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30 giu 2011



Paleopatologia

Francesco I e Bianca de' Medici
Non fu omicidio ma malaria

Svelato da scienziati dell'Università di Pisa e Firenze, specialisti in «cold case», un giallo vecchio di 500 anni


Francesco I: non venne assassinato
MILANO - Bianca era bellissima. Secondo la leggenda Francesco I dè Medici, il Granduca di Toscana, la vide affacciata a una finestra di Piazza San Marco, a Firenze, e subito se ne innamorò. Entrambi erano sposati: lei, veneziana di nobili origini, era arrivata in città dopo aver sposato un fiorentino che non riusciva a garantirle la vita agiata alla quale era abituata. Francesco, despota più dedito ai propri piaceri che all'amministrazione e alla politica, aveva sposato Giovanna d'Austria, ma con lei, che non era riuscita a dargli un erede maschio, era infelice. Francesco e Bianca, amanti per anni, si sposarono subito dopo la morte dei due coniugi (il marito di lei ucciso in una colluttazione, dietro cui molti hanno visto la mano di Francesco; la moglie del Granduca di malattia), ma i fiorentini non li amavano e si dice che Ferdinando, fratello di Francesco e secondo nella linea di successione al Granducato, tollerasse appena la presenza di Bianca a corte.

Nell'autunno del 1587, dopo una battuta di caccia nella zona delle risaie di Poggio a Caiano a cui aveva partecipato anche Ferdinando, Francesco e Bianca si ammalarono e morirono a distanza di 11 ore l'uno dall'altra, fra il 19 e il 20 ottobre. Entrambi avevano avuto per oltre dieci giorni febbri altissime e violenti sintomi gastrointestinali. Tutti pensarono all'avvelenamento con l'arsenico: ci fu chi incolpò Ferdinando, chi disse che Bianca voleva uccidere Ferdinando con una torta avvelenata, mangiata per sbaglio dal marito e quindi da lei stessa, pazza di dolore per l'errore commesso. Le autopsie ordinate da Ferdinando parlarono invece di "febbre terzana maligna", come allora si chiamava la malaria.

Che cosa uccise davvero Francesco e Bianca? Il giallo è stato risolto di recente da Gino Fornaciari, direttore della Divisione di Paleopatologia, Storia della Medicina e Bioetica dell'Università di Pisa e coordinatore del "Progetto Medici", condotto in collaborazione con l'Università di Firenze e la Sovrintendenza per il Polo Museale fiorentino. A partire dal 2004 Fornaciari ha riesumato i corpi di una ventina di esponenti della nobile famiglia toscana sepolti a Firenze nelle Cappelle Medicee, sottoponendoli ad autopsia quasi 500 anni dopo la morte. Nato per ricostruire stile di vita, ambiente e malattie del casato fiorentino, il progetto sta svelando molti misteri; un lavoro paziente, che confronta i dati storici con tutto ciò che emerge dalle analisi dei cadaveri grazie a tecniche moderne. «I materiali ossei sono molto ben conservati, abbiamo potuto condurre analisi di biologia molecolare e del Dna senza grossi intoppi - racconta Fornaciari -. Abbiamo analizzato il corpo di Francesco, perché il cadavere di Bianca non è mai stato ritrovato, ma i dati raccolti sul Granduca sono inconfutabili: quando una persona muore di malaria, il Plasmodio che ne è responsabile si diffonde in tutti i tessuti, compreso lo scheletro e le ossa spugnose. Aver trovato chiare tracce di proteine del Plasmodio nelle ossa di Francesco equivale a una conferma: morì di malaria».

Niente arsenico, che tra l'altro non avrebbe dato le febbri violente che segnarono l'agonia di Francesco e Bianca: fu colpa della malaria contratta durante una battuta di caccia, proprio come era successo pochi anni prima alla madre e a due fratelli di Francesco, anch'essi al centro di leggende "nere" che Fornaciari ha smentito grazie ai suoi studi. Il cardinale Giovanni, don Garzia ed Eleonora di Toledo, figli e moglie del Granduca Cosimo I dè Medici, morirono tutti nell'arco di un mese, fra novembre e dicembre del 1562. Morti tanto repentine e ravvicinate da far nascere sospetti: secondo la tradizione, il quindicenne Garzia avrebbe ferito a morte Giovanni durante una lite; Cosimo I lo avrebbe vendicato uccidendo lo stesso Garzia. Eleonora sarebbe morta di lì a poco di crepacuore. Una versione dei fatti che oggi sappiamo essere infondata grazie ai risultati emersi dal Progetto Medici. «Abbiamo trovato il Plasmodio nelle ossa di tutti e tre, sono morti di malaria» spiega Fornaciari.


T utto ebbe inizio con un viaggio di Cosimo I in Maremma, terra di malaria per altri secoli a venire. Cosimo fu sconsigliato dai medici, ma volle comunque partire per inaugurare coltivazioni, promuovere la costruzione di edifici, controllare i lavori di bonifica; portò con sé la moglie e tre figli adolescenti, don Garzia, Giovanni (già arcivescovo di Pisa ad appena 19 anni) e Ferdinando. Durante il viaggio Cosimo e i figli non rinunciarono alla caccia, nonostante l'autunno fosse il periodo in cui la "febbre terzana" faceva più vittime. Quando la famiglia il 15 novembre raggiunse la costa toscana, a Rosignano, Giovanni manifestò i primi sintomi; la febbre, inizialmente leggera, gli consentì di arrivare a Livorno, ma qui peggiorò e Giovanni morì il 20 novembre, in appena 5 giorni. Di lì a poco pure don Garzia e Ferdinando si ammalarono: Ferdinando per due mesi ebbe febbri intermittenti, ma riuscì a sopravvivere e diventò il terzo Granduca di Toscana, dopo la morte del padre e del fratello Francesco I; don Garzia, invece, morì il 12 dicembre. Eleonora contrasse anche lei la malaria: aveva appena 40 anni, ma indebolita da undici parti e dalla tubercolosi, come le indagini dei paleopatologi hanno oggi confermato, morì in breve tempo. Le autopsie condotte già allora deposero a favore della malaria; le malelingue hanno tramandato un'altra versione, meno tristemente banale della vicenda. Abbiamo dovuto aspettare 500 anni e le attuali tecniche d'indagine scientifica per riaprire questi "cold case" e conoscere la verità.


Alice Vigna
29 giugno 2011



I viaggi a rischio dei bimbi (in auto)

Sei su dieci viaggiano senza seggiolino.
L'Aci: basta poco per evitare tragedie


6 bambini su 10 non mettono il seggiolino
MILANO - Il sessanta per cento dei bambini italiani viaggia in automobile senza essere stato messo sul seggiolino. Forse i genitori al volante non sanno che gli incidenti stradali sono la prima causa di morte nella fascia d'età fra i 5 e i 14 anni. Solo nel 2009, secondo gli ultimi dati Aci/Istat, in media è morto un bimbo di quell'età ogni cinque giorni. Per questo il nuovo Codice della strada (articolo 172) impone l'obbligo di utilizzarli ed è severo con gli indisciplinati. La multa, infatti, arriva sino a 306 euro e la sottrazione di cinque punti dalla patente. Non conviene fare i «pirati». Se si ricommette l'infrazione, entro due anni dalla prima, scatta la sospensione del permesso di guida fino a 2 mesi.


L'allarme sui seggiolini, ieri, è stato lanciato dall'Automobile club d'Italia che ha condotto test su trenta modelli in commercio. In negozio la scelta è davvero ampia: dalle cosiddette navicelle per trasportare i neonati in orizzontale a quelli che integrano seduta e schienale, fino ai cuscini-rialzi, per consentire alla cintura di passare all'altezza della clavicola. I risultati dell'indagine, visibili sul sito www.aci.it, sono confortanti. L'83% dei dispositivi ha superato l'esame: 1 con il massimo dei voti, 15 sono stati giudicati «buoni», 6 «soddisfacenti», 2 «appena sufficienti». Cinque i bocciati. Segno che l'industria ha compiuto passi da gigante in tema di sicurezza e comfort. Gli automobilisti quindi non hanno davvero scuse. L'Aci ha anche adottato fra i parametri di giudizio la presenza di sostanze pericolose per i bimbi. Sono 5 i modelli su cui è stato riscontrato un eccesso di materiali dannosi per la salute e in 2 una quantità di diottilftalato «Dehp» superiore ai limiti di legge per i giocattoli.


«I risultati evidenziano un miglioramento degli standard di protezione - spiega Enrico Gelpi, presidente dell'Aci - ma spesso istruzioni poco chiare per l'uso e il montaggio compromettono l'efficacia dei dispositivi. Serve quindi più informazione per far accrescere la consapevolezza». Per questo, l'Aci ha lanciato un programma di corsi rivolti ai genitori chiamato «Trasportaci Sicuri». Le lezioni avvengono in diverse sedi: Aci, Asl, ospedali e nelle scuole. «Troppi automobilisti però hanno una scarsa cultura della sicurezza - prosegue Gelpi - anche a scapito dei propri figli come ad esempio il fatto di non leggere bene le istruzioni». Un passaggio fondamentale perché non posizionare o non usare correttamente i seggiolini ne compromette l'efficacia. Le regole per far viaggiare sicuri i bambini sono semplici. Innanzitutto devono essere alloggiati in un seggiolino adatto al loro peso. Ci sono dei gruppi che vanno da 0 (sino a 10 kg) al 3 (sino a 36 kg). Quindi, in media, i seggiolini vanno utilizzati sino ai 12 anni. Le cinture di sicurezza e gli airbag sono, infatti, progettati per gli adulti e non offrono una protezione corretta ai bambini, risultando addirittura pericolosi per i più piccoli in caso di incidente. Per questo motivo va disattivato l'airbag del passeggero nel caso in cui si viaggi con il seggiolino ancorato sul sedile a destra del guidatore. In fase d'acquisto va controllato anche l'omologazione. Solo quelli con l'etichetta color arancio e la dicitura (ECE R44) sono in regola. La linguetta, solitamente, si trova sul retro o alla base. Se manca o è di colore diverso è meglio cambiare negozio.

