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Pubblicheremo inoltre interessanti articoli di storia della medicina.

29 apr 2012

La celiachia

Russare troppo

27 apr 2012

Ecco perchè se non ti lavi i denti puoi morire

Scoperto il meccanismo che può provocare un attacco di cuore a causa di una cattiva igiene orale La carie, spauracchio per invitare a lavarsi i denti, passa decisamente in secondo piano se confrontata col il rischio di morire a causa di un attacco di cuore. Sì, perché se da diverso tempo la scarsa igiene orale è stata sospettata di essere collegata al rischio di malattie cardiache, ora pare sia stato scoperto il nesso, o la causa. Uno studio condotto dall’Università di Bristol (Uk) ha permesso di scoprire che dietro alla possibilità di avere un attacco di cuore o un ictus c’è un comune batterio – lo stesso che causa la carie e la malattie gengivali – che può diffondersi nel sangue e contribuire a formare dei coaguli che possono provocare infarto e ictus. Due eventi che sono tra le cause principali di morte in Europa. Come può questo batterio (della famiglia degli Streptococchi) passare nel sangue e provocare questi disastri? Di norma, pare si limiti a sostare nella bocca e provocare i danni che gli competono, spesso però a causa di un possibile sanguinamento delle gengive si apre la strada al suo ingresso nel sangue, con il rischio di cui accennato prima. Questi batteri sono piuttosto perniciosi e intelligenti: forzano le piastrine del sangue per legarsi e creare sulla propria superficie una proteina, detta PadA, che crea loro uno scudo protettivo. Forti di questo scudo protettivo, creato con la complicità involontaria delle piastrine, i batteri passano indenni agli attacchi del sistema immunitario e degli antibiotici… immaginiamo quindi il disastro che possono combinare. Da ultimo, ma non ultimo, il rischio di infarto e ictus. Il professore di microbiologia orale Howard Jenkinson ha dimostrato per la prima volta come un singolo batterio possa attivare le piastrine a suo piacimento per diffondersi nel sangue. «Quando le piastrine si aggregano insieme racchiudono completamente i batteri. Ciò fornisce una copertura di protezione non solo dal sistema immunitario, ma anche dagli antibiotici che potrebbero essere usato per trattare l’infezione», ha spiegato Jenkinson sulle pagine del Telegraph. «Purtroppo, come aiuta i batteri, l’aggregazione piastrinica può causare piccoli coaguli di sangue, escrescenze sulle valvole cardiache o infiammazione dei vasi sanguigni che possono bloccare l’afflusso di sangue al cuore e al cervello», ha poi aggiunto. Se ancora avevate dei dubbi sull’utilità di mantenere un’igiene orale corretta pensando che, tanto, la carie, il tartaro o la placca fossero problemi di poco conto, di fronte alla possibilità di lasciarci le penne, forse è il caso di utilizzare più spesso spazzolino, filo interdentale e ogni mezzo per eliminare i batteri. I risultati di questa ricerca verranno presentati oggi al MON, la conferenza autunnale della Society for General Microbiology’s.

Luce e infarto

la luce intensa attiva una proteina che favorisce il metabolismo del cuorePrevenire e trattare l’infarto con la luce La luce intensa, come quella diurna, pare possa ridurre i possibili danni da infarto del miocardio Gli attacchi di cuore possono essere prevenuti, o trattati per ridurne i danni quando già subiti, anche esponendosi alla luce intensa, come quella diurna solare. Lo studio Per prevenire o trattare gli attacchi di cuore oggi ci sono diverse soluzioni, come gli anticoagulanti, l’aspirina e così via. Ma, della luce, ancora non se ne era sentito parlare. E, invece, secondo un nuovo studio l’esposizione a una luce intensa come quella diurna potrebbe ridurre il rischio di attacco di cuore o ridurne i danni nel caso se ne sia già stati vittime. Ad aver messo “in luce” che la luce può avere effetti benefici sulla salute del muscolo più importante del nostro corpo sono i ricercatori Tobias Eckle e Holger Eltzschig della Scuola di Medicina dell’Università del Colorado, negli Stati Uniti. «Lo studio suggerisce che la luce intensa, o anche solo luce del giorno, potrebbe ridurre il rischio di avere un attacco di cuore o di subirne i danni – commenta il dottor Eckle, professore associato di anestesiologia, cardiologia, e biologia cellulare e dello sviluppo presso la UC – Per i pazienti, questo potrebbe significare che l’esposizione a luce diurna all’interno dell’ospedale potrebbe ridurre i danni causati da un attacco di cuore». La domanda da cui sono partiti gli scienziati dell’UC era incentrata su quale poteva essere la connessione tra la luce e l’infarto miocardico. E, una delle risposte che si è ipotizzata è il ritmo circadiano, ossia quella sorta di orologio biologico caratterizzato un ciclo periodico pari a 24 ore e influenzato dall’alternarsi di luce – per l’appunto – e buio. A regolarne l’attività sono alcuni ormoni e proteine nel cervello. Quello che è però stato preso in considerazione dagli autori di questo studio è che le proteine in questione si trovano anche in altri organi del corpo come, per esempio, nel cuore. Le scoperte fatte da Eckle e Eltzschig sono state di recente pubblicate su Nature Medicine. In particolare, gli autori hanno identificato una proteina chiamata "Period 2" che, a quanto sembra, gioca un ruolo cruciale nell’allontanare i danni al cuore a seguito di un infarto del miocardio. Una complicazione caratteristica di questo evento è la carenza o il mancato afflusso di ossigeno al cuore. Questo fatto costringe il muscolo cardiaco a supplire questa carenza o mancanza attingendo al glucosio, anziché al consueto combustibile: i grassi. Se però non sono possibili modifiche nel metabolismo del cuore, avviene che le cellule cardiache muoiono e il cuore stesso ne resta gravemente danneggiato. Il ritmo circadiano allora entra in gioco proprio in virtù di questo evento grazie all’azione della proteina Period 2 che risulta fondamentale nel promuovere il cambio di carburante – ossia dal grasso al glucosio – in modo che il metabolismo del cuore si modifichi in modo più efficiente, riducendo o prevenendo del tutto i possibili danni correlati. Lo studio in questione, condotto su modello animale, ha mostrato come la luce intensa abbia attivato la proteina Period 2 e abbia ridotto al minimo i danni causati dall’attacco di cuore. Il prossimo passo, come sempre, sarà quello di dare avvio a studi clinici sull’uomo per stabilire come la luce possa modificare il metabolismo cardiaco, grazie all’attivazione della Period 2, per prevenire i possibili e gravi danni che il cuore può subire.

