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Benvenuti in PARLIAMO DI SALUTE

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Leggete i nostri articoli per entrare e conoscere le ultime novità internazionali che riguardano i progressi della medicina.



Sarà affrontato anche il campo delle medicine alternative e della psicoanalisi.



Pubblicheremo inoltre interessanti articoli di storia della medicina.

31 gen 2012




TISANA PER IL RAFFREDDORE



Banale malattia che colpisce le cavità nasali, scendendo poi fino alla gola e ai bronchi.

DECOTTO
30g di eucalipto, foglie; 20g di timo, foglie; 30g di tiglio, fiori e foglie; 20g di calamo aromatico, radice; 30g di salice bianco, corteccia.
Lasciare in infusione per 10 minuti 1 cucchiaio della miscela in 1 tazza di acqua bollente, poi filtrare. Berne 1 tazza la sera prima di coricarsi. In caso di raffreddore con febbre.
DECOTTO
10g di tiglio, infiorescenze con brattee; 10g di sambuco, fiori; 20g di alloro, foglie senza picciolo; 10g di salvia, sommità fiorite.
Mescolare le droghe, dosarne 10g e porli a bollire per 2-3 minuti in 1/4 lt di acqua. Quindi lasciar intiepidire e filtrare. Consumare tiepido, 1 tazza mezzora prima di coricarsi, addolcendo con 1 cucchiaio di miele.
DECOTTO
50g di liquirizia, radice.
Bollire in 1 lt di acqua per 15 minuti. Lasciar riposare, filtrare e berne a volontà. Indicato per raffreddore incipiente.
SUFFIMIGIO
4g di eucalipto, foglie; 5g di pino, gemme; 5g di timo, parte aerea; 5g di issopo, sommità fiorite; 5g di salvia, foglie.
Porre le droghe in infusione in 1/2 lt di acqua bollente e respirare profondamente i fumi che fuoriescono dall'infuso coprendo la testa e il recipiente con un panno in modo da non disperderne i vapori.
INFUSO
30g di tiglio, fiori; 30g di sambuco, fiori; 30g di viola, fiori; 30g di menta, foglie.
Con l'aiuto di un pestello miscelate le erbe, poi metterne 2 cucchiaini in 1 tazza di acqua bollente e lasciare in infusione per 10 minuti; filtrare. Prenderne 1 tazzina addolcita con miele, rimanendo poi ben coperti a letto. Questa tisana viene anche chiamata "aspirina vegetale".
INFUSO
10g di serpillo; 10g di lavanda; 10g di timo; 10g di eucalipto.
Porre 1 cucchiaio di minestra in infusione in acqua bollente per 10 minuti. Berne diverse tazze al giorno.

28 gen 2012




Psicofarmaci ai bambini italiani. Ritirato lo sciroppo antistaminico Nopron
http://www.tuttasalute.net/12030/psicofarmaci-ai-bambini-italiani-ritirato-lo-sciroppo-antistaminico-nopron.html

Nopron (principio attivo: niaprazina, distribuito dalla Sanofi-Aventis), un nome che tante mamme conoscono bene perché il famigerato medicinale salva notte per i più piccoli. Un noto rimedio chimico per rendere meno “vivaci” le notti insonni dei bimbi, ma anche affinché gli adulti possano trascorrere qualche notte più tranquilla.

Eppure gli effetti negativi del Nopron erano conosciuti da tempo e tra gli altri soprattutto quello che dava ai piccoli pazienti, dopo la sospensione della somministrazione, un’eccitazione ancora maggiore alla precedente, sonnolenza diurna e problemi a livello muscolare.

Finalmente a partire dal 2 gennaio 2012 il Nopron viene ritirato dal commercio in conseguenza della sospensione delle autorizzazioni dei Laboratoires Genopharm – Francia e dell’officina di produzione Alkopharm Blois. L’Agenzia italiana del Farmaco ha comunicato che dal 21 dicembre non vengono più rilasciate autorizzazioni all’importazione per il medicinale Nopron Enfant 15 mg/5ml 150ml né per altri farmaci delle aziende coinvolte dal citato provvedimento.

Ci si accorge con estremo ritardo di quanto siano sottovalutati pericolosi effetti collaterali di non pochi farmaci ed in particolare degli psicofarmaci somministrati ai bambini e adolescenti. E sono tanti, tantissimi i piccoli pazienti che per svariati motivi ricorrono agli psicofarmaci.

Secondo uno studio del “Mario Negri” si legge che sono oltre 50.000 i bambini italiani che già oggi assumono psicofarmaci. Vi è da dire, inoltre, che queste problematiche spesso vengono dichiarate con ritardo come conseguenza di un sistema di farmacovigilanza basato sulle segnalazioni spontanee da parte dei medici ospedalieri e dai medici di famiglia. Le eccessive e numerose prescrizioni di psicofarmaci ai bambini sono conseguenza di diagnosi affrettate e non sempre corrette da parte di medici di medicina generale e da pediatri ma sono anche seguito di diagnosi formulate da neuropsichiatri infantili e psichiatri adolescenziali, che ritengono che alla base del disturbo dei bambini ci sia un fattore biologico curabile solo con i farmaci.

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Il NOPRON, ufficialmente uno sciroppo antistaminico è in realtà un IPNOTICO-SEDATIVO
La niaprazina è un derivato della piperazina, un antagonista del recettore 1 dell'istamina; è largamente usata per le sue proprietà sedative e ipnotiche.
La sedazione riflette la rottura dell'equilibrio 5-idrossitriptamina/noradrenalina.
La niaprazina riduce le concentrazioni di noradrenalina e di dopamina nel cervello con un effetto dipendente dal dosaggio.

