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20 giu 2012

Tempo di grigliate: conciliare gusto e salute

i consigli per un barbeque sano e gustoso

Tempo di grigliate: conciliare gusto e salute

Dagli esperti i consigli per grigliate più "sicure" ma pur sempre gustose

Dagli esperti i consigli per grigliate gustose ma più salutari, con un occhio di riguardo al ridurre il rischio di cancro

Tempo di gite fuoriporta, vacanze, scampagnate e… cene con amici e parenti a base di grigliate.
Da sempre, infatti, l’estate coincide con il periodo in cui si preparano più spesso menù a base di carne alla griglia. Questa pratica, sebbene sia gradita ai più, nasconde però qualche insidia – come spesso ricordato dagli esperti. Una di queste è che si possa aumentare il rischio di sviluppare una qualche forma di cancro, come per esemipio quello del colon-retto.
Ma, allora, come possiamo conciliare il piacere di una grigliata con il mantenimento della salute? A tale proposito rispondono sempre gli esperti.

L’American Institute for Cancer Research e i propri esperti mettono in guardia dai potenziali pericoli derivanti da un utilizzo scorretto dei cibi e del barbecue che possono, appunto, aumentare il rischio di cancro.
«Le diete che prevedono grandi porzioni di carni rosse e trasformate hanno dimostrato di rendere più probabile lo sviluppo del cancro colorettale – spiega nel comunicato AICR la dottoressa Alice Bender – La prova che la griglia è di per sé un fattore di rischio è meno forte, ma ha comunque senso prendere alcune semplici precauzioni protettive dal cancro». Di queste, ha aggiunto la nutrizionista, la prima precauzione è quella di evitare di cuocere troppo l’alimento sulla griglia perché il processo di carbonizzazione genera dei composti chiamati ammine eterocicliche (HCA) e idrocarburi policiclici aromatici (IPA), che sono sotto accusa nell’essere fattori di rischio per il cancro.

Nel comunicato AICR vi sono tuttavia altri importanti suggerimenti che riportiamo di seguito.
- Aggiungere colore ai piatti, limitando la carne rossa e aumentando la presenza di frutta e verdura colorata: in questo modo ci si assicura un maggiore apporto di benefiche sostanze fitochimiche. Questi composti naturali presenti nelle piante, ricorda l’esperta, offrono una protezione contro il cancro.
È possibile grigliare verdure come asparagi, cipolle, funghi, zucchine, melanzane e pannocchie di granturco. Quando s’intenda grigliare della frutta è bene spazzolarla con olio di oliva in modo che non si attacchi, sottolineano gli esperti.
Altro trucco suggerito da Bender consiste nell’utilizzare la frutta un giorno o due prima che sia giunta a completa maturazione in modo che mantenga la propria consistenza durante la cottura alla griglia.

- Se possibile, optare per carne di pollo o pesce al posto di carne rossa, hamburger o wurstel.

- Importante è la marinatura. Marinare la carne riduce la formazione di HCA, sottolinea ancora Bender. Per questo processo si può utilizzare dell’aceto o succo di limone. Condire così la carne, anche per soli 30 minuti, può essere senz'altro utile.

- La precottura della carne riduce la quantità di tempo in cui questa sarà esposta a temperature elevate sulla griglia. Questo processo aiuta a ridurre la formazione di HCA. L’importante, fa notare Bender, è che la carne precotta deve essere posta sulla griglia subito dopo essere stata sottoposta al trattamento.

- Se possibile, cuocere la carne lentamente. Cercare pertanto di predisporre la brace o la griglia elettrica in modo che la cottura sia meno veloce e intensa, in un sol colpo: in questo modo la carne cuoce meglio anche all’interno e non brucia solo all’esterno.
Altra mossa importante per gli esperti è il limitare la presenza di grasso sulla carne che, sciogliendosi, va ad alimentare le fiamme, le quali possono bruciare la carne.
Questo metodo, insieme agli altri, permette di ridurre di un bel po’ la quantità dei composti cancerogeni HCA e IPA che finiscono nei nostri piatti.

