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23 lug 2012

L'alimentazione senza glutine: la dieta corretta

La celiachia

La pelle - Consigli per l'uso

18 lug 2012

Olio di Krill come l’olio di pesce per ridurre il colesterolo

prevenzione

Olio di Krill come l’olio di pesce per ridurre il colesterolo

Olio di krill come olio di pesce contro il colesterolo e per la prevenzione delle malattie cardiache

Buone potenzialità nel ridurre lo stress ossidativo e i rischi alla salute da parte dell’olio di krill che può essere assunto in alternativa al più noto olio di pesce

L’olio di pesce è divenuto famoso da quando è stato lanciato l’allarme colesterolo e la necessità di prevenire le malattie cardiovascolari, l’infiammazione generalizzata e lo stress ossidativo: tutti fattori che possono incidere di molto sulla salute, la longevità e la qualità della vita.

Un’alternativa all’olio di pesce pare si possa trovare nell’olio di krill, estratto da un piccolo crostaceo che vive nelle acque dell’Antartico, e che può fornire una buona dose di acidi grassi omega-3 in forma di fosfolipidi, al contrario dell’olio di pesce che li fornisce in forma di trigliceridi.

In questo studio condotto dai ricercatori dell’Akershus University College, Università di Oslo (Norvegia) in collaborazione con la Aker BioMarine – un’azienda che produce l’olio di krill – si è voluto studiare gli effetti dell’olio di krill e quelli dell’olio di pesce sui lipidi del siero, nei marcatori dello stress ossidativo e dell’infiammazione. Lo scopo era quello di valutare se le diverse forme molecolari degli acidi grassi - trigliceridi e fosfolipidi – causavano una differenza nei livelli plasmatici di EPA e DHA (acido eicosapentaenoico e acido docosaesaenoico derivati metabolici degli acidi grassi essenziali).

Per questo sono stati reclutati 113 volontari che presentavano livelli di colesterolo normali o di poco alterati. I partecipanti sono poi stati suddivisi a caso in tre gruppi.
A quelli del primo gruppo sono stati dati da assumere ogni giorno per sette settimane sei capsule di olio di krill per un totale di 3 g di EPA e 543 mg di EHA. A quelli del secondo gruppo sono state date tre capsule di olio di pesce per un totale di 1,8 g di EPA e 846 mg di DHA. Il terzo gruppo non ha ricevuto nulla poiché era il cosiddetto gruppo di controllo.

I risultati delle analisi, così come riportato sulla rivista Lipids, mostrano che vi è stato un aumento significativo nel plasma di EPA, DHA e DPA nei soggetti appartenenti a due gruppi a cui era stato dato l’olio di krill e l’olio di pesce. Ovviamente, non si sono avuti incrementi nel gruppo di controllo.
«Questo studio conferma che una dose inferiore di EPA e DHA è necessaria quando si prendono omega-3 sottoforma di fosfolipidi dell’olio di krill, rispetto alla forma trigliceridi», scrive il dottor Hogne Vik, uno degli autori dello studio.

In conclusione, si è potuto constatare un netto miglioramento dei livelli ematici di acidi grassi essenziali omega-3 e un miglioramento del rapporto tra i due tipi di colesterolo. Un vantaggio per la salute generale, suggeriscono i ricercatori.
(lm&sdp)
- maggiore benessere per chi vive lungo la costa marina

Chi vive al mare è… sano come un pesce

Vivere nei pressi di una spiaggia o lungo la costa pare abbia efffetti benefici sulla salute delle persone

Vivere vicino alla spiaggia o la costa può migliorare o mantenere la salute delle persone più che in altri luoghi, anche se vicino ad aree verdi. Lo studio

Potendo scegliere il posto dove vivere, l’opzione migliore pare possa essere quella del mare. Secondo un nuovo studio infatti vivere nei pressi di una spiaggia, o sulla costa, migliorerebbe lo stato di salute delle persone.