NOPRON
SANOFI-SYNTHELABO SpA

PRINCIPIO ATTIVO: Niaprazina

ECCIPIENTI:

Compresse:
Amido, lattosio, sodio carbossimetilamido, polivinilpirrolidone, talco, magnesio stearato, magnesio carbonato, titanio biossido, glicole polietilenico 6000, gomma arabica, silice precipitata, eritrosina E 127 (colorante sintetico rosso con Iodio), indigotina E 132 (colorante sintetico blu, può liberare istamina), gommalacca, cera carnauba, cera d`api, saccarosio.

Sciroppo:
p-idrossibenzoato di metile, aroma artificiale Mirabelle, giallo tramonto E110 (colorante azoico sintetico, liberatore di istamina, può aggravare i sintomi asmatici), saccarosio, acido tartarico, acqua distillata

CATEGORIA FARMACOTERAPEUTICA: Ipnotico

INDICAZIONI: Disturbi del sonno.

CONTROINDICAZIONI: Non impiegare al di sotto del sesto mese di età. Ipersensibilità accertata verso i componenti.

EFFETTI INDESIDERATI: Si attira l`attenzione sui rischi di sonnolenza diurna provocati da questo farmaco. Sono stati segnalati casi di malessere accompagnato talvolta da ipotonia o ipertonia e sintomi vertiginosi, prevalentemente in corrispondenza della prima assunzione, quando la posologia era elevata.

PRECAUZIONI D`IMPIEGO: Non essendone stata stabilita la sicurezza d`impiego si sconsiglia l`uso del prodotto in gravidanza e durante l`allattamento.

AVVERTENZE SPECIALI: Non potendosi escludere, a seguito dell`uso del prodotto, fenomeni di sonno-lenza diurna, sarà opportuno che i pazienti sotto trattamento evitino attività che richiedono integrità del grado di vigilanza (guida di autoveicoli, manovra di macchinari potenzialmente pericolosi, ecc.).

SOVRADOSAGGIO: In caso di assunzione accidentale di quantitativi elevati di farmaco il sintomo pre-valente e` la sonnolenza o il sonno. Un eventuale sovradosaggio può dar luogo eccezionalmente ad una eccitazione paradossa.
Non esiste antidoto specifico: la sintomatologia si risolve entro qualche ora, senza ricorrere a particolari interventi terapeutici.

23 gen 2012


Medicina naturale
25/07/2011 - uno studio suggerisce la validità della medicina tradizionale cineseUn rimedio erboristico efficace nel trattamento del Parkinson

Un'erba utilizzata dalla MTC nella cura dell'ipertensione si è rivelata efficace nel trattamento di alcuni sintomi del Parkinson -
utilizzata dalla Medicina Tradizionale Cinese per la cura dell’ipertensione può essere attiva anche nel combattere alcuni sintomi della malattia di Parkinson
Si chiama Gouteng, ed è un’erba utilizzata dalla Medicina Tradizionale Cinese (MTC) per la cura dell’ipertensione. Oggi, un nuovo studio, ha mostrato che questa stessa erba può essere impiegata con successo nel trattamento di alcuni sintomi della malattia di Parkinson.

Il Parkinson, una malattia degenerativa che colpisce il sistema motorio, fino a oggi è ritenuta incurabile. Ci sono cure che riescono a controllarne i sintomi, ma una cura vera e propria, che faccia guarire definitivamente, è ancora da trovare. I ricercatori della Hong Kong Baptist University hanno trovato che l’erba Gouteng somministrata ai pazienti sofferenti di Parkinson contribuiva a un miglioramento nell’esprimersi e comunicare, a un miglioramento del sonno e una riduzione del rischio di depressione.

Le cure tradizionali comprendono l’uso di un noto farmaco che il cervello trasforma in dopamina per alleviare i sintomi, tuttavia questo farmaco annovera tra i suoi effetti collaterali nausea e allucinazioni.
Lo studio suddetto ha voluto testare gli effetti dell’erba cinese in combinazione con l’uso di questo farmaco. I risultati hanno mostrato come vi fosse un marcato miglioramento in alcuni sintomi – come quelli succitati – e come vi fosse al contempo una riduzione degli effetti indesiderati del farmaco. L’erba cinese, si può quindi considerare un opzione complementare al trattamento dei sintomi per i pazienti che non intendono o non devono interrompere le cure tradizionali.

Il dottor Li Ming, che ha coordinato lo studio, ha dichiarato che questo studio non solo fornisce la prova farmacologica dell’efficacia dell’erba Gouteng nel trattamento della malattia di Parkinson, ma è una prova della sicurezza e validità della Medicina Tradizionale Cinese presso la comunità scientifica internazionale. Dopo aver presentato domanda di brevetto negli Usa, i ricercatori avvieranno una seconda fase di studio, più approfondita, a partire dal 2013.
[lm&sdp]

Medicina
23/01/2012 - effetti collaterali del litio che rimane tuttavia una terapia validaDepressione: la terapia con il litio può causare ipotiroidismo e iperparatiroidismo

Il litio nel trattamento della depressione può sortire alcuni effetti indesiderati, ma rimane comunque un rimedio efficace
litio, utilizzato nel controllo del disturbo bipolare può essere causa di aumento di peso e modificare l’attività della ghiandola tiroide. Secondo gli scienziati, rimane tuttavia una terapia valida
La prestigiosa rivista scientifica Lancet ha pubblicato uno studio in cui si suggerisce che la terapia con il litio, utilizzata nel trattamento del disturbo bipolare dei pazienti con depressione può avere degli effetti collaterali che interferiscono l’attività della tiroide e delle paratiroidi.