Ecco dunque una serie di semplici ma efficaci accorgimenti per rendere le nostre grigliate più sicure, senza nulla togliere al piacere della convivialità.
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Sentirsi soli fa morire prima

la solitudine aumenta i tassi di morte per eventi cardiaci

Sentirsi soli fa morire prima

La solitudine pare faccia aumentare il rischio di morire prima del tempo

La solitudine aumenta il rischio di morte prematura per malattie cardiovascolari. Lo studio

La solitudine o il sentirsi soli pare che influisca sulla salute, tanto che chi per esempio ha già problemi cardiovascolari è soggetto a morire prima. Ma non solo.

L’isolamento sociale, l’emarginazione, sono tutte situazioni che possono dunque portare alla morte in generale e per eventi cardiaci – questi ultimi in particolare per i soggetti predisposti o con una storia di patologie cardiovascolari. Questo quanto emerso da uno studio pubblicato sull’Archives of Internal Medicine, di JAMA, e condotto dai ricercatori del Brigham and Women’s Hospital della Harvard Medical School a Boston (Usa).

Secondo i ricercatori l’isolamento sociale influirebbe sulle funzioni ormonali della persona e altera l’azione degli ormoni che sottintendono allo stress emotivo e lo tengono sotto controllo. Questa azione sugli ormoni andrebbe anche a modificare il comportamento delle persone riguardo la propria salute e le cure sanitarie.
Per dunque valutare se e come l’essere soli influisse sulla mortalità, il dottor Jacob A. Udell e colleghi del BWH hanno esaminato i dati relativi ai partecipanti allo studio REACH che comprendeva 44.573 persone, di cui il 19% (8.594) vivevano da sole.

I risultati dell’analisi dei dati ha mostrato che tra coloro che vivevano da soli il rischio di morte entro i quattro anni era del 14,1%, contro l’11,1% di chi viveva in compagnia. Di queste morti premature l’8,6% era dovuto a eventi cardiovascolari in chi viveva solo, contro un 6,8% per chi viveva insieme ad altre persone.
L’aumento dei tassi di morte per le persone sole variava anche in base all’età. Per esempio, un gran numero di decessi, secondo lo studio, si verifica nella fascia di età tra i 66 e gli 80 anni con un 13,2% per chi vive solo, contro un 12,3% per chi vive in compagnia. Nella fascia di età compresa tra i 45 e i 65 anni il tasso di mortalità era del 7,7% per le persone sole e 5,7% per quelle non. A sorpresa, passati gli 80 anni, i tassi di mortalità scendevano al 24,6% per chi è solo e aumentavano al 28,4% per chi viveva in compagnia.

«In conclusione, chi vive da solo è risultato indipendentemente associato a un aumentato rischio di mortalità e morte cardiovascolare in una coorte internazionale di pazienti stabili di mezza età ambulatoriali con o a rischio di aterotrombosi – scrivono i ricercatori – Gli individui più giovani che vivono da soli possono avere un decorso meno favorevole di tutti, rispetto anche agli individui più anziani, in seguito allo sviluppo di una malattia cardiovascolare e questa osservazione giustifica il proseguire con ulteriori studi».
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12 giu 2012

I legumi preziosi alleati della salute

dieta scorretta e sostanze benefiche

Gli italiani si perdono i benefici dei flavonoidi per il cuore



Se ci teniamo alla salute del cuore è bene favorire una dieta che includa alimenti ricchi di sostanze antiossidanti e antinfiammatorie come, per esempio, i legumi
 

Un’indagine dell’Osservatorio nutrizionale Grana Padano mette in luce l’importanza dei flavonoidi nella prevenzione cardiovascolare, ma gli italiani ne assumono pochi. I consigli degli esperti




Un recente studio pubblicato sull’American Journal of Clinical Nutrition suggerisce che una dieta ricca di flavonoidi può favorire la prevenzione delle malattie cardiovascolari e ridurre il rischio di morte.
Fin qui tutto bene, se non fosse che proprio noi italiani ci stiamo perdendo i benefici offerti da queste preziose sostanze antiossidanti perché seguiamo una dieta povera di questi elementi. Ecco quanto emerge da un’indagine dell’Osservatorio Nutrizionale Grana Padano.