A decretare che vivere al mare rende sani come un pesce sono stati i ricercatori del Peninsula College of Medicine and Dentistry di Exeter, in Inghilterra, che hanno pubblicato i risultati di questo largo studio sulla rivista Health & Place. Gli scienziati hanno analizzato i dati provenienti da oltre 48 milioni di persone, scoprendo che chi aveva la fortuna – è proprio il caso di dirlo – di vivere sulla costa aveva maggiori probabilità di riportare un buono stato di salute. E questa condizione ottimale perdurava anche dopo aver considerato possibili fattori confondenti o condizionanti come l’età, lo stato di salute precedente, il sesso di appartenenza, lo status socio-economico e via dicendo. È stato altresì considerato se la persona viveva in città, nella natura o vicino a parchi o altri spazi verdi.

In punti percentuale, fanno notare i ricercatori, la differenza sulla migliore salute non era così evidente: si trattava di un 1%. Tuttavia, spiega il principale autore dello studio dottor Ben Wheeler, questo apparente modesto effetto se applicato a un’intera popolazione può avere un impatto rilevante sulla salute pubblica.
Dai dati raccolti si è scoperto che più si vive vicino alla costa, più si riportavano segni di un maggiore benessere. Secondo gli autori, questo fenomeno può essere associato alla qualità dell’ambiente marino di ridurre lo stress.

Ora, si affrettano a chiarire i ricercatori, non è che tutti debbano correre a comprare casa al mare, poiché lo studio ha trovato soltanto un’associazione tra un maggiore benessere e il vivere vicino alla costa, e non un reale rapporto di causa/effetto. Altri fattori infatti potrebbero spiegare il fenomeno.
Se poi a qualcuno è venuto in mente che i ricchi possessori di ville o yacht siano più avvantaggiati perché possono permettersi di vivere al mare come e quando vogliono – e di conseguenza godere di una maggiore salute – potrebbe sbagliarsi perché, si scopre dallo studio, una maggiore influenza sulla salute si è notata proprio nelle persone che vivevano nelle aree meno agiate o svantaggiate.

Sebbene dunque non sia chiaro perché chi vive al mare è più sano, è comunque un dato di fatto che potrebbe essere sfruttato per creare ambienti che favoriscano il ripristino della salute per le persone che hanno problemi di salute. O, nel caso di prevenzione, creare degli ambienti virtuali che possano essere sfruttati da chi vive in zone dove il mare non c’è, suggeriscono gli autori.
Il dubbio in questo caso tuttavia è: funzionerà allo stesso modo?
[lm&sdp]

13 lug 2012

Maria,una candela nel vento

Quando l'Alzheimer trasorma in bambini

MARIA, UNA CANDELA NEL VENTO

Dramma e realtà, magìa e speranze d'una malattia che colpisce mezzo milione di italiani



LIVORNO - Maria è nel suo letto, ben rincalzata nelle coperte puilte, come una bambina. E, come unabambina, guarda le bambole, messe vicino al cuscino, in modo che riesca a vederle bene. Ha 90 anni, un corpo ormai consunto, un passerotto su cui sono aperte piaghe che mostrano le ossa.

 Una carezza ai capelli della bambola bionda: da molti anni Maria è affetta dalla malattia di Alzheimer, la sua mente vaga nell'assenza del tempo, i ricordi sono visioni rapide e scollegate. Ulisse, il fidato amico, il grosso meticci bianco, la veglia, immobile: in attesa.

 Ma non è sempre stato così. C'è stato un tempo in cui una bella ragazza dai capelli mori ed ondulati si guardava di nascosto allo specchio e si pizzicava le guance per darsi colore. Sì, c'è stato un tempo. Molto prima, in cui quella ragazza, con caparbietà, ha voluto raggiungere il primo traguardo, quello della laurewa in medicina e la specializzazione in pediatria, poi quello dell'incontro con Angiolo, il grande amore della vita, quellodei figli, della professione, della famiglia. Lei, sorridente e mite, silenziosa protagonista del proprio mondo.

 Oggi, è un altro tempo, ma è sempre lei, anche nel dramma di quel grande buio. Tutti coloro che vivono intorno sono increduli, perplessi, spaventati. Colei che reggeva con redini salde la vita d'ognuno, si sta trasformando lentamente in una bambina bisognosa di tutto.

 Eppure è nella malattia e nel martirio del corpo e della mente destinati a deteriorarsi, che la grandezza di questa piccola donna assume il valore d'insegnamento e monito.