Lo studio revisionale di cui ci dà notizia Lancet è stato condotto investigando i possibili effetti del litio. Il professor John R. Geddes, del Dipartimento di Psichiatria dell’Università di Oxford (Uk) e colleghi hanno analizzato 400 studi, per poi arrivare a concluder che le anomalie della ghiandola tiroide nei pazienti che utilizzano il litio si verificano in circa il 25 percento di questi, rispetto all’1-3 percento della popolazione generale.

Il litio è un minerale che appartiene ai metalli alcalini, i cui Sali sono utilizzati in alcune preparazioni, sotto forma di farmaci, per il trattamento della depressione. Ora, questi Sali sono stati trovati causare non solo una disfunzione ghiandolare ma anche un aumento di peso. Oltre a ciò, dallo studio emerge che avrebbero effetti nel ridurre leggermente la capacità dei reni di concentrare l’urina.
Per contro, vi sono poche prove che collegano terapia con il litio gravidanza alle anomalie congenite. Allo stesso modo, sono scarse le prove che legano al litio a problemi di pelle o di perdita dei capelli.

Sebbene siano stati evidenziati questi effetti indesiderati della terapia con il litio, i ricercatori ritengono che rimanga tuttavia indubbia l’utilità di questo elemento nel trattamento del disturbo bipolare.
«Le prove hanno confermato gli importanti benefici terapeutici del litio – rispetto ad alcuni dei farmaci alternativi che lo hanno sostituito – che potrebbe condurre a un più ampio uso del litio. Linee guida di pratica clinica da tempo raccomandano il litio come trattamento in prima linea per il trattamento a lungo termine per il disturbo bipolare, ma il suo utilizzo è diminuito, in parte per motivi di sicurezza. […] Questa revisione offre una sintesi completa della prova del danno che deve tenuto in conto nelle decisioni cliniche e attirare l’attenzione su questioni-chiave che hanno urgente bisogno di ulteriori chiarimenti».

Non evitare dunque del tutto l’utilizzo del litio, ma informare i pazienti che intendono fruire di questa terapia dei possibili rischi a essa legata, suggeriscono gli autori i quali, in più consigliano di sottoporre i pazienti a un test di calcemia e test di base del sangue in vista del rischio di iperparatiroidismo. Allo stesso modo, anche le pazienti in gravidanza devono essere informate che i rischi di malformazioni congenite non sono supportati da prove certe e che, sebbene siano necessari ulteriori studi per stabilire se esistano o meno, è importante valutare con il proprio medico se sia il caso di interrompere l’eventuale cura.
[lm&sdp]

19 gen 2012


I depressi da Facebook
L'utilizzo frequente dei social network pare possa rendere tristi e scontente della propria vita le persone
Facebook è il più noto e frequentato social network. E la sua influenza è talmente virulenta che sono in pochi quelli che riescono a resistere dal collegarsi assiduamente.
Spesso, senza che ci si renda conto si diviene dipendenti e, come per ogni dipendenza, c’è il rovescio della medaglia: più si frequenta Facebook, più si tende a credere che gli altri abbiano una vira migliore e più bella della nostra, e che siano più felici - con il risultato che si diventa tristi e scontenti. Questo è quanto sostiene un nuovo studio statunitense.

La colpa di questa ondata di “depressione” da Facebook, secondo gli autori dello studio, sarebbe da imputare alle facce sorridenti ritratte nei profili personali degli utenti. La maggioranza di questi, infatti, pubblica una foto di sé che lo ritrae, appunto, sorridente o in ogni caso nella forma migliore – Chi d’altronde pubblicherebbe una propria foto dove appare nella forma peggiore?
Per comprendere meglio come questo fenomeno avesse il potere di deprimere le persone, i sociologi Hui-Tzu Grace Chou e Nicholas Edge della Utah Valley University hanno intervistato 425 studenti universitari. I partecipanti dovevano rispondere a domande inerenti la loro felicità e quella che ritenevano fosse tale nei loro "amici".

Le domande erano incentrate sul concetto “Sei d’accordo o meno…”, e andando nello specifico alcune erano del tipo: “La vita è giusta”, “Molti dei miei amici hanno una vita migliore della mia”, “I miei amici sono più felici di me” e cosi via.
Oltre a rispondere alle domande riguardanti la propria visione della vita, i partecipanti dovevano descrivere se utilizzavano Facebook e, nel caso, il tipo di attività che vi svolgevano, il numero di “amici” online che avevano accumulato e il numero di amici “reali” che conoscevano e frequentavano personalmente.

Dalle informazione raccolte si è scoperto che il 95 percento degli intervistati utilizzava Facebook, che erano iscritti in media da due anni e mezzo e che si collegavano al social network – e vi restavano – per circa 4,8 ore a settimana.
Il lavoro successivo dei ricercatori è stato quello di compiere una scrematura dei dati in base al sesso, la religione, lo stato civile, l’essere single o meno, il numero di amici accumulati online e quelli reali. Infine, in base alle risposte, se erano “d’accordo” o meno su quanto riportato dalle domande.