Come accennato i flavonoidi sono sostanze chimiche naturali contenute in certi alimenti; in particolare frutta e verdura. Sono considerati dei potenti antiossidanti e antinfiammatori. Ricordiamo che dietro a malattie anche gravi come quelle dell’apparato cardiaco e vascolare, e il cancro, vi è spesso un problema di ossidazione e infiammazione. I flavonoidi dunque possono essere di aiuto proprio nella prevenzione di queste patologie.

Chiunque abbia a “cuore” la salute del cuore dovrebbe pertanto assumere alimenti che possano fornire il giusto quantitativo di queste sostanze benefiche. Ma gli italiani assumono regolarmente cibi che contengono flavonoidi e in che quantità? Questa è la domanda a cui hanno tentato di rispondere gli specialisti dell’Osservatorio Nutrizionale Grana Padano conducendo un’indagine su 7.645 soggetti (4.681 femmine e 2.964 maschi) di età superiore ai 18 anni. L’intento era di valutare il consumo medio pro-capite di flavonoidi.
Si è partiti tenendo presente che gli alimenti mediamente più ricchi di flavonoidi sono il tè, il vino rosso e la frutta (in particolare gli agrumi), e anche la verdura, l’olio (soprattutto d’oliva) e cioccolato.

Ecco i risultati dell’indagineIl tè, per esempio, è consumato dal 30% circa della popolazione, con una prevalenza per il sesso femminile (32% verso il 25,5%). Maggiore è il consumo di caffè (80% della popolazione, senza differenza tra i sessi). Tuttavia è bene tenere presente che il contenuto di flavonoidi nel caffè è inferiore rispetto a quello del tè.

Il vino rosso è consumato dal 55% della popolazione, con prevalenza nel sesso maschile (65% vs il 48%). Per quanto concerne la frutta e in particolar modo gli agrumi, sono consumati dal 60% della popolazione. Tuttavia, le porzioni di frutta consumate sembrano essere inferiori rispetto a quelle consigliate dalle linee guida per una sana e corretta alimentazione; infatti, si è stimato che il consumo medio di frutta pro capite è di circa 250 g, mentre l’apporto consigliato è di 400 g (circa 3 frutti).

Ma i dati diventano critici quando si indaga sull’apporto di verdura: si stima infatti che il consumo medio pro capite sia di 175 g al giorno, lievemente superiore nelle donne. Secondo le linee guida per una sana e corretta alimentazione andrebbe consumata una porzione di verdura da almeno 200 g a ogni pasto – siamo pertanto al di sotto della media.
«Ancora una volta ci troviamo a ribadire l’importanza dei capisaldi della dieta mediterranea – ha commentato la dottoressa Michela Barichella, Presidente di Brain and Malnutrition Association e responsabile della Struttura Semplice di dietetica e Nutrizione Clinica ICP di Milano – Raccomandando il consumo di almeno una porzione di verdura a pasto e di circa tre frutti al giorno, preferendo sempre frutta e verdura crude, fresche e di stagione. È consentito un consumo moderato di vino rosso (circa un bicchiere al giorno), di caffè (due-tre tazzine al giorno) e soprattutto di tè. Anche in questo caso, la dieta mediterranea consente un adeguato apporto di flavonoidi, importanti per la prevenzione cardiovascolare».

«È accertato che un costante e alto apporto di vegetali al naturale e di frutta fresca riduce il rischio di malattie cardiovascolari e quindi dei gravi eventi a esse correlati: soprattutto infarto cardiaco e ictus cerebrale – interviene il prof. Sergio Coccheri, Professore di Malattie Cardiovascolari dell’Università di Bologna – Che questo effetto benefico sia da attribuire ai flavonoidi contenuti in frutta e verdura è verosimile, ma non ancora dimostrato nell’uomo: gli studi clinici hanno dato infatti risultati talora contrastanti. Questo anche perché si sono spesso ricercati soltanto effetti eclatanti come la riduzione della mortalità, che è influenzata da molti altri fattori».