«Non occorre essere "scienziati" per viaggiare sicuri con i bimbi - spiega Giordano Biserni, presidente dell'Associazione amici polizia stradale - ma basta informarsi. Per questo abbiamo regalato alla polizia municipale di Forlì un migliaio di copie di un manuale molto semplice che spiega come comprarli e come utilizzarli. Così, l'agente può illustrare agli automobilisti come non prendere più una multa e salvare una vita. Certo i seggiolini costano e per questo vorrei che il governo abbassasse o annullasse almeno l'aliquota Iva. Magari molti sarebbero invogliati all'acquisto e si salverebbero delle vite». Basti pensare che, per l'Organizzazione mondiale della sanità, il corretto utilizzo dei seggiolini riduce del 70% il rischio di decesso in caso di incidente.

Alessio Ribaudo
29 giugno 2011

29 giu 2011


Benefici dell'aria aperta
Tre ore di luce solare al giorno per dimezzare il rischio di cancro al seno
Passare più tempo all'aria aperta può aiutare a prevenire il tumore del seno -

La luce solare presa adeguatamente può avere un potente effetto anticancro. Lo studio
Un nuovo studio, pubblicato sull’American Journal of Epidemiology suggerisce che la luce solare è un prezioso alleato nella lotta al cancro, anzichenò. Se presa con le dovute precauzioni e in misura adeguata, difatti può addirittura dimezzare il rischio di cancro al seno.

Il merito è dell’azione combinata dei raggi solari con la produzione di vitamina D. Dai risultati ottenuti dai ricercatori canadesi si scopre che le differenze tra le vittime di cancro al seno erano dettate dalla misura della loro esposizione alla luce solare. Comparando i dati di 3.101 donne colpite dal cancro della mammella con quelli di 3.471 donne sane, si è difatti scoperto come a seconda dell’età e dell’esposizione il rischio di cancro scendeva della metà.

Nello specifico, le donne seguite dai ricercatori avevano un’età diversa e sono state interrogate sul loro stile di vita e su quanto tempo avevano trascorso all’aria aperta a partire dall’adolescenza, e poi a 20, 30, 40, 50, 60 e 74 anni.
Dai dati raccolti e analizzando quelli relativi ai casi di cancro, gli scienziati hanno potuto verificare che chi si era esposta alla luce solare per almeno 21 ore alla settimana durante i primi trent’anni di vita, o in generale, aveva il 29% di rischio in meno di ammalarsi di cancro, rispetto a quelle che stavano all’aria aperta meno di un’ora al giorno.

Le donne che avevano passato più tempo all’aria aperta fino ai 40 o 50 anni vedevano scendere le probabilità di sviluppare il cancro del 26%; chi lo aveva fatto fino ai sessant’anni o più vedeva dimezzare il rischio.
Ecco quindi come un semplice comportamento possa, a volte, fare la differenza. Senza andare a cercare chissà quale espediente per prevenire una malattia grave come il cancro, basta cercare di passare un po’ più tempo all’aria aperta.
[lm&sdp]

28 giu 2011


evoluzione


Quando l'uomo perse le spine (del pene)

La monogamia e un pezzo di Dna perduto: i genitali umani si sono differenziati da quelli degli altri animali

MILANO- L’argomento è piuttosto spinoso. Il pene dei maschi della specie umana millenni addietro era dotato di “spine”, piccole escrescenze che è ancora possibile trovare in numerosi primati, come gli scimpanzé, ma anche nei gatti. Spine che a un certo punto della nostra storia evolutiva sono sparite. Un recente studio pubblicato su Nature fa luce su questo evento. «Una piccola, ma affascinante parte del grande quadro che è l’evoluzione dei tratti specifici dell’uomo» ha commentato Gill Bejerano, uno degli autori della ricerca che ha fornito una lettura molecolare a una discussione che si trascinava da decenni.

BENEDETTA MONOGAMIA - Quella delle spine del pene umano, infatti, non è una faccenda nuova. Sul perché nel tempo il nostro organo sessuale maschile si sia differenziato da quello di altri primati si accavallano da tempo diverse ipotesi. La più accreditata vuole che nelle altre specie, il pene “spinoso” sia un tratto emerso nei millenni perché conveniente per un preciso scopo: in un ambiente in cui le femmine erano solite accoppiarsi con più partner, le spine erano in grado di rimuovere lo sperma degli altri maschi dal canale vaginale della femmina garantendo maggiori probabilità di essere il responsabile della fecondazione. Una caratteristica divenuta superflua (e forse anche controproducente) quando la specie umana adottò una strategia riproduttiva monogama. Tuttavia, come avvenne questo cambiamento fino a oggi non era noto.

LA SOTTRAZIONE CHE CI FA UMANI - Ed è questo che hanno cercato di spiegare i ricercatori americani indagando in modo insolito e sfatando il luogo comune che vede l’uomo come il vertice della catena evolutiva e l’evoluzione come l’aggiunta progressiva dei tasselli che ci hanno fornito le nostre peculiarità. Il team, dunque, piuttosto che cercare quel che l’uomo ha in più rispetto alle altre specie strettamente imparentate, ha ricercato quei pezzi di Dna che nel percorso evolutivo la specie umana aveva perso rispetto allo scimpanzé. «Come spesso avviene con le buone idee, con il senno di poi la conclusione sembra quasi ovvia» ha affermato Svante Pääbo del Max Planck Institute for Evolutionary Anthropology di Leipzig in Germania. «Qualcosa che ci ricorda come nel corso dell’evoluzione l’informazione può essere sia guadagnata sia persa» ha aggiunto Sean Carroll, un esperto di genetica animale della University of Wisconsin di Madison.

SPINE, PELI E CERVELLO - Nel corso della ricerca sono state individuate più di 500 particolari mancanti, ma due porzioni di Dna, in particolare, hanno suscitato l’interesse degli scienziati. La difficoltà stava tutta nel capire quali fossero le loro funzioni. Per questo hanno inserito queste due sequenze di Dna nel genoma di embrioni di topi di laboratorio, scoprendo che una di esse era responsabile proprio della crescita delle spine del pene, oltre che di vibrisse (quei peli presenti in alcuni animali e che funzionano come recettori tattili). «Tutte le coppie possono essere grate a questo pezzo di Dna andato perduto» ha commentato non senza ironia David Haussler, dell’University of California di Santa Cruz. Ma non meno interessante è risultata la funzione della seconda sequenza di Dna identificata: impedisce la crescita di alcune aree del cervello, probabilmente corrispondenti a funzioni divenute superflue per l’uomo. E non è da escludere che proprio questo spazio vuoto nella nostra scatola cranica abbia consentito lo sviluppo di altre parti del cervello che ci danno invece caratteristiche tipicamente umane.

Antonino Michienzi

25 giu 2011




Volete stare a dieta?
Mangiate anche con gli occhi

Osservare l'aspetto del cibo aiuta a non esagerare


Cibo che si mangia
MILANO- Non è una novità che quando si guarda la televisione durante i pasti è facile mangiare di più perché si distoglie l'attenzione dal cibo. La novità, però, è che, oltre a non distrarsi, conviene proprio concentrarsi sulle caratteristiche dei piatti, perché questo aiuta ad imprimersele nella memoria e a ricordarsene davanti ad eventuali tentazioni.


Lo hanno verificato alcuni ricercatori dell'Università inglese di Birminghamin uno studio appena pubblicato on line su Appetite. In questa ricerca, una trentina di studentesse universitarie (età media 20 anni e normopeso) sono state invitate a consumare il pranzo e, più tardi, uno spuntino, presso i laboratori dell'Università. Le ragazze sono state divise in tre gruppi. Quelle appartenenti al primo ("concentrate sul cibo") ascoltavano, durante il pranzo, un file audio che le guidava a prestare attenzione alle caratteristiche sensoriali degli alimenti (quali aspetto e gusto), alla loro provenienza e ad altri elementi legati al pasto (come la velocità con cui masticavano). Le ragazze del secondo gruppo, invece, dovevano leggere durante il pranzo un articolo su un argomento legato al cibo, mentre quelle del terzo gruppo dovevano solo mangiare, senza altre occupazioni. Il pasto era uguale per tutte, mentre lo spuntino pomeridiano (a base di biscotti) poteva essere consumato a volontà. I ricercatori hanno osservato che la quantità di snack consumata dal primo gruppo era significativamente inferiore rispetto agli altri due.