Ciò che apparso subito evidente è che i frequentatori assidui di Facebook hanno risposto in maggioranza – esprimendo il proprio accordo o meno – che i loro “amici” online erano di certo più felici di loro; che la vita era ingiusta nei loro confronti…
Al contrario, chi passava più tempo con amici veri – in carne e ossa – e socializzava di più nella vita reale erano più propensi a giudicare la vita con ottimismo, più giusta, e non ritenere che solo gli altri fossero felici.
A questo fenomeno, la dottoressa Chou dà il nome di “bias di corrispondenza”, ossia la tendenza psicologica con cui traiamo conclusioni errate su una persona sulla base di una conoscenza limitata.
«Vedendo le immagini felici di altre persone su Facebook dà alla gente l’impressione che gli altri siano “sempre” felici e abbiano una bella vita, come si evince da queste immagini che ritraggono momenti felici», conclude Chou.
Lo studio è stato pubblicato su Cyberpsychology, Behavior and Social Networking.
[lm&sdp]

15 gen 2012


- comportamenti imprevedibiliBambini e cani, come abituarli a interagire

I bambini fino a una certa età hanno un approccio con gli animali imprevedibile
un software per insegnare ai bambini a interagire con i cani. Solo che i bambini – come gli animali – sono imprevedibili e le reazioni di entrambi poco controllabili. I risultati di un curioso studio
Può un software insegnare ai bambini come ci si comporta quando si ha a che fare con un cane che, per quanto bonario o disponibile, potrebbe sempre avere delle reazioni imprevedibili e magari mordere? In linea teorica sì, offrendo linee guida, consigli di comportamento, avvertenze e via discorrendo. In pratica poi le cose spesso vanno in modo differente.

Comprendere allora quanto possa essere efficace un’educazione alla convivenza o fornire le informazioni per interagire con un cane, anche quando si abbia un incontro occasionale, è stato l’oggetto di un nuovo studio pubblicato sul Journal of Pediatric Psychology.
L’analisi prendeva spunto da un software appena uscito che si propone di educare bambini e ragazzi all’interazione con i cani, soltanto che a quanto pare i bambini hanno difficoltà a tradurre quanto appreso dal mondo virtuale in comportamenti reali quando abbiano a che fare con un cane vero.

Il professor David Schwebel dell’Università dell’Alabama (Usa), che ha coordinato lo studio, ritiene che il problema principale è che i bambini – un po’ come gli animali stessi – sono imprevedibili. Tuttavia, il rischio di comportamenti che possono causare situazioni pericolose nell’interazione bambino/animale, scende con l’aumentare dell’età. Secondo gli autori dello studio i soggetti più a rischio sono infatti i bambini al di sotto dei quattro anni.
Prima dei 4 anni, i bambini non riescono ancora a comprendere che gli altri – animali o esseri umani che siano – hanno esigente, pensieri e desideri diversi dai loro, spiega Schwebel. Accade così che, per esempio, quando un bambino si avvicina a un cane accucciato o che dorme non resiste da tirargli le orecchie, la coda o chissà che altro. Che tuttavia il cane in quel momento sia in vena di farsi tirare le orecchie non è affatto detto, anzi.

Di fronte a situazioni simili e potenzialmente pericolose, e per insegnare ai bambini come ci si dovrebbe comportare quando si interagisce con un cane, ecco dunque che è stato creato un gioco interattivo chiamato “The blue dog”, distribuito dalla The Blue Dog Trust, un’organizzazione no-profit.
In questo gioco i bambini sono liberi di scegliere come comportarsi avendo a che fare con un cane. Poi, a seconda del comportamento scelto, il cane ha delle reazioni diverse. Se, per esempio, il bambino disturba il cane mentre questo sta mangiando – evidenziando quindi un comportamento scorretto – quest’ultimo reagisce ringhiando e abbaiando.

L’idea di base di questo gioco non è errata, tuttavia i ricercatori hanno voluto capire se e come questo potesse davvero funzionare con i bambini.
Hanno così reclutato 76 bambini di età compresa tra i 3 e i 5 anni che già possedevano un cane.
I partecipanti sono poi stati sottoposti a una serie di test che comprendevano l’osservare delle immagini che riprendevano delle scene di vita reale con i cani, a cui i bambini dovevano dare un interpretazione, ossia dire come secondo loro si sarebbe comportato il bambino ritratto nella scena.
Gli altri test prevedevano un’iterazione con delle bambole e una casetta in cui i bambini dovevano far adottare ai personaggi i diversi comportamenti nei confronti del cane. Infine, i partecipanti sono stati fatti interagire direttamente con un cane vero. I cani utilizzati per lo studio erano tutti addestrati e utilizzati nelle terapie “pet therapy”.

Terminata questa prima fase dello studio, i bambini sono tornati a casa propria con una copia del software interattivo Blue Dog e un’altra di un programma chiamato “The Great Escape” (un gioco che insegna il comportamento da adottare in caso d’incendio). Gli scienziati hanno invitato i genitori a far giocare di frequente i bambini a entrambi i giochi, per tre settimane.
Terminato il periodo, i partecipanti sono tornati al laboratorio per la fase finale dello studio che prevedeva di nuovo l’interazione con i cani veri e l’osservazione delle immagini con le scene.

I risultati dei test hanno messo in evidenza come vi fossero delle sostanziali differenze tra la teoria e la pratica. «Ciò che abbiamo scoperto è che i bambini hanno effettivamente imparato», spiega Schwebel. Tuttavia, questo si mostrava di più quando si trattava di giudicare le immagini. «[I bambini] hanno effettivamente riconosciuto quando si deve accarezzare un cane, e quando non si deve accarezzare un cane», ha aggiunto il ricercatore.
La teoria però è andata all’aria quando i bambini si sono trovati nella stanza con il cane vero. Infatti, tutti i bambini hanno mostrato comportamenti diversi: erano più arditi nell’interagire con il cane, indipendentemente dal fatto che avessero giocato al computer o meno, mostrando che spesso l’istinto prevale sulla ragione quando si agisce nel mondo reale. Un’altra ipotesi è che durante il primo incontro i bambini avevano avuto un’esperienza positiva con quei cani, cosa che magari li ha fatti osare di più.