I CONSIGLI DELL’OSSERVATORIO NUTRIZIONALE GRANA PADANOI medici e gli esperti nutrizionisti dell’Osservatorio Nutrizionale Grana Padano offrono i loro  consigli per garantire un adeguato apporto di flavonoidi con l’alimentazione di tutti i giorni.
- Consumare legumi il più spesso possibile, almeno due-tre volte la settimana, come alternativa al secondo piatto. Se tollerati, andrebbero consumati con la buccia, ricchissima di antiossidanti.
- Consumare almeno una porzione di verdura a pasto. Per rendere più varia e completa l’assunzione di antiossidanti, consumare verdure di diverso colore: verde scuro (spinaci, broccoli, bieta ecc.); bianco (come aglio e cipolla); giallo e arancione (peperone, carota, zucca) e rosso (pomodoro, anche cotto). Preferire le verdure crude e fresche, perché gli antiossidanti possono alterarsi o perdersi con la conservazione o le cotture.
- Consumare ogni giorno circa tre frutti, preferibilmente freschi e di stagione, sempre alternando i colori: bianco (mela, pera); giallo e arancione (albicocca, pesca, agrumi  ecc.); rosso (fragole, cocomero ecc.), viola (prugne, mirtilli ecc.). Si consiglia di consumare la frutta con la buccia, ben lavata.
- Consumare oli vegetali crudi (soprattutto extra vergine d'oliva) al posto di grassi animali.
- Bere un bicchiere di vino al giorno, preferibilmente rosso.
- Consumare moderatamente tè e caffè (due-tre tazze al giorno), preferendo il tè.
- Utilizzare spezie ed erbe aromatiche per insaporire gli alimenti, poiché apportano antiossidanti e permettono di limitare l’uso di sale e condimenti grassi.

Insomma, se possiamo, cerchiamo di aumentare l’assunzione di tutti quei cibi che possono fornirci sostanze utili al mantenimento della salute.
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Source: Ufficio stampa Osservatorio Nutrizionale Grana Padano


Foto: ©photoxpress.com/Roman Sigaev

Ideale per il cuore la dieta mediterranea

- grassi insaturi per restare in salute

Dieta mediterranea, l’ideale per la salute del cuore



Dieta mediterranea: l'ideale per restare in salute - Foto: ©photoxpress.com/MarcoGusella.it
 

Un modello di dieta che ricalca quella mediterranea, con l’eventuale sostituzione di alcuni cibi, può migliorare la salute cardiovascolare, in particolare nei soggetti a rischio




Ancora riflettori puntati sulla dieta mediterranea, presa a modello da numerosi studi, che si rivela utile nella prevenzione di numerose patologie: tra queste, anche quelle che interessano l’apparato cardio-circolatorio.

Un team di scienziati statunitensi della Johns Hopkins University School of Medicine ha presentato i risultati di un’analisi condotta sui i dati dello studio “OmniHeart” al meeting dell’American Heart Association tenutosi dal 13 al 15 novembre 2011 a Orlando in Florida (Usa)
«L’introduzione del giusto tipo di grassi in una dieta sana è un altro strumento per ridurre il rischio di malattie cardiache in futuro», ha commentato il dottor Meghana Gadgil, coautore dello studio.
Gadgil e colleghi hanno studiato gli effetti sul sistema cardiovascolare di tre diverse, e bilanciate, diete su 164 persone con diagnosi di ipertensione lieve, senza diabete.
Il non soffrire di diabete di tipo 2 è stato determinante ai fini della valutazione, in quanto la possibilità che una persona non riesca a utilizzare in modo efficace l’insulina, può aprire le porte al diabete che, come risaputo, è un grave fattore di rischio per le malattie cardiache.
Una volta accertato ciò, i ricercatori hanno confrontato la capacità dell’organismo di regolare i livelli di zucchero nel sangue e mantenere corretti quelli di insulina a seguito del seguire una delle tre diete.