18 apr 2012


Per ritrovare il sonno perduto ci vogliono le ciliegie

Le ciliegie contengono buone quantità di melatonina, in grado di regolare i cicli sonno-veglia

Mangiare ciliegie per dormire bene la notte, suggerisce un nuovo studio australiano

Ci sono ciliegie e ciliegie. Quelle che possono beneficiare di determinate condizioni climatiche, per esempio dove c’è una buona esposizione solare, pare siano un concentrato benefico di melatonina.
La melatonina, lo sappiamo, è una sostanza naturale di norma prodotta dalla ghiandola pineale. È un ormone che ha il preciso compito di regolare i cicli sonno-veglia. Per cui si comprende che se questi sono regolati e l’ormone è presente in quantità adeguate, viviamo meglio di giorno e dormiamo meglio di notte.

Senza dunque doversi per forza riempire di sonniferi per poter dormire o restare tutta la notte a contare pecore nell’inutile speranza di prendere sonno, c’è qualcosa di molto semplice che potremmo fare: mangiare ciliegie – tenuto conto poi che siamo proprio a ridosso della stagione.
Ma, come dicevamo all’inizio, non tutte le ciliegie sono uguali – per cui ci sono quelle più o meno ricche di melatonina. Quelle dello studio, guarda caso, conterrebbero livelli di melatonina ben 30 volte superiori alle ciliegie che crescono nell’emisfero boreale (il nostro, per intenderci).

Queste bombe di melatonina crescerebbero dunque in Central Otago, in Nuova Zelanda (nell’emisfero australe pertanto) e sarebbero così ricche di questa sostanza perché, sostengono i ricercatori, lì c’è un Sole "speciale".
A sostenere questa tesi è uno studio commissionato da una nota azienda australe chiamata Fruision, specializzata in rimedi naturali e la fruitgrower Summerfrui. Lo studio, secondo una nota di Stuff.co.nz, avrebbe comparato, tra gli altri, i livelli presenti nelle ciliegie prodotte nei due emisferi. Se pertanto precedenti studi avevano quantificato i livelli di melatonina presenti nelle ciliegie americane come pari a 15 nanogrammi per grammo di prodotto; questo nuovo studio ha quantificato la presenza di melatonina in 500 nanogrammi per grammo di frutti neozelandesi - una bella differenza.
Se poi le ciliegie venivano essiccate, i livelli di melatonina salivano addirittura a 3.100 per grammo di prodotto – ovviamente anche perché la frutta disidratata pesa meno.

I produttori del luogo, supportati dagli studi in questione, ritengono che i frutti cresciti alle loro latitudini siano più salutari. La dottoressa Judy Bragger, della Fruision, sostiene per esempio che i Kiwi – noto prodotto neozelandese – alle loro latitudini sono più esposti ai raggi ultravioletti che non quelli cresciuti in Europa o negli USA. Il risultato è che questi frutti producono più metaboliti, ed quello che pare accada anche con le ciliegie.
«Sono questi secondari metaboliti che producono le ciliegie che hanno un grande impatto sulla promozione della salute umana quando si mangiano», conclude Bragger.

Certo, andare a trovare proprio le ciliegie neozelandesi forse non è così facile, tuttavia anche se le nostre – secondo loro – non contengono questi alti livelli di melatonina ne racchiudono comunque buone dosi. Possiamo pertanto mangiare le ciliegie nostrane e godere dei benefici per la salute in generale e per il sonno… al massimo vorrà dire che faremo lo sforzo di mangiarne qualcuna in più.
[lm&sdp]

14 apr 2012



cocktail chimiciDonne incinte, nel proprio corpo presenti 163 sostanze chimiche, di cui molte vietate

In circolazione nell'organismo delle donne in gravidanza spesso ci sono sostanze estranee e pericolose per la salute di mamma e bambino. Foto: ©photoxpress.com/Anatoly Tiplyashin
cocktail di sostanze chimiche si trovano pericolosamente nell’organismo delle donne in gravidanza. Lo studio
Sono ben 163 le sostanze chimiche trovate nel corpo di un gruppo rappresentativo di donne incinte americane, molte delle quali vietate perché pericolose. Ecco quanto di sconcertante emerge da un rapporto pubblicato su Environmental Health Perspectives, a opera dei ricercatori dell’Università della California a San Francisco (Usa).