I segnali visivi rappresentano senz'altro uno dei fattori più importanti non solo per ricordare quello che si è mangiato nelle ore precedenti, ma anche durante il pasto, per avvertire quando è il momento di fermarsi. Lo conferma un altro studio, sempre pubblicato su Appetite, nel quale si è osservato che, quando i partecipanti mangiavano in un ristorante completamente al buio, perdevano i riferimenti sulle quantità di cibo ingerite e sulla sazietà da esso indotta, confermando così il detto: «si mangia con gli occhi oltre che con la bocca». Ma come focalizzare l'attenzione sulle caratteristiche dei cibi? «Negli ultimi anni - risponde Luisa Torri, docente di analisi sensoriale all'Università degli Studi di Scienze gastronomiche di Bra (CN) - diversi lavori scientifici hanno dimostrato che la memoria gioca un ruolo importante nel regolare l'appetito e la sazietà. Poiché la letteratura suggerisce che il ricordo di un primo pasto possa controllare l'assunzione di cibo nel resto della giornata, per favorire la memorizzazione degli alimenti, un semplice consiglio può essere quello di valutare sempre con attenzione tutte le caratteristiche sensoriali di ciò che mangiamo. Si parte osservando l'aspetto, si passa poi a considerare l'aroma, si continua con la ricerca dei gusti fondamentali e dei flavour (vedi grafico) e si conclude con l'analisi della struttura del cibo in bocca. Infatti, provando ad individuare le caratteristiche globali di aspetto e sapore di un piatto e a cogliere le specificità sensoriali dei suoi ingredienti (pensiamo per esempio alla freschezza data da alcune erbe aromatiche come la menta o al piccante del peperoncino e del curry) si può favorire un processo cognitivo che da una parte rafforza il ricordo e dall'altra aumenta il livello di gradimento e soddisfazione».

C. F.
24 giugno 2011

24 giu 2011


23/06/2011 - contro l'insufficienza cardiaca
Estratto di pino migliora la salute del cuore


Un estratto di corteccia di pino è utile nel trattamento degli scompensi cardiaci -
L’estratto di corteccia di pino in combinazione con il Coenzima Q10 migliora la funzione cardiaca e la salute del cuore. Lo studio italiano
Sono stati lo Pycnogenol e il Kaneka CoQ10 uniti insieme a formare lo PycnoQ10 a essere oggetto di uno studio italiano a cura dell’Università di Chieti-Pescara, e coordinato dal dottor Gianni Belcaro. Queste due sostanze sono state ritenute efficaci nel migliorare la funzione cardiaca.

In un momento in cui le diagnosi di scompensi cardiaci sono in costante aumento – forse complici la scarsa attività fisica, stili di vita errati e dieta squilibrata – ben venga la notizia che si possa beneficiare di potente, quanto naturale, complemento per promuovere la salute del cuore.
Gli scompensi cardiaci di questo genere, tra gli altri, si mostrano con un indebolimento del muscolo cardiaco che non riesce più a pompare adeguatamente il sangue. La patologia, come sappiamo, può essere invalidante e potenzialmente mortale.

«Molte condizioni che portano a insufficienza cardiaca non possono essere invertite, ma l’insufficienza cardiaca può spesso essere gestita dal medico con buoni risultati. Questo studio dimostra che una combinazione di Pycnogenol e CoQ10 offre una soluzione efficace, come coadiuvante naturale per la gestione della salute del cuore», ha commentato il dott. Gianni Belcaro, che ha condotto questo studio osservazionale per 12 settimane – in singolo cieco, controllato con placebo – per valutare l’efficacia di una supplementazione di Pycnogenol e Kaneka CoQ10 in 53 pazienti.

I partecipanti avevano un’età compresa tra 54 e i 68 anni con diagnosi di ipertensione da lieve a moderata, insufficienza cardiaca congestizia stabile. A questi, poi, era stata diagnosticata uno scompenso cardiaco con frazione di eiezione inferiore al 40% della loro capacità originale.
Questa frazione d’eiezione è stata misurata mediante ultrasuoni ad alta risoluzione. Dopo aver valutato altri criteri di inclusione si è passati alla sperimentazione.
I pazienti sono così stati divisi in due gruppi. Quelli appartenenti al primo gruppo hanno ricevuto 7 capsule da assumere ogni giorno, dopo colazione, con una combinazione di 15 mg di Pycnogenol e 50 mg di CoQ10 Kaneka. Quelli del secondo gruppo hanno invece ricevuto del placebo i capsule, il tutto in aggiunta alla loro normale terapia a base di farmaci.

Al termine delle 12 settimane di follow-up , i dati raccolti con le analisi hanno mostrato che vi era diminuzione significativa della pressione sistolica e diastolica, nonché una diminuzione della frequenza cardiaca nel gruppo trattato con le capsule a base di PycnoQ10, rispetto al miglioramento di poco conto del gruppo di controllo. Altro dato interessante è che si è mostrata anche una notevole diminuzione della frequenza respiratoria nei pazienti del primo gruppo. Infine, anche la frazione di eiezione cuore è aumentata significativamente del 22,4% dopo il trattamento, mentre è solo leggermente diminuita nel gruppo di controllo.
[lm&sdp]


23/06/2011 - il pericolo in casa
Ancora batteri killer. Ora tocca al cuscino, fonte di agenti patogeni
Anche il cuscino può essere fonte di agenti patogeni -

Foto: ©photoxpress.com/leslie

Un’altra fonte di germi patogeni è il cuscino, che dopo due anni di uso diventa un incubatore di pericolosi germi
Ormai siamo arrivati al punto di scoprire che i germi patogeni si nascondono dappertutto. Dopo i cetrioli e tutti gli altri alimenti passati in rivista e sotto accusa, la lavastoviglie e gli altri elettrodomestici, ora tocca a quel complemento d’arredo su cui poggiamo la nostra testa ogni notte, il cuscino.

Secondo gli scienziati britannici del Servizio Sanitario Nazionale che hanno condotto un’indagine a tale proposito, il cuscino dopo due anni di utilizzo diventa una vero e proprio albergo per i più disparati e pericolosi esseri: agenti, non segreti, ma patogeni. Ossia portatori di malattie.
Lo studio che ha preso in esame le condizioni igieniche e sanitarie dei cuscini è stato condotto dagli scienziati del St Bartholomew's Hospital (Barts) di Londra in collaborazione con il National Health Service e mostra come dopo due anni di utilizzo ben un terzo di un cuscino standard diviene, per esempio, abitato da un considerevole numero di acari della polvere, secrezioni e feci di questi organismi. Ma nei cuscini troviamo anche pelle morta, residui di saliva e, naturalmente batteri di varia natura.

L’esigenza di valutare le condizioni sanitarie dei cuscini, con un’inchiesta condotta dapprima negli ospedali inglesi, è nata a seguito della constatazione che proprio i cuscini erano stati accusati di favorire la diffusione delle infezioni, tra cui quella del micidiale Stafilococco aureo.
Il coordinatore dello studio, dottor Art Tucker, ritiene che il cuscino diventi un vero e proprio incubatore di germi e, di conseguenza, terreno fertile per una buona varietà di malattie. La raccomandazione, quindi è quella di sostituire periodicamente il cuscino, anche se sulla confezione c’è scritto “antiacaro”.

Bene. Adesso aspettiamo di scoprire quale altro oggetto, alimento o chissà che, attenti alla nostra salute senza che noi lo sapessimo. Incrociamo le dita.
[lm&sdp]

21 giu 2011



Salpata da Livorno con 40 pazienti a bordo, nell’ambito della “Giornata nazionale”
UNA BARCA A VELA CONTRO LE LEUCEMIE
Crociera nel mar Tirreno a scopo riabilitativo. L’arrivo a Cagliari il 29 giugno. “Perché non venga meno la speranza”, ha detto Franco Mandelli, presidente dell’AIL


LIVORNO - E’ salpata dal Porto Mediceo di Livorno la barca oceanica “Sognando Itaca”, in occasione della “Giornata Nazionale contro le leucemie ed i tumori del sangue” . A bordo,per una crociera che toccherà altri sei porti e che si concluderà a Cagliari il 29 giugno prossimo dopo un viaggio di 1200 miglia, si alterneranno circa 500 pazienti. Saranno accompagnati da medici,infermieri e psicologi e coordinati dallo skipper Luciano Galloni. Responsabile a bordo, Dario Bio,dell’AIL di Brescia.
A salutare i naviganti, che toccheranno le località di Ostia,Salerno,Reggio Calabria,Catania e Palermo,era presente il presidente nazionale dell’Ail, Franco Mandelli. Lo scopo- ha detto- è di far vivere ad ognuno, nell’ ottica riabilitativa,una giornata calibrata sugli stimoli che solo la vela può regalare,andare oltre cioè i limiti che sono dentro di noi. Si tratta di persone di varia età,provenienti da sette Centri ematologici, finalizzati alla riabilitazione psicologica ed al miglioramento della qualità della vita.
Per noi, ha aggiunto Mandelli,è la barca della serenità che ci serve per affrontare meglio la malattia. Anche se soltanto una persona potrà trarne giovamento,l’iniziativa avrà senz’altro raggiunto il suo scopo. In particolare, voglio dedicarla a Vanessa, una ragazza scomparsa a causa di una particolare forma di leucemia solo alcuni anni fa e che oggi,al contrario,sarebbe stata perfettamente curata. Ecco perché la speranza non può e non deve morire mai.
Secondo Dario Bio, i pazienti,dopo le precedenti esperienze sul lago di Garda ed in mare Adriatico,vivranno emozioni capaci di farli uscire dal buio della malattia e condurli verso la luce della Speranza. In ogni porto,ha concluso,un gruppo di volontari AIL (Associazione Italiana contro le leucemie, il mieloma ed i linfomi), s’ occuperà d’accogliere gli ospiti.
Ogni anno, solo oltre diecimila gli italiani che vengono mediamente colpiti da questo gruppo di affezioni del sangue. Nell’incontro medico svoltosi alla vigilia della “Giornata” a Roma si è parlato in particolare dei progressi terapeutici che si stanno ottenendo contro la leucemia mieloide cronica, con l’impiego del nilotinib. I risultati,dopo due anni di cure, hanno evidenziato come il farmaco sia più efficace e selettivo del precedente, l’imatinib, poiché induce un’elevata incidenza di risposte molecolari complete in tempi rapidi ossia la scomparsa del marcatore della leucemia del sangue nei pazienti.
Ridurre il residuo di malattia – ha precisato Massimo Breccia dell’Università romana de La Sapienza – non è importante soltanto per la minore incidenza delle progressioni, ma anche perché consente d’iniziare a pensare di poter sospendere il trattamento in un futuro prossimo, senza la comparsa di recidive della malattia stessa.