I tre programmi prevedevano una dieta ricca di carboidrati, una dieta ricca di proteine e una dieta ricca di grassi insaturi. Al termine dell’analisi, i ricercatori hanno scoperto che una dieta equilibrata che preveda una buona assunzione di grassi insaturi migliora significativamente la gestione dell’insulina, rispetto a una dieta ricca di carboidrati – in particolare quelli derivanti da carboidrati raffinati come la farina bianca.
I grassi insaturi contenuti in alimenti quali l’olio extravergine di oliva, le noci e molti altri ancora, sono gli alimenti da preferire dunque, suggeriscono i ricercatori – sottolineando come il modello da seguire sia affine alle diete tipiche di Paesi come la Grecia o il Sud d’Italia, favorendo il consumo di grassi utili e benefici.

La dieta mediterranea continua quindi a essere un modello per un’alimentazione sana ed equilibrata. Basta sapere come dosare gli ingredienti e, oltre a godere di una buona tavola, possiamo proteggerci dalle temute malattie di cuore e affini.
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Mangi male e il cuore ne soffre

- dieta scorretta e rischio cardiovascolare

Mangi male e il cuore ne soffre



Il taglio dei carboidrati nella dieta pare abbia portato a un aumento dei livelli di colesterolo, nonostante il minore consumo di grassi
 

Una dieta scorretta aumenta il rischio di malattia cardiovascolare e il taglio dei carboidrati ha favorito nel tempo l’aumento del colesterolo, nonostante il minore consumo di grassi. Lo studio




La dieta è fondamentale per il benessere.
E mai come oggi è vero, dopo aver letto i risultati di un largo studio svedese durato la bellezza di 25 anni.

Pubblicati sul Nutrition Journal, la pubblicazione di BioMed Central, i risultati di questa ricerca revisionale dei ricercatori dell’Umeå University, l’Università di Göteborg e il Consiglio Nazionale del Welfare hanno messo in chiara evidenza come una cattiva alimentazione possa aumentare il rischio cardiovascolare.
Ciò che ha messo in evidenza lo studio è che una dieta a basso tenore di carboidrati in realtà ha fatto aumentare nel tempo i livelli di colesterolo, nonostante vi sia stato in parallelo un minore consumo di grassi.

Nonostante questo intervento per la riduzione dell’assunzione di grassi, nell’intero periodo di 25 anni il BMI (l’indice di massa corporeo) della popolazione è aumentato a prescindere dal tipo di dieta. L’aumento del BMI associato all’aumento di colesterolo registrato va ad aumentare di conseguenza il rischio per le malattie dell’apparato cardiocircolatorio.
I dati raccolti dai ricercatori hanno permesso di osservare come le abitudini alimentari si fossero modificate a seguito degli interventi di sensibilizzazione e partecipazione a determinati programmi come per esempio il Västerbotten Intervention Programme (VIP) varato nel 1985. Questo programma prevedeva un’informazione sulla salute e l’alimentazione, una migliore etichettatura dei prodotti, una consulenza alimentare, esami clinici e altro ancora.
Le informazioni provenienti dal VIP sono poi state combinate con quello di un altro programma denominato WHO MONICA, che intende monitorare i fattori di rischio cardiovascolare.

Il progetto VIP, in particolare, prevedeva una diversa distribuzione dei grassi e dei carboidrati nella dieta. Questo effetto si è mostrato con una riduzione del 3 percento nel consumo di grassi per gli uomini e del 4 percento per le donne. Misurato nel 1992, il dato è rimasto stabile fino al 2005. La modifica nell’assunzione, sia per quantità che per qualità, si è rivelata in un abbassamento generale dei livelli di colesterolo. Tuttavia, dopo il 2005 i livelli totali di grassi saturi è tornato ad aumentare, mentre in parallelo è diminuito il consumo di carboidrati complessi per via di una campagna mediatica che promuoveva diete a basso indice glicemico (IG).
Il problema è che, da questo punto in poi, i livelli di colesterolo hanno cominciato di nuovo ad aumentare, nonostante l’introduzione di un trattamento ipocolesterolemizzante.