Lo studio, il primo ad analizzare una per una le sostanze presenti nel corpo, è stato condotto su 268 donne in stato di gravidanza tra il 2003 e il 2004.
Le analisi condotte hanno rivelato che nella quasi totalità delle donne ci erano tracce di queste sostanze: bifenili policlorurati, pesticidi organoclorurati (di cui il DDT), composti perfluorinati (PFC) che si trovano nel teflon usato per rivestire le padelle antiaderenti, ftalati che compongono la plastica, idrocarburi policiclici aromatici (IPA) e perclorato.

Ma la lista non si esaurisce qui dato che, come accennato, le sostanze trovate nell’organismo delle donne incinte sono quasi 200. Tra le molte altre, fanno notare gli scienziati, vi sono i noti eteri di difenile polibromurato (PBDE) e i composti usati come ritardanti di fiamma e attualmente vietati in diversi stati. Una nota d’eccezione la merita il bisfenolo A (o BPA), che è stato trovato in ben il 96% delle donne studiate. Questa sostanza, utilizzata nella produzione della plastica e che ritroviamo anche all’interno delle lattine alimentari, è stata oggetto di diversi studi in cui si è sempre suggerito che possa causare diversi problemi di salute sia alla donna che al nascituro. Tra questi problemi nello sviluppo cerebrale e un maggiore rischio di sviluppo del cancro.

Ancora una volta, non ci si stancherà mai di consigliare tutte le donne in gravidanza di far attenzione a quali sostanze e prodotti utilizzano durante questo delicato periodo; questo per evitare problemi a se stesse e al feto.
[lm&sdp]

- sostanze chimiche contenute in cosmetici, ambiente, contenitori per alimentiAttenzione agli ftalati, possono portare al diabete

anche minima agli ftalati presenti nei cosmetici e materie plastiche in genere fa aumentare il rischio di sviluppare il diabete di tipo 2. Il rischio aumenta con l’aumentare dell’età. Lo studio
Anche se i livelli di ftalati assorbiti e presenti nel sangue sono minimi si rischia di sviluppare il diabete di tipo 2, avverte un nuovo studio pubblicato su Diabetes Care. E il rischio aumenta con l’avanzare dell’età.

Gli ftalati sono sostanze chimiche assai diffuse. Ma per capire meglio riprendiamo quanto riportato sul sito web a essi dedicato – e a disposizione per chi vuole approfondire – del Centro Italiano d’Informazione sugli Ftalati all’indirizzo ftalati.info.
“Gli ftalati sono sostanze chimiche organiche prodotte dal petrolio e sono i plastificanti più comuni al mondo. Sono una famiglia di sostanze chimiche usate da oltre 50 anni, principalmente per rendere morbido e flessibile il cloruro di polivinile (PVC). Benché i vari tipi utilizzati oggi abbiano delle similitudini strutturali, ognuno ha prestazioni diverse. Gli ftalati hanno l’aspetto di un olio vegetale chiaro e hanno poco o nessun odore”.
“Non tutti gli ftalati sono utilizzati come plastificanti per il PVC. Alcuni di essi impediscono allo smalto per unghie di sfaldarsi, consentono al profumo di durare più a lungo o rendono più forti e più resistenti alla rottura le impugnature degli attrezzi. Altri aiutano gli adesivi, i sigillanti, i pigmenti delle vernici e molti altri materiali a svolgere meglio la propria funzione”.

Ecco che, come avrete letto, queste sostanze si utilizzano anche in cosmesi e nella produzione di oggetti di uso comune, per cui è facile venirne a contatto e, in qualche modo, assorbirli. Difatti, come evidenziato dallo studio di cui andiamo a trattare, sono stati regolarmente rinvenuti nel sangue delle persone.
Sono i ricercatori svedesi dell’Università di Uppsala ad aver condotto un’analisi revisionale in cui sono state coinvolte oltre 1.000 persone, di ambo i sessi, e di età compresa tra i 70 anni e oltre. I partecipanti facevano parte di un ampio studio detto PIVUS (Prospective Investigation of the Vasculature in Uppsala Seniors).

La dottoressa Monica Lind, professore associato di medicina ambientale presso la Sezione di Medicina del Lavoro e Ambientale dell’Università di Uppsala, insieme al professore di medicina Lars Lind, ha condotto una serie di esami e test che prevedevano l’analisi della glicemia a digiuno e i livelli di insulina. Poi, i campioni di sangue prelevati sono stati sottoposti all’analisi per rintracciare le varie tossine ambientali, comprese le sostanze che si formano quando il corpo entra in contatto con gli ftalati.

Sebbene, le analisi abbiamo mostrato che il diabete era più comune tra i partecipanti che erano in sovrappeso e avevano alti livelli di lipidi nel sangue, i ricercatori hanno scoperto una connessione tra i livelli ematici di alcuni ftalati e una maggiore prevalenza di diabete di tipo 2. I risultati si sono mostrati anche dopo l’aggiustamento dei fattori confondenti come l’obesità, i grassi nel sangue, il vizio del fumo e l’esercizio fisico.
Dai dati raccolti l’impatto degli ftalati si è mostrato dunque evidente, anche se i ricercatori ci vanno cauti. E le persone che mostravano elevati livelli di queste sostanze chimiche nel sangue avevano circa il doppio il rischio di sviluppare il diabete di tipo 2, rispetto a coloro che avevano livelli più bassi. Infine, alcuni ftalati sono stati collegati a un’interruzione nella produzione di insulina da parte del pancreas.