GIAN UGO BERTI (riproduzione vietata)

20 giu 2011


Nutrizione NON SOLO ANORESSIA E BULIMIA
Gli «altri» disturbi
del comportamento alimentare
Sono quelli definiti come «non altrimenti specificati»

Ai due disturbi più noti del comportamento alimentare (anoressia nervosa e bulimia nervosa) si aggiungono i Disturbi del Comportamento Alimentare Non Altrimenti Specificati fra i quali il Disturbo di Alimentazione Incontrollata, in inglese Binge Eating Disorder, sta acquistando un’importanza crescente per i suoi legami con l’obesità. Quest’ultimo è stato descritto per la prima volta da Stunkard nel 1959, caratterizzato dal consumo di ampie quantità di cibo in un breve periodo. Riguarda circa il 20-30% dei soggetti obesi.

COME RICONOSCERLI
 Per il sesso femminile tutti i criteri richiesti per la diagnosi di Anoressia Nervosa in presenza di un ciclo mestruale normale. Tutti i criteri di Anoressia Nervosa sono soddisfatti e, malgrado la significativa perdita di peso, il peso attuale risulta nella norma.
 Tutti i criteri della Bulimia Nervosa risultano soddisfatti, tranne il fatto che le abbuffate e le condotte compensatorie hanno una frequenza inferiore a due episodi alla settimana per tre mesi. Soggetti di peso normale che si dedicano regolarmente ad inappropriate condotte compensatorie dopo aver ingerito piccole quantità di cibo (per es. induzione del vomito dopo aver mangiato due biscotti). Soggetti che ripetutamente masticano e sputano, senza deglutire, grandi quantità di cibo.
 Disturbo da Alimentazione Incontrollata: ricorrenti episodi di abbuffate in assenza delle regolari condotte compensatorie tipiche della Bulimia Nervosa

Criteri diagnostici per il Disturbo dell’ Alimentazione Incontrollata (Binge Eating Disorders)

 Ricorrenti episodi caratterizzati da perdita di controllo alimentare.
 Un episodio è caratterizzato da entrambe le seguenti manifestazioni: Mangiare in un lasso di tempo limitato (per es due ore) una quantità di cibo che è certamente più abbondante di quella che la maggior parte delle persone consumerebbe in un periodo simile ed in simile circostanze.
 Una sensazione di perdita di controllo sull’assunzione di cibo durante l’episodio (per es. sentire che uno non può smetter di mangiare, o controllare quanto o quello che mangia).
 Gli episodi sono associati con tre (o più) delle seguenti caratteristiche:
 Mangiare molto più rapidamente del normale.
 Mangiare fino a sentirsi sgradevolmente pieni.
 Mangiare grandi quantità di cibo quando non si è affamati.
 Mangiare da soli per evitare l’imbarazzo di quando si mangia.
 Sentirsi disgustati con se stessi, depressi o molto in colpa dopo aver mangiato.
 Notevole sofferenza relativa al comportamento alimentare.
 Il Disturbo da Alimentazione Incontrollata si manifesta, in media, almeno due giorni alla settimana per sei mesi.
 Il Disturbo da Alimentazione Incontrollata non si associa con l’uso regolare di condotte compensatorie inappropriate (per es. uso di lassativi, digiuno, eccessivo esercizio fisico) e non si manifesta esclusivamente durante il decorso di Anoressia Nervosa o Bulimia Nervosa.

A CHI RIVOLGERSI
Nel momento in cui ci si rende conto di soffrire di un Disturbo del Comportamento Alimentare sarebbe opportuno rivolgersi al proprio medico oppure ad un centro specializzato nei Disturbi dell’Alimentazione. E’ bene ricordare che un Disturbo del Comportamento Alimentare esprime un disagio psicologico che tuttavia si può riflettere anche gravemente sulla salute fisica. La diagnosi deve essere fatta da uno specialista, possibilmente uno psichiatra, meglio se con specifica formazione nel campo dei disturbi dell'alimentazione. I Centri di Salute Mentale dovrebbero poter offrire informazioni in proposito.

Per gentile concessione dell'Inran (Istituto Nazionale Ricerca Alimenti e Nutrizione)

16 giu 2011


Il professore Rubinstein e Il suono della vita
Prima mondiale, uno stimolatore blocca le vertigini in un malato con squilibri e grave calo uditivo. Da un professore americano nuova tecnica per fermare le crisi vestibolari invalidanti


Il suono della vita
Bologna, 6 giugno 2011 - Non è parente del celebre pianista, ma si è meritato la fama di virtuoso del suono grazie a una serie di interventi chirurgici innovativi che hanno restituito l’udito a bambini sordi dalla nascita. Jay T. Rubinstein, da Seattle, è un pioniere della chirurgia otologica. Ha maturato un’esperienza preziosa con gli impianti cocleari ed è intervenuto al Carlton di Bologna, ospite di Cochlear Italia, per un meeting a porte chiuse con un gruppo di medici italiani. Rubistein è il primo al mondo ad aver impiantato uno stimolatore vestibolare, derivato da un impianto cocleare modificato, a un paziente affetto da labirintite, e con vertigini continue. Forte della sua esperienza, e dei risultati a sei mesi di distanza, si appresta a trattare analogamente altri casi, con l’avvertenza che siamo ancora a livello di ricerca iniziale e dunque c’è ancora tanta strada da fare.

Professor Rubinstiein, che problemi aveva il paziente che lei ha operato?
"Soffriva di sindrome di Menière con violenti attacchi di vertigine. Considerata la frequenza delle crisi, il calo uditivo e il corteo di sintomi invalidanti, abbiamo sviluppato l’idea che un intervento con un device modificato, uno stimolatore derivato dalla tecnologia degli impianti cocleari, sarebbe stato meno invasivo e molto più efficace".

E prima di avere via libera dalle autorità sanitarie americane?
"Eravamo partiti da studi sugli animali, e quando abbiamo visto i benefici, anche in termini di guadagno dell’udito, è stato relativamente facile ottenere l’ok alla prima sperimentazione sull’uomo, con la prospettiva di trattare anche altri pazienti con sindrome di Menière. Il prossimo soggetto di studio sarà una donna".

Come funziona la stimolazione che corregge la vertigine?
"Attraverso una serie di impulsi elettrici, ci sono gruppi di elettrodi miniaturizzati, i più sottili al mondo, collegati nei canali semicircolari, quando accendi il device il nervo viene sollecitato e la percezione del mondo che ti gira attorno viene attenuata. Finito l’attacco, la stimolazione viene spenta dallo stesso paziente".

La sindrome di Menière è relativamente rara, esistono almeno quattro opzioni terapeutiche, ma i disturbi dell’equilibrio sono molto diffusi, c’è chi li paragona alle coliche, da cosa dipendono?
"Una delle cause più frequenti di disordini vestibolari è dovuta a un virus, ed è quello che si vede comunemente nelle astanterie del pronto soccorso: pazienti che improvvisamente accusano vertigini fortissime, crisi che vanno avanti per diversi giorni, e dopo un mese tornano normali senza terapie".

Torniamo alla sua tecnica innovativa, quali i prossimi passi avanti?
"Mi aspetto di avere dieci soggetti impiantati entro un anno, lo sviluppo della ricerca dipenderà dalla frequenza degli attacchi e quindi dai dati che raccoglieremo".

Lei è uno specialista degli impianti cocleari bilaterali. Quali i prossimi traguardi dell’orecchio bionico?
"Attualmente gli impianti cocleari offrono un ottimo livello di comprensione della parola, senza rumore, ma l’abilità di ascoltare musica o conversazioni con rumore di fondo non è ancora ottimale. Ecco, è quello che cerco di perfezionare".


di Alessandro Malpelo (con la collaborazione di Aura Nobolo)

14 giu 2011



Stress da lavoro? Il succo di melograno lo combatte
Il succo del frutto del melograno combatte lo stress da lavoro e ci fa sentire più attivi e felici -


Il succo della melagrana rallenta il battito cardiaco accelerato dallo stress, promuove il buonumore e la voglia di fare. Lo studio
Il frutto del melograno ha un potere nascosto, quello di promuovere il benessere psico-fisico. Il suo succo, infatti, è stato trovato facilitare i sentimenti positivi e la voglia di fare. Per contro, combatte lo stress da lavoro. Ma anche l’ansia, il cattivo umore e l’angoscia.

Ecco quanto hanno scoperto i ricercatori della Università Regina Margaret di Edimburgo (Uk), i quali hanno sottoposto un gruppo di volontari a un test durato due settimane.
I partecipanti dovevano assumere 500 ml di succo di melagrana ogni giorno. Sia all’inizio, che al termine dei quattordici giorni di trial, ai volontari sono stati misurati la forza psico-fisica e lo stato d’animo nei confronti del lavoro, secondo quanto da loro stessi riferito.