«L’associazione tra nutrizione e salute è complessa – ha commentato il prof. Ingegerd Johansson, principale autore dello studio – Si tratta di componenti alimentari specifici, di interazioni tra questi componenti alimentari, e di interazioni con i fattori genetici e le singole esigenze. Mentre diete con un basso contenuto di carboidrati/ricche di grassi possono aiutare nel breve termine con una perdita di peso, i risultati di questo studio svedese dimostrano che la perdita di peso a lungo termine non viene mantenuta e che questa dieta aumenta il colesterolo nel sangue, che ha un forte impatto sul rischio di malattie cardiovascolari».
Insomma, diventa sempre più difficile capire quale sia la dieta giusta per mettersi al riparo dalle mille insidie per la salute. Di certo, come sempre, la via migliore è l’equilibrio: i grassi sono utili, ma non bisogna eccedere, così come bisogna assumere i carboidrati complessi… In definitiva, come detto, il bilanciamento è essenziale e poi la scelta migliore potrebbe essere quella di consultarsi con un nutrizionista che possa adeguare la dieta per ognuno, poiché le cose possono sempre essere differenti da individuo a individuo.
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5 giu 2012

Afa in arrivo, preveniamo la disidratazione con le giuste mosse

ondate di calore e pericoli connessi Afa in arrivo, preveniamo la disidratazione con le giuste mosse Quando fa caldo è importante idratarsi correttamente: meglio se con l'acqua In vista delle ondate di calore, giochiamo d’anticipo idratandoci correttamente con i consigli degli esperti Le ondate di calore, l’afa arrivano quando meno te l’aspetti. E, anche se i bollettini meteo in qualche modo possono avvisarci, è altrettanto vero che in quest’anno un po’ bizzarro può capitare che se il giorno prima faceva fresco, quello dopo è caratterizzato da un caldo soffocante. In questi casi non si tratta dunque soltanto di un problema di sopportazione della calura, ma di situazioni che comportano dei rischi, anche seri, per la salute – in particolare per i soggetti più a rischio come bambini, anziani e donne in gravidanza. Come affrontare pertanto questi momenti? Giocando d’anticipo, suggeriscono gli esperti, e idratandoci correttamente. «Il punto fondamentale è riuscire ad affrontare (prontamente) il rischio disidratazione: problema riguardante soprattutto le categorie più rischio come anziani, donne e bambini – come sottolinea Umberto Solimene, professore dell’Università degli Studi di Milano e membro dell’Osservatorio Sanpellegrino – e quindi bere abbondanti quantità di acqua, preferibilmente ricca di minerali, rappresenta una mossa astuta e vincente, utile ad assumere importanti elementi quali per esempio il calcio e il magnesio, indispensabili per compensare la sudorazione». L’acqua dunque come elemento indispensabile per mantenere al meglio le condizioni ottimali dell’organismo. Difatti, quando il bilancio idrico si fa negativo si parla di disidratazione: letteralmente, cattiva idratazione. Basti