuropsicofarmacologia Univ. di Cagliari

Gessa Gian Luigi

11 dic 2010





Share163 Alok Jha, science correspondent The Guardian, Wednesday 1 December 2010 Article history
Among well-nourished people, an increase in fruit and vegetable intake will have little impact on cancer risk.
Eating lots of fruit and vegetables will do little to reduce your risk of developing cancer, according to a review of a decade of research involving more than a million people. It concluded that maintaining a healthy weight and cutting down on smoking and drinking are far better ways to ward off the disease.

Vegetables and fruit are important for a healthy diet but the review says that eating increased amounts does not seem to offer much protection against cancer.

"There's strong scientific evidence to show that, after smoking, being overweight and alcohol are two of the biggest cancer risks," said Tim Key, an epidemiologist from Oxford University, who wrote the review.

In an article published today in the British Journal of Cancer, Key summarised the epidemiological evidence from more than a million people taking part in several dozen long-term research projects looking at the amount of fruit and vegetables people eat and their overall cancer risk. He also studied specific cancers of the gastrointestinal tract, lung and breast.

Key found little, if any, connection between eating lots of fruits and vegetables and the likelihood of developing cancer. "The conclusion implies that, at least in relatively well-nourished westernised populations, a general increase in total fruit and vegetable intake will not have a large impact on cancer rates," he wrote. "A certain level of intake is necessary to prevent nutrient deficiencies, but intakes above that level do not make the relavant tissues 'super healthy'."

The studies included data from the European Prospective Investigation into Cancer and Nutrition, the Pooling Project based at Harvard University, and the National Institutes of Health and American Association of Retired Persons Diet and Health Study.

The idea that fruit and veg might help reduce cancer rates was first postulated in the 1970s, when the results of a small-scale study showed that, after controlling for smoking, people with reduced intakes of vitamin A were at increased risk of lung cancer. By the 1990s, scientists were concluding that "for most cancer sites, persons with low fruit and vegetable intake experience about twice the risk of cancer compared to those with a high intake, even after control for potentially confounding factors."

But these "case-control" studies – where people with a disease are matched with controls who do not have the disease – still suffered from confounding factors. "While a lot of those [earlier] case-control studies do try and adjust for how much people smoke and how much people drink, there's always a worry that you haven't completely adjusted for that because smoking and drinking have such a massive impact on the risk of those cancers," said Ed Yong, head of health evidence and information at Cancer Research UK.

Key said case-control studies can suffer from two main types of bias. "One is that people with cancer may be under treatment so it may affect how they remember what they used to eat in the years before they developed cancer. They may be feeling ill or under strong medical treatment."

A bigger problem is with the selection of the control group, which might not be entirely random. "People who come forward are those interested in health and related behaviours," said Key. "The controls may well appear to have a healthy diet because the potential controls with an unhealthy diet may have stayed in the pub eating chips and beans and not volunteered to be studied."

A better way to analyse the relationship between diet and cancer is to conduct "prospective studies", which ideally follow hundreds of thousands of people who don't have cancer. "They tell you what they eat and you follow them until, inevitably, some of them do develop cancer," said Key. "But you made the measurements when they're healthy, so the biases don't apply. Those types of studies have been coming out in the last 10-15 years and have not supported the original findings [from case-control groups]."

Key's review supports work published in April in the Journal of the National Cancer Institute. Paolo Boffetta from the Tisch Cancer Institute at Mount Sinai School of Medicine in New York found that eating a lot of fruit and vegetables has only "a very modest" protective effect against cancer. That conclusion was based on a decade of research on almost 500,000 people in 10 European countries.

Despite the results of the studies, Yong said it was still a good idea for people get their minimum daily five portions of fruits and vegetables. "It's not a bad message because it could help people to lose weight, which is a massive cause of cancer, and it could displace other [unhealthier] things in their diet," he said. "There's no harm to eating lots of fruits and vegetables and there are benefits for other diseases as well, such as heart disease."