Comunque sia, alla fine, quello che più conta è l’esperienza pratica e, in questo caso, è importante che i bambini possano contare su una guida in carne e ossa come possono essere i genitori, i quali devono insegnare loro come interagire con gli animali.
[lm&sdp]

- è il tono che conta, non le paroleLa mamma parla una lingua sconosciuta? Il bambino capisce lo stesso

I bambini piccoli sanno interpretare il tono della voce più che le parole
Il feto riesce a percepire lo stato psicologico della mammaI bambini comprendono comunque ciò che dice la mamma anche se parla una lingua sconosciuta perché decifrano il tono e non le parole in sé. Lo studio
Le lingue non sono un problema per i bambini piccoli che, secondo quanto affermato da uno studio pubblicato su Cognitive Development, riescono a comprendere lo stesso quanto vuole dire la mamma anche se questa parla una lingua diversa da quella del suo ambiente o a lui sconosciuta.

La dottoressa Merideth Gattis, della Scuola Universitaria di Psicologia dell’Università di Cardiff (Uk), e colleghi hanno scoperto che i bambini di un anno di età hanno reagito allo stesso modo quando la madre ha parlato loro in due lingue diverse: inglese e greco. In questo modo hanno dimostrato di comprendere quanto detto anche se una delle due lingue era a loro sconosciuta.

L’ipotesi dei ricercatori, basata su quanto osservato andrebbe a confermare quanto già risaputo dalle mamme di tutto il modo, ossia che spesso è più il tono che conta che non le parole espresse – siano esse conosciute o in linguaggio, volendo, anche inventato.
In questo studio, gli scienziati hanno condotto alcuni test per valutare l’impatto sui bambini delle parole pronunciate in lingue diverse.
Hanno così coinvolto un gruppo di bambini e relative mamme. Queste ultime dovevano compiere delle determinate azioni interagendo con dei giocattoli, sotto lo sguardo attento dei loro figli. Le mamme, poi, mentre compivano queste azioni dovevano per esempio pronunciare ad alta voce le parole “grida” e “ecco”, prima in inglese e poi in greco, utilizzando lo stesso tono di voce quando pronunciavano le parole in entrambe le lingue.

Osservando le reazioni dei bambini, i ricercatori hanno constatato che questi avevano avuto la stessa reazione indipendentemente da che conoscessero la lingua o meno.
«Ciò che questo studio ha mostrato è che i bambini potrebbero avere avuto accesso alla comprensione sfruttando semplicemente il tono di voce – ha commentato la dottoressa Merideth Gattis che ha coordinato lo studio – «Abbiamo fatto dire “ecco” e “grida” in due lingue diverse e si sono ottenuti gli stessi risultati, nonostante i bambini non conoscessero le lingue».
Quello che è apparso evidente, prosegue la Gattis, è che i bambini rispondono al tono della voce dei genitori fin dalla più tenera età. Il modo in cui si dicono le cose, dunque, per i bambini è più importante che non quello che si dice, concludono i ricercatori.
[lm&sdp]

11 gen 2012


alcol e rimedi empirici Caffè e aspirina, ottimi antidoti della sbornia

Dopo aver bevuto troppo, possono essere d'aiuto aspirina o caffeina. Ma è sempre meglio non bere.

+ La caffeina per identificare il rischio di abuso di drogaAntinfiammatori e caffeina sono in grado di alleviare gli effetti nefasti dei postumi da sbornia. Lo studio
Chi non si è mai preso almeno una piccola sbornia nella vita? Probabilmente pochi. E se c’è qualcuno a cui ogni tanto ancora accade, sappiate che c’è una buona notizia: l’aspirina e il caffè sono molto efficaci nel combattere i postumi da sbornia. Quindi addio a depressione, ansia, nausea, mal di testa, letargia, sensibilità eccessiva a luci e rumori.
Questa è l’interessante novità di alcuni ricercatori americani che hanno scoperto come sia la caffeina che alcuni ingredienti contenuti negli antinfiammatori e antidolorifici tradizionali eliminano gli effetti dell’alcol.

A far conoscere questa possibilità sono stati Michael Oshinsky e i suoi colleghi della Thomas Jefferson University di Philadelphia che hanno testato l’effetto dell’alcol a basse dosi su topolini particolarmente soggetti alle emicranie. E siccome, di norma, sono sufficienti basse dosi di alcol per scatenare dolori alla testa in persone inclini a questo tipo di patologie, è stato possibile effettuare una ricerca sui topi utilizzando dosi minime di alcol e non facendoli arrivare all’ubriachezza.

In seguito all’assunzione di alcol i topi hanno sviluppato quasi subito il mal di testa. Disturbo che nei topolini si evidenzia quando la pelle intorno agli occhi diviene ipersensibile. Dopo aver constatato ciò ai topi è stato somministrato un antinfiammatorio come l’aspirina o della caffeina. Queste due sostanze sembrano in grado di bloccare gli effetti dannosi dell’alcol grazie all’azione inibente di una sostanza chimica che viene secreta dal corpo dopo una sbornia. Tale sostanza si chiama “acetato” ed è un sottoprodotto della metabolizzazione dell’alcol che avviene naturalmente nel nostro organismo.

Per tale motivo, sarebbe auspicabile bere una tazzina di caffè o assumere un’aspirina circa quattro ore dopo aver consumato l’alcol. Periodo in cui i livelli di acetato sono molto elevati.
Bene, ora una soluzione alla sbornia la conosciamo. Questo però, non deve essere una valido motivo per “tuffarsi” nell’alcol quando ne abbiamo voglia. Ma solo un piccolo espediente da utilizzare nei momenti in cui - ahinoi – non siamo stati capaci di resistere.
[lm&sdp]



C'è un'erba che combatte i sintomi o postumi da sbornia, così come il desiderio di alcol

+ Alcol: peggio per le donneDalla medicina antica, un composto di erbe attivo contro l’intossicazione acuta da alcool e i sintomi o postumi da sbornia
Molte delle scoperte odierne si rifanno un po’ all’antica, se non antichissima sapienza, e questo nuovo studio non è nient’altro che un’ulteriore conferma.