«Nonostante i nostri risultati devono essere confermati da altri studi, supportano l’ipotesi che alcune sostanze chimiche ambientali possono contribuire allo sviluppo del diabete – precisa la dottoressa Lind nel comunicato UU – Tuttavia, per scoprire se gli ftalati sono veramente fattori di rischio per il diabete, sono necessari ulteriori studi che mostrano associazioni analoghe. Oggi, oltre il presente studio, c’è solo un piccolo studio su donne messicane. Ma studi sperimentali su animali e cellule sono anche necessari per osservare quali meccanismi biologici sono alla base di queste connessioni».
Nel frattempo, e a scanso di equivoci, se possiamo evitare il contatto con queste sostanze è senz’altro meglio.
[lm&sdp]

9 apr 2012




Che cos’è l’emicrania? Quali sono le cause e come la si può curare?
Generalmente l’emicrania inizia con un dolore sordo che in seguito si trasforma in dolore pulsante, il più delle volte avvertito in corrispondenza delle tempie, oppure della fronte o della nuca, in uno o in entrambi i lati della testa. Il dolore di solito è accompagnato da diversi sintomi associati:

■nausea,
■vomito,
■sensibilità alla luce e al rumore.
Alcune persone (circa il 15 per cento di coloro che soffrono di emicrania) soffrono di aura prima degli attacchi. Si pensa che l’emicrania sia provocata dalle reazioni chimiche che hanno luogo all’interno del cervello. Tra le terapie troviamo farmaci da banco o con obbligo di ricetta, ma anche tecniche di auto-aiuto come il rilassamento e il biofeedback.

Che cos’è l’aura?
Il 15-20% circa di coloro che soffrono di emicrania presenta l’aura, cioè un insieme di sintomi neurologici che si verifica prima dell’attacco di mal di testa. Durante l’aura è possibile: vedere linee ondulate o frastagliate, puntini o luci che lampeggiano, oppure avere una visione a tunnel o punti ciechi in uno o in entrambi gli occhi. L’aura può provocare allucinazioni visive o uditive, oppure disturbi dell’odorato, del gusto o del tatto (è possibile avvertire strani odori). Tra gli altri sintomi ricordiamo l’intorpidimento, la sensazione di formicolio oppure la difficoltà a ricordare o a pronunciare le parole giuste. Questi eventi neurologici possono durare fino a un’ora e si affievoliscono quando l’attacco di mal di testa ha inizio.

Quali sono i fattori scatenanti?
Alcuni fattori fisici o ambientali, come gli alimenti, i cambiamenti ormonali, le condizioni atmosferiche e lo stress sono in grado di provocare o scatenare l’emicrania, tuttavia è importante ricordare che i fattori scatenanti sono diversi a seconda del paziente. Proprio per questo, per prevenire gli attacchi, dovete sapere quali sono i fattori più rilevanti nel vostro caso e quali sono i fattori che invece non sono collegati al vostro mal di testa. Tenere un diario del mal di testa è un modo efficace per tenere traccia dei fattori scatenanti: vi aiuterà a descrivere meglio al vostro medico le caratteristiche del disturbo.

L’emicrania dipende dalle condizioni atmosferiche?
Il sole a picco, il caldo, il tempo umido e le variazioni significative della pressione atmosferica possono causare o scatenare un attacco di emicrania in alcuni pazienti, tuttavia le ricerche hanno dimostrato che il tempo atmosferico non è un fattore scatenante valido per tutti coloro che ne soffrono.

C’è un collegamento tra l’emicrania e gli ormoni?
Gli ormoni danno inizio a molte delle funzioni dell’organismo e contribuiscono alla loro regolazione, mantenendo il corpo in equilibrio in un ambiente esterno che si modifica costantemente. Lo squilibrio dei livelli ormonali, che si verifica ad esempio durante il ciclo mestruale, la gravidanza o la menopausa, può provocare un attacco in circa tre quarti delle donne che soffrono di emicrania.

Chi soffre di emicrania è più a rischio di attacchi cardiaci?
La gravità degli attacchi di emicrania spesso induce i pazienti a temere che sia in corso un attacco cardiaco, ma in realtà la probabilità che l’attacco provochi un infarto è molto bassa (attenzione: “molto bassa” significa che è comunque possibile che l’infarto sia collegato all’emicrania). Nei pazienti di età inferiore ai 40 anni, infatti, il più comune tra i fattori associati all’infarto è proprio l’emicrania. Tuttavia, nell’arco della vita, l’incidenza dell’emicrania può in realtà essere collegata ad un minore rischio di decesso per malattie cerebrovascolari provocate dall’infarto.

Quali sono i farmaci per la terapia sintomatica dell’emicrania?
I farmaci per la terapia sintomatica, detta anche terapia acuta, vengono usati per curare il mal di testa quando l’attacco è già in corso. Tra i farmaci per la terapia sintomatica o acuta troviamo diversi farmaci da banco, i FANS, l’ergotamina e i triptani.