Lo studio, che è stato finanziato da un’azienda produttrice del succo messo a disposizione, ha così mostrato dai dati acquisiti, che la quasi totalità dei partecipanti si era sentita meglio dopo l’aver assunto il succo di melagrana. I più hanno dichiarato di sentirsi più entusiasti nei confronti delle propria vita lavorativa, più attivi, ispirati e orgogliosi.
I dati fisiologici hanno altresì mostrato che i battiti cardiaci erano più lenti rispetto all’inizio del test.

Insieme a un acquisto in performance e benessere, i volontari hanno detto di aver lasciato da parte molti sentimenti negativi associati all’attività lavorativa. Si sentivano meno ansiosi, angosciati, nervosi e provavano anche meno sensi di colpa. Tutta una somma di vantaggi difficile da trovare in un semplice succo di frutta. Eppure, sottolineano i ricercatori, questo sostiene la necessità che le persone che lavorano possano beneficiare di questo genere di alimenti funzionali per il benessere. «E’ molto raro per un succo tutto naturale offrire la gamma di benefici per la salute che stiamo vedendo in succo di melograno», ha dichiarato sulle pagine del Daily Mail il coordinatore della ricerca, dottor Emad al-Dujaili.

Se tutto questo verrò confermato dai fatti, è probabile che il succo di melagrana diventi la bevanda preferita dai datori di lavoro, se questo può rendere più efficienti i dipendenti. Così, se il dipendente rende di più ed è anche felice, perché non aumentargli il lavoro? Ehm, non spargete la notizia…
[lm&sdp]

13 giu 2011


Salute, Donna
11/06/2011 - problemi alle articolazioni con calzature inadatte
Tacchi alti? Attenzione all’osteoartrite
Attenzione ai tacchi alti, avvertono gli esperti, possono causare seri danni alle articolazioni -

Tacchi più alti di 3 centimetri possono causare problemi alle articolazioni e favorire lo sviluppo dell’osteoartrite
Sono 8 milioni le persone colpite da dolori e rigidità delle articolazioni solo nel Regno Unito, spiegano gli scienziati della Society of Chiropodists and Podiatrists (SCP), che avvertono sui pericoli dell'indossare scarpe con tacchi più alti di 3 centimetri.

I tacchi alti, avvertono gli esperti, possono alterare la postura. Allo stesso modo, aumentano la pressione sulle articolazioni di piede, caviglia e ginocchio. Questo non solo può causare rigidità e dolori, ma può favorire lo sviluppo dell’osteoartrite. E i casi sono in continuo aumento, spiega il dottor Anthony Redmond, podologo e ricercatore della SCP.

L’indagine che ha permesso di indicare i tacchi alti quali colpevoli dell’epidemia di problemi alle articolazioni è stata condotta su 2.000 uomini e donne inglesi ed è stata incentrata proprio sul tipo di scarpe che sono soliti portare. I tacchi più alti di 3 centimetri, come si poteva immaginare, sono in maggioranza portati dalle donne che, in molti casi, li indossano ogni giorno o con una certa frequenza. Si sa, la scarpa da donna è più femminile con un tacco alto; slancia la gamba e, non da meno, fa guadagnare qualche centimetro in più. Ma, il prezzo da pagare per la femminilità, è il rischio di sviluppare l’osteoartrite.

L’osteoartrite, che molti conoscono anche con il nome di artrosi, nient’altro è che un’alterazione degenerativa cronica della cartilagine articolare. Questa è causa di rigidità, dolori e difficoltà di deambulazione. A detta degli esperti, i casi di osteoartrite sono in costante aumento, ma non sono solo i tacchi alti a essere indagati, pare che anche le più “basse” scarpe da ginnastica lo siano. Queste ultime, difatti, se utilizzate nel modo sbagliato in base all’attività fisica svolta, possono influire negativamente sulle articolazioni.
Non da meno è il sovrappeso e l’obesità che, essendo caratterizzata da un forte peso, grava sulle articolazioni e le cartilagini.

Il consiglio che arriva dagli esperti è di non superare i 3 centimetri di tacco e scegliere calzature comode e con la punta arrotondata. Stessa cosa vale per le scarpe da ginnastica che devono essere usate con cognizione di causa. L’ideale sarebbero delle calzature in grado di assorbire la forza esercitata sulle giunture che, ricordano gli esperti, può essere otto volte superiore il peso del corpo.
[lm&sdp]

Donna, In Evidenza
13/06/2011 - Sessualità ed empatia
L’uomo che ascolta fa buon sesso. Per lei conta l’autostima
La soddisfazione sessuale dipende da diversi fattori, tra cui il sapere entrare in empatia con il partner

Il maschio che sa ascoltare, capire la propria partner e comunicare è più soddisfatto sessualmente. La femmina lo è se ha una buona autostima
Il segreto per avere una vita sessuale soddisfacente non starebbe nella quantità di rapporti sessuali, ma nella qualità. Ossia, essere persone che sanno ascoltare ed entrare in empatia con la propria partner godono – letteralmente – di una vita sessuale ricca e soddisfacente. Ecco quanto suggerito da un nuovo studio pubblicato sul Journal of Adolescent Health.

I ricercatori della Johns Hopkins Bloomberg School of Public Health di Baltimora (Usa) hanno voluto stabilire cosa si nascondesse dietro alla soddisfazione – o meno – sessuale di maschi e femmine e come questa fosse collegata – o meno – al piacere mentale.
La dottoressa Adena Galinsky e colleghi hanno così raccolto i dati relativi a uno studio longitudinale condotto tra il 2001 e il 2003 – come parte del National Longitudinal Study of Adolescent Health – e che comprendeva il coinvolgimento di 3.200 studenti di entrambi i sessi e di età compresa tra i 18 e i 26 anni.

Tra le varie aree d’indagine i partecipanti hanno dovuto rispondere a domande sui livelli di autonomia, autostima, empatia oltre che il livello di salute e soddisfazione sessuale.
I dati raccolti hanno evidenziato, in prima battuta, che i maschi avevano una maggiore soddisfazione sessuale, con un 87% di questi che dichiarava di avere un orgasmo ogni volta che aveva un rapporto sessuale. Per converso, solo il 47% delle femmine dichiarava di arrivare all’orgasmo durante un rapporto sessuale.

Ciò che è apparso chiaro agli scienziati, confrontando gli attributi della personalità con tre misure di soddisfazione sessuale come la frequenza dell’orgasmo, il piacere nel rapporto e il godere nel dare o ricevere sesso orale, è che le donne godevano di più ed erano maggiormente soddisfatte della loro vita sessuale quando avevano maggiori livelli di autostima, autonomia ed empatia. Nei maschi, invece, ciò che giocava il ruolo chiave era l’empatia.

«La nostra ipotesi è che gli individui empatici sono più rispondenti alle necessità di un partner e, quindi, avviano un ciclo di feedback positivo – spiega Galinsky – In che modo le persone interagiscono, la loro capacità di ascoltare gli altri e riuscire ad assumere la altrui prospettiva può davvero influenzare la qualità del sesso che fanno».
Insomma, impariamo ad ascoltare. E veder esauditi i propri desideri – sessuali – sarà un vero piacere.
[lm&sdp]

11 giu 2011


cina

Spazzatura elettronica,
una minaccia per la salute

Le sostanze che si sprigionano nell'aria nello smaltimento hanno effetti infiammatori, ossidativi e pro-tumorali


MILANO - La nostra voglia di possedere il gadget elettronico all'ultimo grido ha un rovescio della medaglia. Ogni anno buttiamo via quantità enormi di rifiuti elettronici: computer, stampanti, cellulari che riteniamo inservibili perché rotti (e qualsiasi centro assistenza ci assicura ogni volta che “costa meno comprarlo nuovo”) o perché sono stati superati dal nuovo, più appetibile modello. E così produciamo tonnellate e tonnellate di rifiuti elettronici (oltre venti milioni, secondo le ultime stime). Peccato che smantellarli produca sostanze che fanno male, forse malissimo alla salute.

STUDIO – Lo rivela sulle pagine di Environmental Research Letters uno studio condotto in Cina. Non è un caso, perché proprio in quel Paese tutto il mondo riversa la maggior parte della spazzatura elettronica: così Fangxing Yang, ricercatore dell'università di Zehjiang, ha deciso di provare a capire se l'aria che circonda Taizhou, uno degli impianti più grossi del Paese proprio a due passi dalla sua università, possa essere dannosa per la salute. Durante i processi di smaltimento, infatti, vengono rilasciati nell'atmosfera composti organici e metalli pesanti; inalati respirando aria contaminata, questi inquinanti si possono accumulare nell'organismo e potrebbero creare danni, stando alle ipotesi di Yang. Che ha perciò raccolto campioni d'aria nei dintorni dell'impianto, per poi purificare gli inquinanti presenti e quindi metterli a contatto con cellule umane polmonari. Yang ha poi analizzato gli effetti delle sostanze sulla produzione di interleuchina-8 (un mediatore dell'infiammazione), sulla formazione di specie reattive dell'ossigeno (responsabili di danni ossidativi alle cellule) e sui livelli di espressione del gene p53, coinvolto nello sviluppo dei tumori.