Un team di scienziati americani provenienti dall’Università della California a Los Angeles (UCLA), ha voluto testare gli effetti di un composto oggi conosciuto come dihydromyricetin (in italiano: diidromiricetina o DHM) che sembra avere la proprietà di bloccare l’azione dell’alcol sui neuroni. Ma non solo. L’effetto ancor più stupefacente è che al tempo stesso riduce il desiderio di alcol. Gli effetti collaterali? Quasi nessuno. Nello specifico il dihydromyricetin inibisce l’effetto dell’alcol sui recettori cerebrali denominati GABA. Durante il consumo di alcol i recettori GABA sono influenzati a tal punto da rallentare l’attività delle cellule del cervello, aumentare la sonnolenza, riducendo qualsiasi capacità comunicativa.

Lo studio, guidato dai ricercatori Richard W. Olsen e Jing Liang della David Geffen School of Medicine , mette quindi in evidenza una possibile soluzione per tutti gli alcolisti o chi ogni tanto fa abuso di alcol.
Il principio attivo, il dihydromyricetin, proviene dalla pianta di Hovenia Dulcis (Albero di uva passa). Da millenni questa pianta è utilizzata in medicina tradizionale cinese (MTC). I suoi frutti, infatti, vengono adoperati come febbrifughi, antispasmodici e lassativi. Mentre i semi, appunto, per neutralizzare l’effetto dell’alcol.
Cosa scopriamo dunque oggi? Come ormai ben sappiamo, la scienza, spesso, più che scoprire, semplicemente… ri-scopre.
Lo studio è stato pubblicato sul Journal of Neuroscience, alcuni giorni fa.
[lm&sdp]

7 gen 2012


Donna magra, matrimonio durevole

Se lei è magra pare che il matrimonio funzioni meglio e che i due partner siano più soddisfatti - Foto: ©photoxpress.com/Anatoly Tiplyashin

+ Il denaro può comprare tutto, ma non l’amoreUn nuovo studio afferma che se nella coppia è lei a essere magra il matrimonio funziona meglio
Avere un fisico sottile, essere magre il giusto non solo premia l’occhio – che vuole la sua parte –ma, secondo quanto suggerisce un nuovo studio, è l’ideale affinché il matrimonio funzioni e duri nel tempo.

Quindi una lei magra in coppia con un lui, anche se non è proprio del tutto magro, formano il duo ideale affinché il loro rapporto dia più soddisfazione e duri nel tempo sostengono i ricercatori dell’Università del Tennessee (Usa). Non dunque il carattere, l’avvenenza o la capacità di essere moglie secondo "certi" canoni ma è il BMI a fare la differenza. Un più basso Indice di Massa Corporea distinguerebbe infatti le donne che hanno un rapporto o un matrimonio duraturo e soddisfacente.

La dottoressa Andrea Meltzer e colleghi hanno scoperto che se la donna è magra va bene per entrambi, ossia lei e il marito. Se, difatti, all’inizio è proprio il suo fisico sottile ad aver attirato l’uomo, in seguito il continuare a essere magre fa sentire la donna più sicura di sé, più tranquilla che il proprio uomo la desidera ancora.
Per questo studio, al fine di verificare le implicazioni del BMI sulla soddisfazione coniugale, e i cui risultati sono stati pubblicati su Social Psychological and Personality Science, i ricercatori hanno seguito 169 coppie di sposi, con età media 35 anni, per un periodo di quattro anni.
A tutti i partecipanti è stato chiesto di compilare due questionari, ogni 6 mesi.

Al termine dei quattro anni di studio, e dalle risposte date dalle coppie, si è scoperto che gli uomini con un più alto Indice di Massa Corporea sono risultati più soddisfatti se le loro mogli erano magre. Mentre le donne più magre erano più felici delle altre donne che avevano lo stesso, o superiore, BMI del proprio marito.
In ogni caso, il peso del coniuge non era per forza collegato al successo del matrimonio, come sottolinea Meltzer: «I mariti erano più soddisfatti all’inizio, e le mogli erano più soddisfatte con il tempo; nella misura in cui le mogli avevano un BMI inferiore rispetto ai loro mariti, secondo i dati analizzati che comprendevano i casi di depressione , il reddito, l’istruzione, e se la relazione è finita con un divorzio».

Sebbene i risultati mostrino che il valore del BMI ha il suo peso nel matrimonio, questo stesso peso non è il solo fattore a decretare il possibile successo di un rapporto, fanno notare i ricercatori. Un’ipotesi su quanto emerso dai dati raccolti è che «l’attrattiva e il peso sono più importanti per gli uomini. Ciò potrebbe essere perché vediamo emergere nei mariti questo fattore all'inizio del matrimonio, e la loro insoddisfazione potrebbe interessare la soddisfazione delle mogli nel tempo».
Il messaggio che tuttavia arriva dalla società è che la donna deve raggiungere un peso spesso irraggiungibilmente basso, con tutte le conseguenze, sovente nefaste, del caso. Ma il messaggio che invece arriva da questo studio è che le donne di qualsiasi dimensione possono essere felici nel loro rapporto con il partner giusto. È il peso relativo che conta, non il peso assoluto, concludono gli autori dello studio cercando di far comprendere che si può cercare di ottenere un peso forma senza estremismi e pericolosi e poco scientifici metodi.
[lm&sdp]

Voce profonda sinonimo di virilità? No, di pochi spermatozoi


+ Voce maschile profonda: per la donna è un parametro di scelta, e influisce sulla memoria

+ Uomini audaci e sicuri di sé, merito del testosteroneA differenza di quanto popolarmente creduto, la voce profonda maschile potrebbe denunciare una scarsa capacità di emettere quantità adeguate di sperma. Lo studio
È diffusa la convinzione che una voce maschile profonda sia più sensuale – e per molte donne lo è proprio – e che questa sia sinonimo di virilità. Un po’ come la credenza che chi è calvo sia più virile.
Il motivo di questi miti è spesso nato dalla convinzione che chi possiede queste caratteristiche sia “baciato” da una pioggia di testosterone, l’ormone sessuale maschile per eccellenza.
Un nuovo studio però instilla il dubbio che dietro a una voce maschile profonda vi sia una povertà di spermatozoi, pur restando il testosterone.