Che cosa sono i triptani?
I triptani sono la classe di farmaci più innovativa usata nella terapia sintomatica specifica dell’emicrania, oltre ad agire come vasocostrittori, moderano alcune delle reazioni chimiche che avvengono all’interno del cervello. I triptani agiscono sui recettori cerebrali, contribuendo a correggere gli squilibri della serotonina, un neurotrasmettitore. Si ritiene che gli squilibri nei livelli della serotonina siano una delle cause principali dell’emicrania.

I farmaci da banco contro il mal di testa sono efficaci?
I farmaci da banco, cioè quelli per cui non è necessaria la ricetta del medico, possono essere efficaci per alleviare il dolore e i sintomi associati all’emicrania, se questi hanno intensità lieve o moderata. Tuttavia, prima di iniziare un qualsiasi programma terapeutico, dovreste consultare il vostro medico.

Esistono terapie preventive per l’emicrania?
Le terapie preventive, definite anche terapie di profilassi, vengono usate per diminuire la frequenza, la gravità e la durata degli attacchi. La maggior parte dei farmaci preventivi all’inizio era stata pensata per curare altri disturbi, come le convulsioni, la depressione o l’ipertensione. Tra i farmaci preventivi troviamo gli antiepilettici, gli antidepressivi, i betabloccanti, i calcio-antagonisti e i FANS (antinfiammatori non steroidei).

Perché si usano gli anticonvulsivanti per curare l’emicrania?
La maggior parte dei farmaci preventivi all’inizio era stata pensata per curare altri disturbi, come le convulsioni, la depressione o l’ipertensione. Negli ultimi anni, però, è aumentato l’interesse nei confronti degli antiepilettici (noti anche come anticonvulsivanti) per la prevenzione dell’emicrania, perché sia l’epilessia sia questa forma di mal di testa potrebbero essere causate da reazioni simili che avvengono all’interno del cervello.

Perché si usano gli antidepressivi per curare l’emicrania?
La maggior parte dei farmaci preventivi per l’emicrania all’inizio era stata pensata per curare altri disturbi, come le convulsioni, la depressione o l’ipertensione. Gli antidepressivi di solito vengono usati per curare i pazienti affetti da depressione, ma sono anche in grado di diminuire la frequenza degli attacchi di emicrania, perché regolano i livelli di determinate sostanze chimiche presenti nel cervello.

Quali terapie alternative possono essere usate per curare l’emicrania?
L’espressione terapie alternative viene usata frequentemente per descrivere tutte le terapie che non rientrano nell’ambito della medicina occidentale convenzionale. Tra le medicine alternative più conosciute ricordiamo l’agopuntura, l’agopressione e lo yoga. Un’altra terapia alternativa molto famosa è quella erboristica, perché si ritiene che alcune erbe siano in grado di alleviare il mal di testa. Prima di iniziare una qualsiasi terapia alternativa, chiedete consiglio al vostro medico.

Che cos’è la cefalea tensiva? Quali sono le cause e come la si può curare?
La cefalea tensiva è un tipo di mal di testa che si verifica senza alcuna ricorrenza precisa e spesso è la conseguenza di situazioni temporanee di stress, ansia, affaticamento o ira. Tra i sintomi troviamo: il dolore alle tempie, la sensazione di avere una fascia che si stringe intorno alla testa (come se si stringesse una morsa), la sensazione di qualcosa che tira o preme sulla testa e la contrazione dei muscoli del capo e del collo. Il mal di testa inizia sulla fronte, sulle tempie oppure sulla nuca. Le terapie per la cefalea tensiva possono comprendere farmaci da banco oppure con obbligo di ricetta, oppure tecniche di auto-aiuto come il rilassamento e il biofeedback.

Che cos’è la cefalea a grappolo? Quali sono le cause e come la si può curare?
La cefalea a grappolo si chiama così perché gli attacchi non sono singoli, ma si verificano in gruppo. Il dolore manifesta pochi sintomi premonitori o addirittura nessuno e di solito è unilaterale; può essere accompagnato da lacrimazione, rossore dell’occhio e naso che cola, solo dal lato colpito. Si ritiene che la cefalea a grappolo sia provocata da reazioni chimiche che avvengono all’interno del cervello: il disturbo viene descritto come il più grave e intenso tra tutti i tipi di mal di testa. Tra le terapie della cefalea a grappolo troviamo determinati farmaci con obbligo di prescrizione e l’ossigeno.

Che cos’è il mal di testa da sinusite? Quali sono le cause e come lo si può curare?
Quando un seno nasale si infiamma, di solito come conseguenza di una reazione allergica, di un tumore o di un’infezione, questa causerà un dolore localizzato. Se il medico diagnostica che la causa del mal di testa è l’ostruzione del seno nasale, provocata ad esempio da un’infezione, probabilmente avrete la febbre e una radiografia confermerà l’ostruzione del seno nasale. La terapia consigliata dal vostro medico comprenderà probabilmente un antibiotico per l’infezione, ma anche farmaci antistaminici o decongestionanti.