DANNI – I risultati sono stati molto chiari: l'infiammazione e lo stress ossidativo aumentano, così come i livelli di p53, con tutti gli inquinanti esaminati e soprattutto in caso di contatto con sostanze organiche solubili. «Sia la risposta infiammatoria che lo stress ossidativo possono provocare danni al DNA e quindi anche tumori, oltre che malattie cardiovascolari – spiega Yang –. Con un'ulteriore indagine stiamo cercando di caratterizzare meglio le componenti dell'aria che più contribuiscono al danno. Questi risultati però già dimostrano che lo smantellamento “aperto” dei rifiuti elettronici, come avviene spesso negli stabilimenti cinesi, deve essere proibito; chi lavora in queste aziende, inoltre, deve essere adeguatamente protetto. Senza contare che bisognerebbe pensarci prima, fin dal processo produttivo: se utilizzassimo sostanze più eco-compatibili per costruire prodotti elettronici, avremmo rifiuti meno tossici da smaltire». Al momento non è di certo così: a Taizhou, dove lavorano oltre 60mila persone per smantellare due milioni di rifiuti elettronici all'anno, non ci sono procedure di sicurezza all'avanguardia. Forse, per il bene dei cinesi ma anche nostro, dovremmo imparare la lezione e pensarci due volte prima di comprare l'ultimo gadget elettronico.

Elena Meli



LO STUDIO

Menopausa, problemi «intimi»
per una donna su due

Punta sul recupero della femminilità in questa stagione della vita il Congresso mondiale in corso a Roma



ROMA -Vampate di calore, sudorazione di notte, umore alterato, ma anche infezioni urinarie ricorrenti e calo del desiderio sessuale. Disturbi fastidiosi che colpiscono più di una donna su due in menopausa, una stagione della vita che “capita” a tutte, intorno ai 50 anni, quando le ovaie cessano di produrre follicoli e ormoni estrogeni. Oggi, però, per una cinquantenne ancora giovane e attiva, sia dal punto di vista sociale che sessuale, con la fine dell’età fertile non si esaurisce la “partita” più importante della sua vita. Da qui il messaggio di «meno-pausa ma più femminilità», lanciato dal congresso mondiale sulla menopausa in corso a Roma, cui partecipano esperti giunti da più di 80 Paesi.

SE LEI DICE NO - Dei suoi disagi intimi solo una donna su dieci parla con il medico, secondo un recente studio su circa 3.500 donne. «Un’intervistata su due ha interrotto i rapporti con il partner - riferisce Rossella Nappi, ginecologa al Policlinico San Matteo di Pavia - . Se le vampate si possono risolvere spontaneamente col tempo, può invece peggiorare un altro disturbo comune, la secchezza vaginale: poiché diminuiscono gli estrogeni che stimolano le secrezioni della mucosa vaginale, i tessuti vaginali tendono ad atrofizzarsi, per cui si perde la capacità di rispondere agli stimoli sessuali». Così, per non sentirsi a disagio col proprio compagno, si dice no al rapporto.

RITROSIE COL MEDICO - «Spesso non se ne parla col medico per ritrosia, ma a volte anche per paura che prescriva la terapia ormonale sostitutiva - afferma Nappi - . Le pazienti temono gli effetti collaterali, in particolare l’aumento delle probabilità di ammalarsi di cancro al seno o all’utero. Così preferiscono non curarsi». Secondo gli esperti, meno di una donna su dieci utilizza la terapia ormonale. Ancora più limitata è la sua conoscenza. «Negli ultimi anni, grazie a studi internazionali e all’esperienza clinica, abbiamo “ripensato” la terapia della menopausa, la cosiddetta TOS, in termini di durata, dosaggi e vie di somministrazione degli ormoni», chiarisce la ginecologa. «Le terapie moderne permettono di risolvere i sintomi con sempre minori dosi di estrogeni – aggiunge Andrea Genazzani, direttore della Clinica ostetrica e ginecologica all’Università di Pisa e presidente del Congresso -. Uno studio internazionale iniziato nel 2002, che ha coinvolto oltre 30 mila pazienti, conferma la sicurezza delle terapie ormonali sostitutive a basso dosaggio».

TERAPIE “SUL POSTO” - Un ulteriore passo in avanti della ricerca medica, poi, ha permesso l’uso di farmaci applicati “sul posto”. «Utilizzano principi attivi efficaci (come per esempio l’estradiolo) e si applicano per via vaginale: così si riduce l'assorbimento generale in tutto il corpo e di conseguenza l'incidenza di effetti collaterali», spiega Genazzani. In questo filone di ricerca s’inserisce il nuovo gel a base di estriolo, un estrogeno di origine naturale che non viene metabolizzato: potrebbe essere disponibile già dal prossimo autunno. «Gli studi evidenziano un’efficacia paragonabile a quella dei prodotti già in uso – riferisce Antonio Cano dell’Università di Valencia, che ha diretto la sperimentazione - . In particolare, aiuta a prevenire le infezioni del tratto urogenitale, fa migliorare l’atrofia vaginale e la dispareunia (dolori durante il rapporto). Inoltre, ha una concentrazione di ormoni dieci volte inferiore alla terapia topica tradizionale, il che rassicura sull’uso “tranquillo” di questa nuova molecola».

CURE PERSONALIZZATE – Ma qual è il consiglio degli esperti? I ginecologi suggeriscono soluzioni “su misura” per ogni donna. «L’approccio alla menopausa, che non è una malattia, deve essere adeguato alla singola paziente e volto non solo a curare i sintomi ma a fare prevenzione – afferma Nappi - . Ecco allora che questa stagione della vita può essere un’occasione d’oro per la propria salute, se si punta a individuare eventuali fattori di rischio quali osteoporosi, sovrappeso o ipertensione, in modo da attuare al più presto strategie di prevenzione e terapie appropriate per cercare di evitare fratture, infarto o ictus verso i 70 anni. Ed è davvero il momento per fare la mammografia ogni due anni, senza dimenticare il paptest e l’ecografia pelvica».

Maria Giovanna Faiella

7 giu 2011



LA STORIA DELLA PESTE





La storia dell'antichità riporta numerose descrizioni di epidemie di peste. Il termine veniva usato per indicare le malattie infettive a carattere epidemico e gravate da una letalità elevata. Si svilupparono pandemie pestose a partire dalla cosiddetta peste di Giustiniano (sesto secolo d.C.), che devastò il bacino mediterraneo. Un'altra grande pandemia si ebbe nel quattordicesimo secolo: originata nell'India si diffuse in tutta l'Europa, ove si stima che causò circa 25 milioni di morti (oltre alla stima di circa 23 milioni di vittime in Asia). Attorno al 1330 la peste dall'oriente inizia la propria migrazione verso ovest seguendo le vie commerciali. Nel 1345 è nel basso Volga, nel 1346 raggiunse Astrakhan, il Caucaso e l'Azerbijian, Costantinopoli e l'impero bizantino. Nell'autunno del 1347 Alessandria, l'Egitto ove si diffuse verso sud lungo il Nilo.

Nell'estate del 1347 alcuni commercianti genovesi e le loro famiglie risiedevano nella città di Kaffa, in Crimea, sul Mar Nero. La città fu assediata dai tartari per vari mesi. Vi fu un’epidemia di peste tra gli assedianti tartari che li costrinse alla ritirata non prima di effettuare un attacco di tipo guerra biologica , catapultando cadaveri infetti al di là delle mura della città.
I mercanti genovesi partirono alla volta dell'Italia in 12 navi. Nell'ottobre 1347 la flottiglia raggiunse Messina. La maggior parte della ciurma era morente di una malattia sconosciuta. Gli ufficiali della città isolarono le navi per due giorni, tuttavia ciò non impedì la diffusione dell'epidemia. In due mesi circa metà della popolazione messinese morì di peste. Da lì diffuse poi a tutta l'Italia continentale. Nel gennaio 1348 la peste sarebbe stata portata a Marsiglia da una nave Genovese. Nell'estate del 1348 la peste esplose a Parigi e nel dicembre del medesimo anno raggiunse Londra. La stima per la città di Firenze è di un terzo dell'intera popolazione morta per peste nei primi sei mesi di epidemia. In Europa la stima è di 25 milioni di morti su di una popolazione di 40 milioni di abitanti.

E' stato stimato che all'epoca vi era almeno una famiglia di ratti per abitazione, con almeno tre pulci per ratto. Ciò sarebbe stata una delle concause che facilitarono la diffusione dell'epidemia.

In Italia la peste fu particolarmente virulenta nel corso dell'anno 1348, come è testimoniato dal Decameron Boccaccio. A questa pandemia senz'altro la più grave della storia, seguirono la peste di Venezia nel 1478, in cui si iniziò ad applicare l'isolamento in lazzaretti, quelle di Milano di cui quella nota anche come peste di San Carlo, infierì nel 1576-77 e l'altra descritta dal Manzoni negli Sposi Promessi, nel 1629-30. Nello stesso secolo vi furono gravi epidemie a Londra a Napoli e nel secolo successivo nel 1720 a Marsiglia; anche i paesi arabi andarono soggetti al flagello della peste. Nel diciannovesimo secolo si verificò l'ultima grande pandemia che ebbe inizio a Hong Kong (1894) e si diffuse in tutti i continenti per terminare con la peste di Marsiglia (1920). Da allora in Europa la peste è praticamente scomparsa, ma la permanenza di grandi focolai endemici in Asia (soprattutto in India) ed Africa e la persistenza della malattia nei ratti e in altri roditori selvatici rendono tuttora necessarie misure profilattiche e igieniche.

Fu durante la peste di Hong Kong nel 1894 che Alexander Yersin e Shibasaburo Kitasato ne descrissero indipendentemente l'agente causale. Tuttavia la modalità di trasmissione fu identificata solamente nel 1897 da P.L. Simond.