 Ricorderò per tutta la vita, il sorriso dolce, quasi a scusarsi, durante le dolorose medicazioni quotidiane su quella carne scoperta, la gioia tenera davanti ad un cibo che le piaceva, le carezze antiche alla bambola di pezza, sue ultime compagne di giochi, da tempo dimenticate.

 Maria, dopo una lunga, straziante agonia, muore dolcemente, com'era vissuta, in una notte di fine primavera. Inutili furono i ventilatori portatidall'impresa funebre per ovviare al forte odore di morte: da subito, la stanza fu invasa dal profumo dolce di rosa e gelsomino. E le finestre aperte, con la leggera brezza primaverile che muoveva le tende, non lo dispersero.

 Una, cento, mille Marie, l'Italia ed il mondo ne sono piene. Ad un secolo dalla prima diagnosi su Auguste, la paziente studiata in diverse fasi da Alzheimer e Perusini, si muore come allora. Una volta identificata la malattia, non si sa quando la morte porterà via la persona, ponnedo fine ad una tragedia individuale e familiare. Certo si sa come sarà il decorso clinico.

 Guarire non è possibile, la scienza ha limiti e tempi; curare, in parte si può, ma non poco dipende dalla fortuna perchè ogni caso fa a sè; assistere, è un parametro ancor più legato al destino, un grande interrogativo dove le variabili sono la società in cui viviamo, la consistenza organizzativa del sistema sanitario, la disponibilità del nucleo familiare. Il percorso del malato si muove in questi binari. Lui o lei non possono decidere nulla.

 Conosciamo i meccanismi capaci di provocare il danno nervoso, eppure non esistono i farmaci per eliminarli. Si parla ogni volta d'un imminente traguardo, ma i pur validi, piccoli passi non consentono la svolta. E si continua a soffriree morire.

 Allora prende corpo la scelta assistenziale, in tanti modi, ufficiali ed ufficiosi, mentre fra alti e bassi lo sguardo di quelle persone si sperde sempre più nel vuoto e s'assottiglia il supporto di chi deve o vuole fare qualcosa.

 Cos'è dunque cambiato? Poco o molto, il giudizio dipende dall'esperienza d'ognuno: il  medico, il sistema, il familiare. Il primo si basa sulle novità della ricerca, il secondo sui supporti economici ed organizzativi condizionati da scelte sempre più restrittive, l'ultimo è un jolly, una carta importante, ma giocabile solo se presente. Eppure si continua a vivere, o meglio continua a farlo chi non sa d'essere malato, perchè il destino lo ha umiliato togliendogli persino la volontà di decidere. Ma lo fa capire con tutto quanto rimane in sè, che mollare non si può. Sta allora a chi gli vive intorno capire nel buio della mente questo messaggio ed i modi ci sono. Basta volerlo e pensare anche solo a cosa farebbe lui, a parti invertite. Non è male ricordarlo. Perchè, pur nella dolcezza di quello sguardo di bambino, si continua a soffrire. Candele nel vento, dove la fiamma si piega al destino.  Sta a noi evitare che si spenga.

GIAN UGO BERTI

10 lug 2012

fare due passi allunga la vita

fare due passi allunga la vita

187 morti in meno all’anno usando i piedi anziché l’auto

Una passeggiata allunga la vita e fa risparmiare un bel po' di soldi alla sanità, che potrebbero essere utilizzati per altri servizi

Lasciare l’auto a casa e fare qualche passo in più a piedi risparmierebbe la vita a 108 uomini e 79 donne ogni anno, con un risparmio anche in denaro per la sanità di oltre 200 milioni di euro

Altro che tagli alla sanità per via dei costi o nuove campagne per la prevenzione, per risparmiare 200 milioni di euro all’anno, ma soprattutto 187 vite, basterebbe fare qualche passo in più a piedi e lasciare l’auto a casa.

Pensate, se tutti quelli che possono lasciassero l’auto a casa sai quanto inquinamento, stress da traffico, spese in carburante e così via ci sarebbero in meno? Ma non solo. A fronte di un risparmio in spesa personale ci sarebbe un guadagno in salute e in longevità. Questo l’appello o, se preferite, il suggerimento che arriva da uno studio dell’OMS che ha stimato i benefici economici e sanitari annuali conseguenti a una riduzione della mortalità derivanti dall’utilizzo dei piedi al posto dell’auto anche solo per brevi tragitti.