Che cos’è la cefalea da rebound? Quali sono le cause e come la si può curare?
Se si assumono farmaci per la terapia sintomatica della cefalea con eccessiva frequenza (per più di due giorni a settimana) o in quantità eccessive (maggiori rispetto a quanto indicato sul foglio illustrativo o nella prescrizione medica), si può verificare un disturbo noto come cefalea da rebound. In questo tipo di mal di testa i farmaci non solo non sono efficaci per alleviare il dolore, ma iniziano a provocare direttamente l’attacco. I medici curano la cefalea da rebound diminuendo poco a poco i dosaggi del farmaco, a volte sostituendolo gradualmente con una terapia o un farmaco di tipo diverso. Smettere di assumere un farmaco può rivelarsi difficile, ma abusarne con regolarità aumenta la probabilità di soffrire di effetti collaterali anche gravi. Rivolgetevi al medico se usate abitualmente farmaci contro il mal di testa per più di due giorni a settimana oppure con dosaggi maggiori rispetto a quelli indicati sul foglio illustrativo.

Che cos’è il biofeedback?
Il biofeedback è una tecnica di auto-aiuto che usa una speciale apparecchiatura per monitorare le reazioni fisiche involontarie dell’organismo, come la respirazione, il battito cardiaco, la temperatura, la tensione muscolare e l’attività cerebrale. Il biofeedback vi aiuta a migliorare e perfezionare gli esercizi di rilassamento, insegnandovi a controllare le reazioni fisiche connesse allo stress. Un vantaggio importante della pratica del biofeedback è il fatto che, una volta imparata la tecnica, non è più necessario usare alcuna apparecchiatura.

Il mal di testa è ereditario?
Secondo recenti stime circa 29,5 milioni di persone nei soli Stati Uniti soffrono di emicrania. Tra di essi, l’80% (quattro persone su cinque) riferisce precedenti famigliari di emicrania, ma i ricercatori non sanno con esattezza se si tratta di una predisposizione genetica od ambientale. Nonostante quest’incertezza è possibile affermare che un bambino ha il 50 per cento di probabilità di soffrire di emicrania se uno dei genitori soffre di questo disturbo e il 75 per cento di probabilità se entrambi i genitori ne soffrono.

Anche i bambini possono soffrire di mal di testa?
Prima di arrivare alla scuola superiore la maggior parte dei ragazzi ha già sofferto almeno una volta nella vita di mal di testa di un qualche tipo. Tuttavia, quando il pediatra scopre la causa e il tipo di mal di testa, è possibile usare diversi approcci e terapie farmacologiche sicure ed efficaci, in grado di prevenire la ricorrenza del mal di testa o di interromperlo se l’attacco è già in corso.

Perché il mal di testa arriva puntuale solo nel fine settimana?
Le modifiche dei ritmi sonno-veglia (ad esempio se si dorme troppo o troppo poco) possono provocare il mal di testa. È consigliabile cercare di dormire sempre lo stesso numero di ore per notte e di svegliarsi sempre alla stessa ora, anche durante il fine settimana.

Quanti tipi di mal di testa ci sono?
Secondo la National Headache Foundation, esistono due categorie principali di mal di testa: primario/benigno (cefalea tensiva, emicrania, cefalea a grappolo) e secondario (con cause organiche). Tutti i mal di testa ricadono in una di queste due categorie, a seconda delle cause e dei sintomi.

Una persona può soffrire di diversi tipi di mal di testa?
È abbastanza frequente che un individuo soffra di diversi tipi di mal di testa. Secondo il dottor Seymour Diamond, direttore della National Headache Foundation, le persone con problemi di mal di testa misto, ad esempio affette contemporaneamente da emicrania e da cefalea tensiva, sono tutt’altro che rare.

Per la diagnosi e la cura del mal di testa, a che genere di medico devo rivolgermi?
Se siete alla ricerca di una cura per il mal di testa, iniziate a consultare il medico di famiglia. Chiedetegli che esperienza ha sull’argomento, quali approcci terapeutici adotta, compresi i metodi di classificazione del mal di testa, le modalità di diagnosi e i tipi di terapia. Il medico può decidere di indirizzarvi verso uno specialista se manifestate sintomi particolari o se avete altri problemi di salute (diabete, allergie) per cui sia necessario un approccio globale al vostro disturbo.

Traduzione di Elisa Bruno

Revisione scientifica e correzione a cura del Dr. Guido Cimurro (farmacista)

- i comportamenti alimentari influenzati da dove si fa la spesaFare la spesa al supermercato ingrassa

A seconda di dove si fa la spesa potremmo essere più o meno in sovrappeso

+ La misura del girovita del bambino predice i rischi per la salute futuraUno studio mette in evidenza le differenze tra il fare la spesa nei discount o nei supermercati a seconda del grado d’istruzione dei consumatori, la vicinanza del punto vendita. Nei diversi casi questi fattori possono condizionare il peso corporeo
Fare la spesa in un posto o in un altro non fa differenza? A quanto pare, no. A seconda infatti di dove si fanno i propri acquisti, e il tutto abbinato al proprio grado di istruzione e livello sociale si è più o meno a rischio sovrappeso. Ecco quanto suggerisce un nuovo studio pubblicato su PLoS ONE.

L’analisi multilivello è stata condotta dai ricercatori francesi dell’INSERM (Institut National de la Santé et de la Recherche Médicale) coordinati dal dottor Basile Chaix, ed è durata un anno: dal 2007 al 2008.
Durante questo periodo, i ricercatori hanno osservato le abitudini di acquisto di oltre 7mila consumatori, scoprendo che soltanto nella misura dell’11,4 percento gli acquisti venivano fatti nel proprio quartiere. Per tutti gli altri, in particolare quando si trattava si “spesa grossa” i cittadini sono soliti spostarsi per raggiungere il supermercato che ritengono migliore.