Dal 1947 ad oggi vi sono stati 390 casi peste negli Stati Uniti di cui 60 mortali. Gli ultimi due casi mortali, nel 1996, furono dovuti alla contaminazione da parte di cani della prateria.
Nel periodo 1965-1971 (coincidente con la guerra) in Vietnam sono stati riferiti 25.000 casi di peste.
L'organizzazione mondiale della sanità (WHO) ha ricevuto segnalazione di 18.739 casi nel periodo 1980-1994 dei quali 1853 mortali.
Un episodio epidemico di peste polmonare si è verificato nel settembre 1994 nella città indiana di Surat nello stato del Gujarat. I casi registrati ufficialmente furono 2500 con 58 morti.

La peste bubbonica responsabile delle grandi epidemie medioevali riconosce come suo agente patogeno un batterio gram-negativo dal nome di Yersinia Pestis. Fu identificato da Alexander Yersin (il cui cognome ne è patronimico) durante la peste di Hong Kong del 1894, che egli battezzò Pasteurella pestis, in onore di Pasteur, e che sarà ribattezzato negli anni seguenti Yersinia pestis, in onore suo.

Tale batterio infetta circa 100 diverse specie animali inclusa la specie umana, ad esempio roditori quali ratti scoiattoli, cani della prateria, gerbilli, topi campagnoli. La trasmissione agli esseri umani avviene sopratutto tramite ospiti intermedi.

La trasmissione diretta da uomo a uomo avviene soltanto per la peste polmonare; la peste bubbonica segue la via di trasmissione indiretta, mediata dalle pulci dei ratti (Xenopsilla cheopis). Anche la pulce dell'uomo (Pulex irritans) può trasmettere la peste da malato a sano.

6 giu 2011



IL CASO

Donne medico: una su quattro
ha subito molestie sessuali

Secondo un'indagine, vengono vessate anche per esser messe in cattiva luce, ma molte non ne parlano


Donne medico: una su qauttro ha subito molestie
MILANO - Allarme donne medico: quasi una su quattro confessa di aver ricevuto offese od offerte sessuali inopportune. Il 4% confessa di aver subito violenze fisiche. Un dato enorme considerato che, in assoluto, tra le donne italiane la percentuale è pari al 2,1%. È il quadro che emerge dal rapporto «Donne medico: indagine su lavoro e famiglia, stalking e violenze, realizzato dall'Ordine dei medici della provincia di Roma, che conta oltre 15 mila donne iscritte. Il campione esaminato (1.597 unità) corrisponde quindi a circa il 10% del totale delle iscritte.

LA META' SUBISCE MOLESTIE -I risultati dell'indagine parlano chiaro: quasi la metà delle donne medico (46,4%) afferma di aver subito molestie in generale. Addirittura tra le «over 65» solo il 25% dichiara di non aver subito un qualche tipo di violenza. Per il 6,8% delle donne l'episodio di molestia è avvenuto negli ultimi 12 mesi, per il 24,7% negli ultimi tre anni e per il 68,5% oltre tre anni fa. Nel 57,5% dei casi si tratta di episodi sporadici, nel 30,6% di casi ripetuti e nell'11,9% di episodi molto frequenti. Ad essere più spesso vittime sono soprattutto le donne dai 35 ai 54 anni, le nubili e le separate o divorziate. La gran parte delle molestie si verificano sul posto di lavoro. Non a caso nella maggior parte dei casi (41%) il molestatore è il datore di lavoro o un superiore. Seguono un estraneo (23,7%), un collega (25,4%), un amico (4,1%), compagni o fidanzati (3,2%).

I MOTIVI - Alla domanda di indicare il motivo dell'ultima o più importante molestia subita, le donne medico intervistate hanno risposto così: nel 27,9% dei casi il molestatore voleva attrarre l'attenzione della donna, mentre nel 20,6% voleva metterla in cattiva luce. Naturalmente le molestie hanno ricadute sul comportamento delle vittime: il 34,9% delle professioniste ha cambiato il suo modo di fare sul luogo del lavoro, il 17.7% ha assunto atteggiamenti difensivi e il 14,3% ha dovuto cambiare le proprie abitudini di vita e di lavoro. Oltre ai comportamenti, le molestie impattano sulla salute psichica delle donne. Quasi il 40% si trova in uno stato generale di stress, circa il 27% teme di vivere altre esperienze analoghe e sviluppa maggiore aggressività, il 17% circa vive in uno stato d'ansia e panico ed è preoccupata per la propria sicurezza personale. Un 17,4% vive a seguito delle molestie subite una vita più solitaria essendosi isolata dalla vita di relazione e il 10,2% dichiara di perdere giorni di lavoro. Circa un quarto delle donne medico che hanno subito violenze ne parla, chiedendo aiuto, soprattutto ai familiari, ai parenti e agli amici fidati. Ma la maggioranza non ne parla con nessuno (43,8%). Solo il 10,2% si rivolge ad un legale, alle forze dell'ordine (7,5%) o a uno psicologo (7,4%). Le donne vittime, in sostanza, tendono a non esternalizzare la molestia.

PENALIZZATE SUL LAVORO - Prendendo in esame solo la sfera professionale, l'indagine rivela che oltre la metà delle donne medico (52,8%) afferma di vivere condizioni disagevoli. Le donne in camice rosa che sono state penalizzate sul lavoro (difficoltà ad ottenere promozioni, incentivi e riconoscimenti) sono il 50,4% rispetto al 26% delle donne italiane. Il 13,5%, rispetto al 7,6% delle donne italiane, dichiara invece di aver subito sanzioni e controlli immotivati. E ancora: il 34,8% afferma di aver avuto problemi creati da altri nell'interagire con i colleghi con cui in precedenza andava d'accordo, rispetto al 17,1% delle donne italiane. E il 42,8% delle professioniste dichiara di essere stata esclusa da riunioni e informazioni. Le molestie possono anche degenerare in veri e proprie aggressioni. Il 4% delle donne medico dice aver subito violenze fisiche, rispetto al 2,1% delle donne italiane. Si tratta in maggior percentuale di donne anziane - che confessano di aver subito aggressioni in passato - o tra i 35 e i 44 anni e vedove (quasi 4 volte in più delle altre). Un dato, questo, significativo. Emerge infatti chiaramente che le aggressioni fisiche ai 'camici rosá sono il doppio rispetto a quelle subite dalle donne italiane.

UN PROFONDO DISAGIO - «Gran parte dei risultati dell'indagine - sottolinea il presidente dell'Ordine dei medici di Roma, Mario Falconi - purtroppo dimostrano che era oltremodo opportuno esplorare il microcosmo delle donne medico, perché gli attacchi subiti alla qualità della prestazione professionale, all'immagine sociale, alla relazione sociale e le violenze fisiche si attestano su percentuali sensibilmente maggiori rispetto alle altre donne italiane». Per Falconi, «l'analisi ha fatto emergere un profondo disagio di lavoro e di relazioni che le donne medico subiscono sia all'interno sia all'esterno dell'ambito lavorativo e quello che è più sconcertante - conclude - è che le discriminazioni, le vessazioni e le violenze vengono esercitate soprattutto verso le donne più fragili, che non possono ricorrere alla protezione dell'ambiente sociale e familiare». (Fonte: Adnkronos Salute)



«Drogato» di internet
un teenager su venticinque

C’è chi non va a scuola per rimanere connesso
E chi si ammala di depressione


Un teenager su 25 è internet-dipendente
MILANO - Stanno male quando non sono connessi, diventano ansiosi e l’unica medicina in grado di placarli è un computer o uno smartphone che li rimetta in Rete. Quella da internet somiglia sempre più a una vera e propria dipendenza che, inoltre, aumenta per i giovani “drogati” il rischio di andare incontro a depressione e comportamenti aggressivi. È questo il ritratto di una cospicua fetta di ragazzi tra i 14 e i 18 anni - il 4 per cento - che emerge da uno studio pubblicato sul Journal of Clinical Psychiatry. I numeri sono americani, ma non ci sono ragioni per credere che almeno le conseguenze della dipendenza siano diverse al di qua dell’Atlantico.

STUDENTI SOTTO LA LENTE - La ricerca ha coinvolto 3.500 studenti di dieci high school del Connecticut (grosso modo i nostri licei) a cui è stato sottoposto un lungo questionario sulla loro salute, le abitudini ed eventuali comportamenti a rischio. Tra le domande, anche alcune sul rapporto con internet, attraverso cui i ricercatori intendevano non soltanto misurare il tempo passato in rete - che comincia a essere una misura sempre meno affidabile, ai tempi dell’always on - ma soprattutto identificare comportamenti di consumo problematico. I ragazzi si sono quindi trovati a rispondere a quesiti come «Hai saltato la scuola o altre importanti attività sociali perché eri impegnato su Internet?», oppure «Senti una crescente tensione o ansia che può essere alleviata soltanto connettendoti a Internet?». Il 4 per cento del campione ha mostrato un uso problematico del mezzo. Le ragazze sembrano più consapevoli dei rischi: il 12 per cento teme infatti di avere un problema con internet a fronte del 9 per cento dei ragazzi. Mentre questi ultimi più frequentemente si lasciano prendere la mano: il 17 per cento di essi passa più di 20 ore connesso e il 9 per cento ha saltato la scuola per stare on line. Inoltre, dall’analisi dei dati è emersa una correlazione tra l’uso problematico di internet e depressione, comportamenti a rischio (fumo o uso di sostanze stupefacenti, per esempio) o aggressivi.