Sono stati i ricercatori della University of Western Australia a gettare il sasso nel tranquillo stagno del macho che vede ora agitarsi le acque a minaccia dell’immagine di sé. Secondo i dottori Leigh Simmons, Marianne Peters and Gillian Rhodes l’imputato sarebbe dunque proprio il testosterone – ritenuto il dispensatore di virilità – la causa del declassamento degli uomini con voce profonda. È dunque proprio l’eccessiva quantità nei livelli di questo ormone che può ridurre la quantità di sperma eiaculato.

Lo studio, pubblicato su PLoS ONE, è iniziato proprio partendo dal concetto che voce profonda è uguale a più attrattiva. E per confermare questa credenza hanno coinvolto un gruppo di donne a cui è stata fatta ascoltare la voce registrata di 54 uomini. I risultati hanno confermato che le donne preferivano le voci maschili più profonde.
Ma lo studio è proseguito e ai 54 partecipanti maschi – di età compresa tra i 18 e i 32 anni – è stato prelevato un campione di sperma. Questo è poi stato oggetto di ulteriore analisi per quantificarne la qualità ed eseguire un conteggio degli spermatozoi.

I dati raccolti hanno fatto scoprire ai ricercatori che negli uomini con voce profonda il numero degli spermatozoi era inferiore, rispetto agli altri, ma lo stato di salute rientrava tuttavia ancora nei parametri.
A detta degli autori dello studio, la possibilità che negli uomini con più testosterone e giudicati virili, magari anche perché hanno una massa muscolare più sviluppata – oltre alla voce più profonda – corrisponda tuttavia un minor numero di spermatozoi è una sorta di compensazione naturale. Una specie di tentativo di portare equilibrio offrendo delle chances in più a chi ha la voce più squillante e, per questo, può risultare meno attraente nei confronti delle donne.
Be’, comunque sia, forse non è il numero che conta ma quanto quell’unico singolo spermatozoo è tanto “virile” da arrivare per primo all’ovulo e fecondarlo.

3 gen 2012



Fitoterapia

Oro, incenso e mirra i doni che curano

Rimedi attuali che vengono dal passato

L'adorazione dei MagiL'adorazione dei Magi
MILANO - Oro, incenso e mirra sono i tre doni dei Magi al Bambino Gesù. Sono tre doni dal significato simbolico (oro per la regalità del Bambino nato; incenso a ricordare la sua divinità; mirra, usata per la mummificazione, per parlarci del sacrificio e della morte dell’uomo Gesù), ma sono anche tre rimedi medicamentosi.

INCENSO - L’incenso, conosciuto soprattutto per il suo uso durante le cerimonie religiose e funebri, viene estratto dalla Boswellia, pianta dell'antica medicina ayurvedica. Diverse ricerche (fondamentale quella di Edzard Ernst, pubblicata sul British Medical Journal nel 2008) ci hanno confermato la presenza in questa resina di numerose sostanze chimiche dotate di attività antinfiammatoria. La Boswellia si utilizza ormai da molti anni, ottenendo buoni benefici, nei pazienti con colite ulcerosa, Crohn o altre malattie croniche a carico dei bronchi come delle articolazioni. È ben tollerata e consente anche di ridurre il consumo di farmaci.

MIRRA - La mirra tra i doni dei Magi è forse la sostanza più misteriosa, molti neppure sanno cosa sia. Si tratta di una resina ricavata da una pianta tipica di penisola arabica, Mesopotamia e India (le stesse zone dove è d’altronde presente anche la Boswellia). Nell’antichità si usava soprattutto per aromatizzare e conservare le mummie. Il primo lavoro scientifico italiano sulla mirra è stato pubblicato 15 anni fa, su Nature, da Piero Dolora e dai suoi collaboratori del Dipartimento di Farmacologia dell’Università di Firenze, che hanno ben studiato il meccanismo di azione di alcune sostanze chimiche, presenti in questa resina, sui recettori per gli oppioidi, spiegandone così le capacità analgesiche. L'uso tradizionale, confermato da prove cliniche più recenti, ci consente di sfruttarne pienamente non solo le proprietà analgesiche, ma anche le capacità antinfiammatorie e antisettiche - provate da altri studi scientifici - che si rivelano particolarmente utili nella cura di gengiviti, afte, peridontopatie e nella terapia di ferite e ulcerazioni cutanee. In Arabia Saudita la mirra viene ancora oggi utilizzata per la cura e la protezione del piede diabetico. Ma mirra e incenso sono stati utilizzati fin dall'antichità come rimedi curativi non solo da singolarmente, ma anche insieme. Il «Balsamo di Gerusalemme», che per la sua attività antinfiammatoria è entrato a far parte di molte recenti farmacopee, è stato formulato, proprio grazie a queste due resine, nel 1719 nella farmacia del monastero di San Salvatore, nella città vecchia di Gerusalemme.