Per “migliore” non s’intende necessariamente che commercializzi prodotti di qualità, ma è un parametro di confronto personale che può comprendere varietà e disponibilità di prodotti, ma più spesso prodotti meno cari.
Così è accaduto che l’analisi ha evidenziato come un basso livello di istruzione, l’acquisto di prodotti in prevalenza presso discount fosse associato a un più altro BMI (Indice di Massa Corporea) e un girovita più largo. La stessa cosa si è tuttavia notata quando i consumatori per gli acquisti si dovevano recare distante dal loro quartiere.
«Fare la spesa al discount è stato più fortemente associato a un peso corporeo superiore e grasso addominale tra i partecipanti con basso livello d’istruzione rispetto ai partecipanti istruiti», ha spiegato il dottor Chaix.

Non tutti i parametri pare influiscano sul peso corporeo e la larghezza del girovita; difatti le dimensioni del supermercato o la qualità non hanno determinato variazioni nei risultati.
Se un precedente studio si era concentrato sull’influenza che poteva avere l’ambiente in cui si vive – in questo caso il quartiere – sui comportamenti alimentari delle persone, questo nuovo studio ha invece preso in considerazione lo specifico comportamento personale che può anche non essere influenzato dal contesto in cui si vive.
In ogni caso, i ricercatori concludono che i diversi comportamenti delle persone quando sono al supermercato possono essere indicativi per avviare strategie sanitarie atte a modificare il comportamento d’acquisto alimentare direttamente nei supermercati, in modo da favorire scelte più consapevoli e sane.
[lm&sdp]

4 apr 2012


- stress e patologie cognitive

Alzheimer, lo stress potrebbe esserne una causa

Lo stress accusato di essere promotore di malattie come l'Alzheimer - + Dalla Medicina Ayurvedica una speranza per l’AlzheimerTroppo stress è stato collegato al rischio di sviluppare l’Alzheimer da un nuovo studio
Un aumento del rilascio degli ormoni dello stress, causerebbe a sua volta la produzione di una proteina che provoca la perdita della memoria. Questo è quello che hanno scoperto in un nuovo studio un team di ricercatori tedeschi del Max Planck Institute of Psychiatry di Monaco, insieme ai colleghi portoghesi dell’Università di Minho a Braga.

La sostanza accusata di causare problemi di memoria e una proteina “tau” che, se diventa iperfosforilata, si aggrega con altre unità di tau. Queste, insieme, finiscono per dare vita a grovigli neurofibrillari. Tutto questo si traduce in un collasso strutturale che causa problemi di comunicazione fra i neuroni. Lo stadio finale è la morte di questi.

Lo studio, pubblicato sul Journal of Neuroscience, è stato condotto su modello animale e mostra come in un gruppo di topi sottoposti a stress continuo si è verificata un aumento del rilascio di ormoni dello stress con conseguente maggiore produzione di proteina tau.
Il risultato di questo processo è una moria di cellule nervose, in particolare nell'ippocampo, la zona del cervello che svolge un ruolo importante nell’apprendimento e nella memoria, così come nella corteccia prefrontale, la quale regola funzioni cognitive superiori, spiegano i ricercatori.

«I nostri risultati indicano che gli ormoni dello stress e lo stress possono causare alterazioni della proteina tau, come quelle che sorgono nella malattia di Alzheimer. Considerare lo stress una delle cause dell’Alzheimer apre nuove frontiere nella prevenzione di questa patologia neurodegenerativa », conclude il dottor Osborne Almeida del Max Planck Institute, che ha coordinato lo studio.
Attenzione allo stress, quindi. Anche se è più facile a dirsi che farsi.
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- lo stress può provocare sintomi simili alla demenzaPerdita di memoria improvvisa. Non sempre è indice di malattia

Improvvisi cali di memoria possono essere causati da una situazione stressante, ma essere transitori
Giornata Nazionale contro l’Alzheimer

Episodi di perdita di memoria improvvisa possono essere generati da situazioni di stress cui, specie l’anziano, può reagire con atteggiamenti che fanno pensare a sintomi di un possibile insorgere di malattia. Ma la diagnosi può non essere corretta e l'evento rivelarsi soltanto un episodio a sé
Se un adulto o un anziano è esposto a una situazione particolarmente stressante – almeno per lui – può reagire con un senso di smarrimento o una perdita di memoria.
Per molti, questo potrebbe essere un segnale di malattia che sta sviluppandosi, come una demenza o l’Alzheimer. Tuttavia, a provocare questo genere di fenomeno potrebbe essere soltanto lo stress del momento. Secondo gli scienziati canadesi, infatti, in queste situazioni che possono mettere sotto pressione, molte persone si ritrovano sotto l’influenza del cortisolo – l’ormone dello stress – che il proprio corpo produce in maggiori quantità in situazioni particolari.

Ecco pertanto che una possibile diagnosi basata soltanto sul riportare questi episodi potrebbe essere, per così dire, azzardata. Questo è quanto ritengono i ricercatori del Sonia Lupien preso il Centre for Studies on Human Stress (CSHS) del Louis-H. Lafontaine Hospital, in collaborazione con l’Università di Montréal, che hanno condotto uno studio in cui si afferma come di fronte a una situazione stressante la memoria possa essere condizionata in breve tempo, in particolare nei soggetti anziani.