Gli esperti dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, insieme ai membri della Agenzia di Sanità Pubblica di Barcellona (ASPB), hanno condotto uno studio cross-sezionale – un tipo di studio che indaga su una porzione di diverse popolazioni per un certo periodo di tempo per identificare possibili fattori di rischio – basato sui dati della Agenzia di Trasporti Metropolitana che conteneva la documentazione relativa ai viaggi di oltre 100mila persone.
Di queste, sono stati selezionati 80.552 persone di età superiore ai 17 anni che avessero utilizzato il mezzo pubblico per almeno un viaggio.
Altro dato ricavato dai ricercatori era il calcolo del numero di uomini e donne che non facevano del moto tutti i giorni, ma che avevano utilizzato l’auto o la moto per viaggi di durata superiore a 5 minuti.

Quale parametro di comparazione, i ricercatori Marta Olabarria, Katherine Pérez, Elena Santamariña-Rubio, Ana M Novoa e Francesca Racioppi hanno utilizzato una linea progettata dall’OMS che prende il nome di Health Economic Evaluation Tool (HEAT) e che stima i benefici di un aumento dell’attività fisica sulla riduzione della mortalità.
I risultati finali dell’indagine sono poi stati pubblicati sull’European Journal of Public Health e mostrano che la popolazione presa a campione non raggiungeva i valori (o linee guida) giornalieri raccomandati per l’attività fisica. In particolare, a non fare abbastanza movimento era il 77,2% degli uomini e il 67,7% delle donne.

Tenuto conto che l’OMS suggerisce di eseguire un’attività fisica moderata e aerobica – come una passeggiata a passo spedito – per almeno 150 minuti a settimana (circa mezz’ora al giorno) sono ancora molte le persone che si sottraggono a questo “dovere” che potrebbe portare davvero numerosi benefici sia alla salute che, come detto, alle casse della sanità.
Niente di chissà che, dunque, ma anche una semplice passeggiata di mezz’ora al giorno potrebbe rimediare a molti malanni e allungare la vita delle persone.
Pensiamoci quando ci viene voglia di prendere l’auto anche solo per fare un breve tragitto.
[lm&sdp]

Caldo e nervosismo

sistema nervoso messo a dura prova dalle ondate di calore

Gli effetti del caldo sui nervi

Durante i periodi di grande caldo molte persone sono più irritabili, nervose e agitate del solito

Durante le ondate di calore in molti si sentono più irritabili, frustrati, nervosi e anche confusi senza apparente motivo

Troppo caldo pare abbia il potere di mandarci per così dire in tilt. Molti di noi infatti in questi periodi si sentono più in confusione del solito, faticano a ragionare e provano un senso di frustrazione. Oltre a ciò, per molte persone vi è anche un senso di fastidio, irritazione, nervosismo.
Sono gli effetti del tempo che, secondo la dottoressa Nancy Molitor, hanno un impatto sia fisico che psicologico su di noi.

La professoressa di psichiatria presso la Northwestern University Feinberg School of Medicine, ritiene che le ondate di calore non abbiano dunque soltanto effetti sull’organismo – e che bisogna combattere o tenere sotto controllo con adeguati accorgimenti – ma anche a livello mentale. L’esperta considera tra gli altri che quando la colonnina di mercurio sale molte persone si sentono più agitate o nervose senza apparente motivo. Alcuni di loro diventano anche ostili, aggressivi e, in alcuni casi, violenti.

Per questo e altri motivi, Molitor suggerisce di evitare di esporsi troppo al calore e combatterne gli effetti seguendo i consigli degli esperti. Altro consiglio è quello di evitare in questi periodi di prendere decisioni, soprattutto importanti, che riguardano gli aspetti sociali, sentimentali o finanziari perché si potrebbe non disporre della lucidità necessaria – e si corre il rischio di pentirsene in seguito. In queste situazioni meteo infatti, il “punto di fusione” è molto più labile, ha commentato Molitor nel comunicato MU.