SCREENING NELLE SCUOLE - Non è una novità che possa esserci un rapporto tra Internet e depressione. Già la scorsa estate, uno studio analogo, condotto però su un campione di mille ragazzi cinesi, aveva raggiunto le stesse conclusioni. La ricerca, pubblicata sugli Archives of Pediatrics & Adolescent Medicine aveva riscontrato un uso problematico di internet nel 6,2 per cento dei ragazzi e le probabilità che gli studenti appartenenti a questo gruppo soffrissero di depressione erano di 2 volte e mezzo più elevate rispetto alla popolazione generale. Numeri che hanno indotto i ricercatori a lanciare una vera e propria chiamata alle armi: «Gli interventi precoci e la prevenzione sono efficaci per ridurre l’impatto della depressione nei giovani», hanno affermato gli autori dello studio. «Perciò sarebbe opportuno prendere in considerazione l’idea di avviare in tutte le scuole programmi di screening per l’uso problematico di internet che consentano di individuare precocemente e curare gli individui a rischio».

Antonino Michienzi

3 giu 2011



Due studi dalla california

E. coli non fa sempre paura. Serve anche per produrre i biocarburanti

Il batterio killer utilizzato per incrementare la sintesi di butanolo


E. coli produce biobutanolo (da Berkeley Lab)
MILANO - Il nuovo «babau» si chiama Escherichia coli, per gli addetti ai lavori E. coli. Una variante particolarmente virulenta del batterio è ritenuta responsabile dell'epidemia in Europa che ha già provocato 2.500 casi di intossicazione e 17 vittime. Dopo aver stabilito che i cetrioli non c'entrano, e tanto meno quelli spagnoli, E. coli - un microorganismo largamente diffuso anche nell'intestino degli esseri umani - in realtà può essere anche utile. In particolare per la produzione di un tipo di biocarburante: il butanolo.

BUTANOLO - Negli ultimi mesi sono apparsi sulle riviste specializzate due studi di ricercatori che hanno sperimentato particolari «miscele» di E. coli per incrementare la produzione di biobutanolo. A fine febbraio su Nature Chemical Biology un gruppo di ricerca dell'Università della California Berkeley guidato da Michelle Chang ha pubblicato uno studio sull'utilizzo di E. coli per incrementare di dieci volte la sintesi di n-butanolo, un biocarburante che potrebbe essere utilizzato al posto della benzina. Finora la ricerca si era concentrata su Clostridium, un batterio che produce butanolo, ma la produzione non superava il mezzo grammo per litro di coltura: troppo poco per poter pensare a una produzione industriale. Chang e i suoi colleghi, però, hanno operato una modifica genetica di cinque enzimi di E. coli tanto da arrivare a produrre 5 grammi di butanolo per litro di coltura. Secondo Chang ulteriori studi possono portare la produzione di butanolo da E. coli a triplicare, un limite che potrebbe rendere conveniente una produzione industriale.

ANCORA MEGLIO - A marzo su Applied and Environmental Microbiology un altro gruppo californiano, ma questa volta di Ucla, guidato da James Liao ha dimostrato che è possibile arrivare a produrre 15-30 grammi di butanolo per litro di coltura utilizzando E. coli geneticamente modificato.

Paolo Virtuani

2 giu 2011



Colpisce 5 milioni d’italiani,sopratutto anziani
SARCOPENIA: QUANDO I MUSCOLI PERDONO FORZA
Ma anche gli atleti possono soffrirne,come dice l’olimpionico di ginnastica Yuri Chechi


MILANO – Sempre più difficoltà a portare i pacchi della spesa, a svolgere le normali attività quotidiane oppure sollevare oggetti relativamente pesanti. Sintomi generici, forse sfumati, ma testimoni come qualcosa stia davvero cambiando,giorno dopo giorno,nei nostri muscoli. Si tratta della sarcopenia, una condizione clinica che coinvolge 5 milioni d’Italia,soprattutto anziani con progressiva e generalizzata perdita della massa muscolare. Il rimedio naturale c’è ed un’alimentazione completa e bilanciata,assieme ad una regolare attività fisica.
Purtroppo, si è detto a Milano ad un incontro stampa promosso da Abbot, solo il 5,7% degli italiani adotta una simile alimentazione con verdura,ortaggi e frutta. In aggiunta, solo un terzo della popolazione pratica uno sport, mentre 4 italiani su dieci si dichiarano sedentari.
Anche i campioni dello sport possono faticare a seguire una dieta ben bilanciata. Secondo l’olimpionico di ginnastica Yuri Chechi, compiere 40 anni ha comportato una nuova consapevolezza: “ Anch’io ho cominciato a percepire una riduzione della massa ossea e della reattività muscolare,nonostante un’attività fisica attenta e costante – ha affermato – ho cercato di capire come una alimentazione ben bilanciata possa avere un impatto positivo sulla perdita di massa magra muscolare. Nel mio caso,è bastato apportare dei cambiamenti per ottenere un miglioramento immediato e sorprendente”.
Laddove ciò non sia possibile,può essere indicata l’assunzione di un supplemento nutrizionale orale completo e bilanciato che contenga proteine,vitamine ed altri componenti fondamentali,come la vitamina D e l’HMB (un derivato della leucina),essenziali per stimolare la produzione proteica muscolare e rallentare il decorso della sarcopenia.
Ecco i consigli per una sana alimentazione:
Controllare il peso e mantenersi sempre attivi. Mangiare più cereali,legumi,ortaggi e frutta. Scegliere la qualità e limitare la quantità dei grassi. Nei giusti limiti,zuccheri,dolci e bevande zuccherate. Bere ogni giorno acqua in abbondanza. Usare poco sale. Quantità controllate di bevande alcooliche. Variare spesso le scelte a tavola.
Da qui lo scopo della campagna informativa “Più forza nella vita”, un camper che farà tappa in molte piazze italiane. Sarà offerta gratuitamente la possibilità di sottoporsi a specifici test per la funzionalità muscolare. ( 340/42.60.32 dal lunedì al venerdì dalle 9 alle 13 e dalle 14 alle 18.

GIAN UGO BERTI
(riproduzione vietata)

1 giu 2011


Incidenti domestici Una vera epidemia
Gli incidenti domestici sono un problema di interesse per la sanità pubblica: disabilità, sofferenza, calo della produttività sono alcuni degli aspetti legati a questo tema

)Roma, 1 giugno 2011 - Casa dolce casa. Nessun luogo è più tranquillo e sicuro. Eppure quando il diavolo ci mette la coda, anche le mura domestiche possono nascondere serie insidie, spesso drammatiche.

In tutti i Paesi gli incidenti domestici sono un problema per la Sanità Pubblica. Secondo recenti dati, tra il 1998 e il 2000 in Europa quasi 20 milioni di persone (il 7% dei residenti) sono rimaste vittime di incidenti domestici, con oltre 5 milioni di ricoverati e 56 mila morti. Secondo un’indagine Istat del 2009, nel nostro Paese, in casa o nelle sue estensioni esterne (balconi, giardino, garage, cantina, scala, ecc.) si sono verificati più di 3 milioni di incidenti con costi per ricovero che superano i 400 milioni di euro.

A farne maggiormente le spese, secondo il Ministero della Salute, sono le donne, in particolare le casalinghe, coinvolte in oltre il 70% degli incidenti domestici, gli anziani, specie gli ultraottantenni, i disabili e i bambini più piccoli. Per questi ultimi, il soffocamento e l’annegamento costituiscono la prima causa di mortalità domestica, provocando il 50% delle morti. Il maggior numero di incidenti, sempre secondo l’Istat, si verificherebbe nel Nord-ovest e nel Centro con cadute, ferite, ingestione di corpi estranei, soffocamento, ustioni, avvelenamenti e intossicazioni.

Le cause sono varie. Si va dalle condizioni strutturali della casa (scale, pavimenti, arredamento,porte e cancelli automatici, ecc.); ad un uso sbagliato di apparecchiature o utensili, sottovalutandone i rischi ed i pericoli, a particolari problemi di salute (disabilità, patologie croniche ecc.) o uso di sostanze tossiche non opportunamente custodite (detersivi, medicinali, uso di farmaci, alcol, ecc) che possono provocare avvelenamenti, intossicazioni o ustioni.

Le cadute in casa possono essere provocate da scale, pavimenti lisci, bagnati o sconnessi, oppure fili elettrici o prolunghe che fanno inciampare, tappetini per il bagno e ostacoli vari, in molti casi con insufficiente illuminazione.

Frequenti e pericolosi anche i piccoli infortuni (ferite da taglio, amputazioni delle dita, lesioni da corpo estraneo nell’occhio, ecc), per lo più legati all’uso senza le opportune precauzioni dei piccoli elettrodomestici ed utensili di cucina ( pentole e padelle bollenti, coltelli e altri oggetti taglienti , frullatori e trita carni accesi, ecc.).

Spesso, per evitare gli incidenti domestici e limitarne la gravità, basta adottare semplici precauzioni ed accorgimenti, rivolte soprattutto alle persone più esposte cioè i bambini e gli anziani. Tra le maggiori insidie le cadute. I bambini rischiano di cadere di più sotto l’anno di età. Per evitare inconvenienti vanno continuamente sorvegliati, specie quando si trovano nel lettino, sul seggiolone, in carrozzina,ecc.

Per gli anziani è utile svolgere una buona attività fisica, garanzia di un buon livello dell’equilibrio e dei movimenti, utilizzando in casa oggetti antiscivolo e maniglie di appoggio. Da ripetute indagini, anche da parte dell’Istituto Superiore di Sanità, è emerso che molte persone sottovalutano i rischi e le conseguenze di un incidente domestico. Molte Regioni ed Aziende sanitarie sono impegnate nella prevenzioni di questi incidenti, che si basa anche sulla informazione e la collaborazione di tutti noi nel mettere in atto accorgimenti anche semplici. Un po’ di attenzione può salvare la vita.


di Antonio Alfano