«Sappiamo che quando una situazione è nuova, imprevedibile, incontrollabile o minaccioso per l’ego, porta alla produzione di ormoni dello stress – spiega Shireen Sindi, autore principale dello studio – Questi stessi ormoni hanno anche la capacità di raggiungere il cervello e generare disturbi della memoria acuti, soprattutto negli adulti più anziani».
Una situazione che, a prima vista e specialmente se questi episodi si ripetono, potrebbe far pensare a un problema più serio. Tuttavia, come ricordano i ricercatori, in questi casi si tratta di un problema transitorio.

I 150 partecipanti allo studio sono stati oggetto di una serie di test per le abilità cognitive e di memoria dopo essere stati sottoposti a un’altrettanta serie di situazioni stressanti come, per esempio, il recarsi in un luogo sconosciuto e difficilmente accessibile, e altre situazioni d’incertezza.
Durante i test condotti dopo l’esperienza, i volontari hanno mostrato un calo nelle prestazioni che potrebbero indurre a credere che, per somiglianza, ci si trovi di fronte ai sintomi di una malattia come l’Alzheimer. E che la situazione sia soltanto dovuta alla situazione stressante lo dimostrano gli altri test condotti in condizioni di familiarità, in cui gli anziani hanno mostrato di avere praticamente le stesse prestazioni degli adulti più giovani.
«Abbiamo dimostrato che quando gli adulti più anziani sono valutati in condizioni di stress, producono ormoni dello stress che riducono la loro memoria», sottolinea Sindi.
I risultati dello studio sono stati presentati ieri dai ricercatori del CSHS durante la Giornata scientifica dedicata alla memoria che ha per titolo “When we test, do we stress?”.
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Drammatico aumento di casi di cancro della pelle

Sono sempre più in aumento i casi di melanoma (il cancro della pelle), in particolare tra le giovani donne

+ L'esposizione ai raggi UVA non sarebbe causa di melanomaI tassi di cancro della pelle, tra cui il temuto melanoma, sono in costante aumento, soprattutto tra i giovani adulti. L’allarme degli esperti
I casi di cancro della pelle pare siano in costante aumento, compreso il temuto e pericoloso melanoma, avvertono gli scienziati. Soprattutto tra i giovani adulti – quelli sotto i 40 anni. E' dunque allarme, e quello degli esperti della Mayo Clinic arriva non a caso in concomitanza all’appello degli oncologi dell’Associazione Italiana di Oncologia Medica (AIOM) riunti a Napoli dal 31 marzo al 1 aprile 2012 per il “Convegno Nazionale Nuove Frontiere nel Trattamento del Melanoma”.

Gli esperti italiani pongono l’accento sull’importanza della prevenzione, in particolare nei bambini, ricordando che il cancro della pelle è un male difficile.
«La battaglia contro questa forma di cancro è difficile – spiega il prof. Carmine Pinto, segretario nazionale AIOM – ma si può vincere ponendo più attenzione a semplici regole di prevenzione. Troppe persone si espongono al sole senza precauzioni, in particolare i bambini rappresentano l’“anello debole” della catena. Un richiamo da tenere in considerazione soprattutto in questi mesi, in cui molti approfittano del fine settimana per prendere un po’ di “colore”. Vanno inoltre totalmente bandite le lampade abbronzanti che, secondo l’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (IARC), aumentano il rischio di melanoma del 75%, al pari del fumo di sigaretta, se utilizzate prima dei 30 anni».

Tornando tuttavia all’allarme lanciato dagli esperti statunitensi si scopre nel comunicato, seguito alla pubblicazione dei risultati sul Mayo Clinic Proceedings, che l’aumento dei casi di melanoma si verifica con sempre maggiore incidenza nei soggetti sempre più giovani, e in particolare nelle donne.
«Avevamo previsto che avremmo trovato tassi crescenti, come altri studi suggeriscono – spiega l’autore principale dello studio il dermatologo dr. Jerry Brewer – ma abbiamo rinvenuto un’incidenza ancora superiore a quella riportata dal National Cancer Institute utilizzando il "Surveillance, Epidemiology and End Result database" e, in particolare, un aumento drammatico nelle donne tra i 20 e i 30 anni». Gli scienziati hanno anche scoperto che l’incidenza del melanoma è aumentata di otto volte tra le giovani donne e quattro volte tra i giovani uomini.

Lo studio ha poi rilevato che vi è una tendenza diversa in base all’età delle persone. Per esempio, in linea generale il rischio durante il corso della vita di sviluppare un melanoma è maggiore nei maschi rispetto alle femmine, ma la situazione si inverte quando si tratta di giovani adulti e adolescenti.
«Un recente studio ha riferito che le persone che fanno uso di lettini abbronzanti interni spesso hanno il 74 percento più probabilità di sviluppare melanoma, e sappiamo che le giovani donne sono più propense a utilizzarli che non i giovani maschi – sottolinea Brewer – Nonostante la gran quantità di informazioni sui pericoli dei lettini abbronzanti, le giovani donne continuano a usarli».

Ecco dunque che, sebbene le informazioni non manchino, spesso la voglia di apparire più abbronzati ha la meglio sul buonsenso.
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