Con il gran caldo, poi, sono più a rischio anche le persone predisposte o che soffrono di depressione; per alcuni si possono verificare dei casi di SAD (il Disturbo Affettivo Stagionale) in versione estiva. Secondo Molitor, chi soffre di questo disturbo durante la stagione autunnale o invernale in certe situazioni gravi può trovare il gran caldo «quasi impossibile da sopportare». Tuttavia, per la maggioranza delle persone, seguire i consigli degli esperti per sopportare al meglio le alte temperature può essere la soluzione migliore: tra queste, per esempio, una è quella di prestare ascolto al proprio corpo e ai suoi segnali. «La persona media è in grado di sopportare questa [situazione], se ascolta il proprio corpo», conclude Molitor.
[lm&sdp]


Foto: ©photoxpress.com/Hunta

2 lug 2012

Un rapporto sessuale al giorno toglie l’infertilità di torno

ridurre i danni al dna dello sperma

Un rapporto sessuale al giorno toglie l’infertilità di torno

Avere rapporti sessuali ogni giorno pare aiuti a ridurre i danni al DNA dello sperma maschile

Il sesso giornaliero aiuta a migliorare la qualità dello sperma negli uomini. Lo studio

La fertilità maschile e la qualità del liquido seminale è minacciata ogni giorno da scorretti stili di vita, fattori ambientali come inquinamento, dieta, sedentarietà, esposizione al calore e all’elettromagnetismo e via discorrendo… Ma, a quanto pare un’àncora di salvezza c’è ed è, guarda caso, proprio il sesso. Sì, perché, secondo uno studio avere rapporti sessuali giornalieri pare aiuti a migliorare la qualità dello sperma.

Presentato alla riunione annuale della Società Europea di Riproduzione Umana ed Embriologia di Amsterdam, lo studio australiano ha coinvolto 118 uomini con problemi di fertilità. I partecipanti presentavano tutti un danno al Dna dello sperma superiore al 15 percento, così come indicato da un indice di frammentazione del Dna detto DFI.
Nel laboratorio del dottor David Greening a Sydney i danni al Dna dello sperma sono valutati in base a diverse percentuali suggerite dal DFI, per cui un danno superiore al 15% è stato giudicato adatto allo studio.
Nella scala DFI utilizzata dai ricercatori uno sperma con danno al Dna inferiore al 15% è giudicato di qualità eccellente; con un danno compreso tra il 15 e il 24% è ritenuto un buono sperma; quello che ha un danno tra il 25 e il 29% è medio e, infine, lo sperma che presenta un danno superiore al 29% è di qualità scarsa.

«Tutto quello che sapevamo era che il rapporto sessuale il giorno dell’ovulazione offerto la più alta probabilità di gravidanza, ma non sapevamo quale fosse il miglior consiglio per il periodo che precede l’ovulazione o il recupero dell’uovo per la fecondazione in vitro – ha spiegato nel comunicato Sydney IVF Wollongong Clinic il dottor David Greening, ginecologo e specialista in endocrinologia riproduttiva e infertilità – Ho pensato che l’eiaculazione frequente potrebbe essere un meccanismo fisiologico per migliorare danni al Dna dello sperma, pur mantenendo i livelli di sperma all’interno del normale, fertile, limite».

Prima di iniziare gli esperimenti sono stati misurati i livelli di danno al Dna dello sperma dei partecipanti. I risultati delle analisi hanno mostrato danni compresi tra il 15% e il 98%, con una media DFI del 34%, se misurato dopo tre giorni di astinenza dal sesso.
Dopo aver analizzato e classificato lo sperma dei volontari, questi sono stati invitati a eiaculare ogni giorno per sette giorni di seguito. I partecipanti, durante il periodo di test non hanno apportato modifiche al loro stile di vita.
Quando, il settimo giorno, lo sperma degli uomini è stato rivalutato, Greening ha rilevato che l’81 percento dei volontari mostrava una riduzione del danno al Dna del 12% in media. Il restante 19% di volontari mostrava invece un aumento del danno in misura media del 10%. La media per l’intero gruppo è scesa al 26% DFI.
«Anche se la media è stata del 26 percento, che rientra nella gamma “equo per la qualità dello sperma – ” – commenta Greening – questo includeva il 18 percento degli uomini il cui danno al Dna dello sperma è aumentato, così come quelli in cui si è ridotto il danno».