pensare che una diminuzione anche solo del 2% del peso corporeo è già in grado di alterare la termoregolazione, influendo negativamente sul volume plasmatico (del sangue) e aumentando la sua viscosità. Tutto questo, inoltre, limita l’attività e le capacità fisiche del soggetto che si ritrova a dover fare i conti con stanchezza, cefalea e difficoltà di concentrazione. «Con una diminuzione del 5% [dell’idratazione] avremo crampi, mentre arrivando a una perdita del 7% compariranno allucinazioni e perdita di coscienza. Infine, se si raggiunge il 20%, il valore risulterà incompatibile con la vita», avverte il professor Solimene. Ecco come diventa indispensabile reintegrare ogni perdita di acqua, assecondando lo stimolo della sete, che sorge spontaneo – ma non in tutti i casi – quando la perdita di acqua supera lo 0,5%. Che fare quindi? Fondamentale è stare attenti ai diversi campanelli d’allarme lanciati dal nostro corpo, anche quelli meno evidenti come stanchezza anomala, diminuzione e colorito più scuro delle urine secrete, in modo da contrastare prontamente il deficit idrico. Come sottolineato dallo studio sull’idratazione condotto dalla dottoressa Sheila M. Campbell e pubblicato sull’American College of Nutrition, il fabbisogno idrico quotidiano per le donne è di 2,7 litri, mentre per gli uomini si arriva a 3,7 litri da assumere attraverso cibo e acqua. Importante è inoltre bere molto e spesso, durante tutta la giornata: ancor di più, se ci si trova nelle già citate categorie più a rischio, ossia donne, anziani e bambini. Come emerge dagli studi condotti in merito* per le donne è consigliabile bere almeno mezzo litro di acqua al mattino prima di uscire, indossare un vestiario idoneo e idratarsi a piccole dosi, all’incirca ogni ora, per abbassare la temperatura corporea e tenere sotto controllo la sudorazione in eccesso. I bambini poi dovrebbero essere coloro che bevono di più, poiché l’acqua ha un ruolo essenziale nello sviluppo del loro organismo. E’ tuttavia necessario fornire pochi Sali minerali al bambino piccolo e una maggiore quantità ai ragazzi. Nella scelta delle bevande, meglio privilegiare l’acqua minerale, preferibilmente non bicarbonata. E’ inoltre importante vestire i bambini in modo leggero ed evitate l’esposizione diretta al Sole, soprattutto nelle ore più calde. Infine per gli anziani, gruppo in cui aumenta la difficoltà a mantenere un adeguato equilibrio idroelettrico, dal momento che si avverte meno il senso della sete è necessario prevenire il pericolo di deficit idrico puntando sulla corretta idratazione. Attraverso altri studi e ricerche, è emerso inoltre che l’acqua minerale è la bevanda migliore, in vista dell’estate: oltre a idratare, è un utile integratore naturale di calcio, magnesio e potassio, tutti elementi fondamentali per mantenere una corretta omeostasi (equilibrio naturale) del corpo, specialmente nelle età critiche. [lm&sdp] *Army Research Institute of Environmental Medicine (USARIEM) (http://dodreports.com/pdf/ada459434.pdf)