ORO - E l’oro? Se si fosse trattato veramente del prezioso metallo potremmo limitarci a dire che l'oro ha avuto un posto di rilievo nella recente storia della medicina, per la terapia di fondo dell'artrite reumatoide. Ma, invece che di oro, poteva trattarsi della preziosissima polvere di Curcuma, color oro appunto, proveniente sempre dall’Oriente, pregiata sia in cucina, sia nella medicina. Oggi sappiamo che la Curcuma è preziosa perché contiene sostanze antiossidanti particolarmente attive contro i fenomeni infiammatori cronici e nelle varie tappe della trasformazione cancerosa delle cellule. Usata nella pratica clinica su pazienti affetti da psoriasi e da infiammazioni croniche intestinali o reumatiche, la Curcuma suscita sempre maggior interesse tra i ricercatori perché si è visto che può migliorare la risposta di alcuni tumori ai farmaci chemioterapici. Un esempio, tra i tanti, che ci consente oggi di parlare di medicina integrata, piuttosto che di medicina alternativa.

Fabio Firenzuoli
Direttore Centro di Medicina Integrativa
ospedale Careggi, Università di Firenze

2 gen 2012


L’Alzheimer si previene mangiando

Il salmone, come altri alimenti, contiene buone quantità di elementi utili nella prevenzione di malattie come l'Alzheimer

+ La dieta mediterranea protegge anche il cervello
dieta che includa buone quantità di vitamine e grassi omega-3 pare sia in grado di prevenire o, nel caso, rallentare la progressione della malattia di Alzheimer. Lo studio
L’Alzheimer è una malattia altamente invalidante, attacca le funzioni cerebrali e rende le persone incapaci di vivere una vita normale, spesso in modo drammatico.
La possibilità dunque di prevenire e, nel caso sia già sviluppata, rallentarne la progressione diviene una speranza per tutti – non solo per i pazienti e le persone a rischio.

Un nuovo studio, oggi, suggerisce che tutto ciò potrebbe essere possibile, e senza chissà quali accorgimenti: basta seguire una dieta corretta che includa buone quantità di vitamine e acidi grassi essenziali omega-3.
Ecco dunque quanto scoperto dal dottor Gene Bowman dell’Oregon Health and Science University di Portland (Usa), che insieme ai colleghi ha pubblicato i risultati di questa ricerca su Neurology, la rivista medica della American Academy of Neurology. Qui si legge che semplici modifiche alla propria dieta possono produrre grandi benefici e, in questo caso, prevenire il restringimento del cervello.
«Questi risultati devono essere confermati, ma ovviamente è molto eccitante pensare che le persone potrebbero fermare la contrazione dei loro cervelli, e tenerli vivi, regolando la loro dieta», ha commentato Bowman.

Proviamo allora a considerare di far spazio nella nostra dieta agli alimenti che contengono in modo naturale preziose vitamine come, per esempio, frutta e verdura fresche. Non dimenticando che un’ottima fonte di omega-3 è il pesce azzurro come sgombro, sardine ecc. e poi anche il salmone. Se già le sostanze attive come appunto gli acidi grassi essenziali omega-3 sono state riconosciute utili nella prevenzione delle malattie cardiache, il fatto di poter anche prevenire la demenza senile o l’Alzheimer è un po’ come prendere i famosi due piccioni con una fava.

Combinare vitamine come quelle del gruppo B, la C, la D e la E, insieme agli omega-3 ha permesso ai partecipanti allo studio di ottenere punteggi significativamente più alti nei test mentali, rispetto a coloro che seguivano una dieta povera di questi nutrienti.
I ricercatori fanno notate che, per contro, seguire una dieta scorretta può aumentare proprio il rischio di sviluppare l’Alzheimer – insieme ad altre malattie gravi come quelle dell’apparato cardiocircolatorio che si possono manifestare con attacchi di cuore e ictus. Questi stessi fattori di rischio, a loro volta, possono aumentare il rischio di demenza, similmente a un cane che si morde la coda.

Lo studio ha altresì confermato precedenti ricerche che mostravano come una dieta che contenesse adeguate quantità di acidi grassi essenziali omega-3 potesse ridurre il rischio di Alzheimer fino al 45 percento. Una percentuale degna di nota che dovrebbe non far avere più dubbi sulla decisione di favorire l’assunzione di questi nutrienti per mezzo della propria dieta.
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Post feste: per perdere peso occorrono almeno 3 mesi


+ Il rimedio, semplice ed efficace, alle abbuffate nataliziePerdere i chili di troppo acquistati con i pranzi delle feste ci costerà almeno tre mesi di sacrifici, secondo il nutrizionista
Insieme ai regali, durante le festività natalizie, molti si ritrovano ad aver acquistato qualche chilo di troppo grazie alle 14mila calorie in più assunte. E, ora, finite le baldorie è il momento di fare ammenda. Soltanto che, a quanto pare, non sarà così semplice e, soprattutto, veloce: secondo la nutrizionista Dora Walsh infatti per smaltire la ciccia ci vorranno in media 3 mesi.

Il consiglio degli esperti è stare alla larga dalle diete fai da te e da quelle che promettono un rapido smaltimento dei grassi – in genere possono essere pericolose e non durano nel tempo, con il rischio di riprendere poco dopo i chili persi in precedenza.
Prendiamone atto e cospargiamoci il capo di cenere: durante le feste abbiamo esagerato e ora ne paghiamo le conseguenze. Non cerchiamo dunque facili soluzioni ma consultiamo un esperto – meglio se medico nutrizionista – e armiamoci di buona volontà in modo da ritrovare la forma perduta o, in qualche caso, mai avuta.

I principali consigli del nutrizionista sono: mangiare lentamente, moderare le porzioni e limitare i grassi. Far del movimento – anche solo delle salutari passeggiate; non è necessario ammazzarsi di fatica in palestra. Bere adeguatamente per smaltire le tossine, magari aiutandosi con qualche tisana depurativa. Privilegiare il consumo di frutta e verdura.