A parte le percentuali di danno al Dna dello sperma, ciò che è apparso evidente ai ricercatori sono i cambiamenti significativi che si sono mostrati nel cambiare gamma di appartenenza: da scarsa qualità a media e buona. «Questi cambiamenti sono stati notevoli e statisticamente altamente significativi», ha sottolineato Greening.
«Inoltre, abbiamo scoperto che, sebbene l’eiaculazione frequente abbia diminuito il volume di sperma e le concentrazioni di spermatozoi, non ha compromesso la motilità degli spermatozoi e, di fatto, questa è aumentata leggermente ma significativamente».

Ricordando che saranno necessari ulteriori studi per vedere se questo miglioramento nella qualità dello sperma si traduce in migliori tassi di gravidanza, il ricercatore fa notare che precedenti ricerche hanno suggerito una tra un danno al Dna dello sperma e di tassi di gravidanza.
[lm&sdp]
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 - Il  meccanismo di difesa del cuore

La sindrome del cuore infranto fa bene… al cuore

Quando il cuore viene "spezzato" da un evento molto stressante, si autoprotegge dalle scariche di adrenalina

A differenza di ciò che si potrebbe pensare, la condizione dovuta a un forte stress, chiamata “cuore spezzato”, è una forma di autoprotezione del cuore stesso dagli eccessivi scarichi di adrenalina che potrebbero danneggiarlo seriamente

Si chiama popolarmente sindrome del cuore spezzato (o infranto) ed è una condizione che si associa in genere a un evento di forte stress o traumatico come per esempio un lutto, una separazione o la perdita di un amore…
Questa situazione, che a livello fisiologico si mostra con una temporanea insufficienza cardiaca, in realtà è un meccanismo di difesa del cuore stesso che si vuole proteggere dagli eccessivi scarichi di adrenalina conseguenti all’evento drammatco vissuto.

Scientificamente, questa condizione è chiamata “tako-tsubo” o cardiomiopatia da stress e, come accennato, affligge le persone colpite per esempio da un lutto improvviso. Un forte stress emotivo che in alcuni casi può avere conseguenze gravi su chi lo subisce. Il cuore però, cerca in qualche modo di salvaguardarsi suggerisce uno studio dell’Imperial College di Londra e pubblicato sulla rivista Circulation.

«L’effetto stimolante dell’adrenalina sul cuore è importante per aiutarci a mandare più ossigeno in tutto il corpo durante situazioni stressanti, ma può essere pericoloso se questo va avanti troppo a lungo – spiega nel comunicato ICL, Sian Harding, professore presso il National Heart and Lung Institute (NHLI) dell’Imperial College di Londra, e a capo dello studio – Nei pazienti con cardiomiopatia Takotsubo, l’adrenalina funziona invece in modo diverso e “spegne” il cuore. Questo sembra proteggere il cuore da una sovrastimolazione».

Il pericolo è dunque che questa condizione perduri troppo nel tempo e che la regolazione dell’adrenalina vada fuori controllo.
Secondo i ricercatori, a causa della somiglianza dei sintomi, circa il 2% sospettate di essere vittime di un generico attacco cardiaco, in realtà erano sotto questa condizione che, finalmente, è stata riconosciuta.
Come dimostrato dallo studio su modello animale, l’organismo in queste particolari situazioni modifica da solo la risposta all’adrenalina passando da una tipica stimolazione del cuore per pompare più sangue e ossigeno a una opposta riduzione del pompaggio.
Il tutto, fanno notare Harding e colleghi, si traduce in uno scompenso cardiaco acuto. In generale, la maggioranza delle persone in questa condizione si riprendono del tutto nel giro di qualche giorno o, al massimo, settimana.

Se dunque siamo oggetto di un avvenimento traumatico o uno stress emotivo di questo genere, se sentiamo come se avessimo un attacco cardiaco può essere che invece siamo sotto “protezione” da parte del cuore. Tuttavia, a scanso di equivoci, è sempre meglio farsi visitare da un medico per scongiurare l’eventualità che si tratti davvero di un attacco di cuore.
[lm&sdp]