Medicina naturale:incenso per l'artrite

- rimedi naturali contro i dolori L’Incenso per alleviare i dolori da artrite Un estratto della pianta che produce la resina da cui si ricava l'incenso è risultato attivo nel combattere i dolori da artrite - Foto: ©photoxpress.com/Scott Slattery Forse ti interessa anche + Il tempo delle ciliegie: si portano via dolori e infiammazione + Curcuma e antinfiammatorio: la ricetta giusta per combattere il cancro al colon + Curcuma, un aiuto per l’artrite + Ginkgo biloba per ridurre dolori e infiammazione + I fantastici 4 contro i dolori da artrite Un’antica formula a base di incenso è risultata efficace nell’inibire la produzione di molecole infiammatorie causa dell’artrite. Lo studio Ogni tanto anche gli scienziati riscoprono rimedi antichi che possono essere utili nella cura o trattamento di alcune malattie. In questo specifico caso, i ricercatori della Cardiff University School of Biosciences (Uk) hanno scoperto che una rara specie di incenso, la Boswellia frereana, è in grado di alleviare i dolori da artrite. «La ricerca di nuovi modi di alleviare i sintomi dell’artrite infiammatoria e dell’osteoartrite è lunga e difficile», sottolinea la dottoressa Emma Blain che ha coordinato la ricerca condotta insieme al professor Vic Duance e il dottor Ahmed Ali. Nonostante ciò, gli scienziati hanno voluto studiare un estratto di incenso per valutare se e come potesse essere utile nel trattamento dell’artrite. Dai risultati ottenuti, si è visto come l’estratto di Boswellia frereana fosse in grado di inibire la produzione di molecole infiammatorie chiave e aiutare a prevenire la rottura del tessuto cartilagineo che determina la condizione artritica. «La ricerca di nuovi farmaci per alleviare i sintomi nelle condizioni infiammatorie come l’artrite e l’artrosi è un settore prioritario per gli scienziati. Ciò che la nostra ricerca è riuscita a raggiungere è quello di utilizzare innovative tecniche di estrazione chimica atte a determinare il principio attivo nell’incenso», ha spiegato il dottor Ali. La dimostrazione che in natura è possibile trovare rimedi efficaci diviene ancora una volta dagli scienziati che riescono a vedere oltre la sola chimica. Questo approccio, non prevenuto, è quello che spesso fa la differenza. L’incenso, lo ricordiamo, non è soltanto quella resina che si usa bruciare per profumare la casa o durante certi riti religiosi. Ma è anche una resina che si utilizza per scopi terapeutici. Certo, non con il fai da te, ma sotto la guida di un esperto. [lm&sdp]
potenti antinfiammatori naturali Il tempo delle ciliegie: si portano via dolori e infiammazione Le ciliegie, in particolare le visciole, sono un importante fonte di antinfiammatori + Un tipo di ciliegie selvatiche, ritenuto meno pregiato, contiene invece alti livelli di antinfiammatori che possono aiutare le persone affette da dolori cronici, artrosi o osteoartrite. Ma anche combattere l'infiammazione generale dell'organismo Le ciliegie stanno maturando sugli alberi e questo è proprio il momento migliore per gustarsele. E c'è un tipo di ciliegia che dovremmo prendere in considerazione per la nostra salute: cresce spontaneo, è considerato il “parente povero” delle ciliegie classiche, e si chiama visciola. E proprio questa specie è stata ritenuta dagli scienziati tutt’altro che “povera”, anzi… è il tipo di ciliegia con il più alto contenuto di sostanze antinfiammatorie che possono essere molto utili nel combattere proprio l’infiammazione del corpo e i dolori – in particolare quelli dovuti a osteoartrite e artrosi. Le visciole hanno il «più alto contenuto di sostanze antinfiammatorie di qualsiasi cibo – commenta la dottoressa Kerry Kuehl dell’Oregon Health and Science University – Con milioni di persone alla ricerca di modi per gestire in modo naturale il dolore, c’è la promessa che le visciole possono aiutare, senza gli effetti collaterali spesso associati con i farmaci per l’artrite». Lo studio dei ricercatori della OHSU è stato presentato durante l’American College of Sports Medicine Conference (ACSM) che si tiene a San Francisco dal 29 maggio al 2 giugno 2012. Ed è stato condotto su 20 donne di età compresa tra i 40 e i 70 anni, tutte affette da artrosi infiammatoria. Le partecipanti sono state invitate a bere del succo di visciola due volte al giorno per tre settimane, per poi essere sottoposte a indagine per valutare se e come l’assunzione del succo avesse sortito qualche effetto. I risultati hanno mostrato che vi erano significative riduzioni degli importanti marker dell’infiammazione. Gli effetti si sono mostrati più evidenti nelle donne che avevano i più alti livelli di infiammazione all’inizio dello studio. L’autore principale dello studio, dottoressa Kuehl, ha dichiarato di essere «incuriosita dal potenziale di un vero alimento nell’offrire un potente beneficio antinfiammatorio, soprattutto per gli adulti attivi». I livelli di antiossidanti contenuti in questo tipo di ciliegia pertanto si mostrano come una soluzione naturale e gradevole per combattere i dolori causati, in questo caso preso in oggetto dallo studio, dall’artrite da usura delle articolazioni che è spesso causa di lesioni e dolori anche molto forti. La capacità antiossidante e antinfiammatoria delle visciole è stata paragonata agli effetti di ben più noti farmaci antidolorifici. Già precedenti studi avevano suggerito come le visciole fossero un alimento funzionale con molte proprietà benefiche. In particolare, uno studio della Università degli Studi di Medicina Integrativa del Michigan, e di cui abbiamo dato notizia, suggeriva che le ciliegie possono «offrire vantaggi come la riduzione dei fattori di rischio per le malattie cardiache e l’infiammazione». Insomma, non lasciamoci sfuggire l’occasione di assaporare un bel po’ di rosse e dolci ciliegie. [lm&sdp]