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22 mar 2011
Gli italiani sono sempre più grassi, vecchi e pigri
Il Rapporto annuale di Osservasalute è stato presentato all'Università cattolica del Sacro Cuore di Roma. Emerge un quadro poco rassicurante: invecchiamento, stili di vita sbagliati e una popolazione sempre più in sovrappeso
Italia paese pigro, vinto dalle cattive abitudini (fumo e alcol soprattutto) che diventano quasi normali nella percezione comune, e soprattutto un paese grasso. Ogni anno, nel nostro Paese, circa 50.000 decessi vengono attribuiti all'obesità, i cui tassi sono in preoccupante aumento soprattutto tra bambini e adolescenti.
Ecco la foto che il 'Rapporto Osservasalute 2010' scatta anche quest'anno allo stato di salute degli italiani e del Servizio sanitario nazionale e presentato .
Nella penisola oltre un terzo della popolazione adulta (35,5%) è in sovrappeso, mentre circa una persona su dieci è obesa; in totale, il 45,4% della popolazione adulta è in eccesso ponderale.
Per quanto riguarda i bambini, la quota complessiva di quelli grassi è del 34%, il 2% in meno rispetto al precedente Rapporto. Tra gli otto e i nove anni sovrappeso e obesità riguardano rispettivamente 22,9% e 11,1% dei bambini, con ampia variabilità regionale: dall’11,4% di bimbi in sovrappeso nella provincia di Bolzano al 28,3% in Abruzzo; dal 3,5% di piccoli obesi nella provincia di Trento al 20,5% in Campania.
Confrontando i dati con quelli dell’anno precedente, si osserva la tendenza all'aumento delle persone in sovrappeso nella maggior parte delle regioni, senza differenze geografiche; una lieve, ma non significativa, diminuzione si riscontra in Campania e Sicilia.
Per quanto riguarda le persone obese, dieci regioni presentano tassi maggiori rispetto allo scorso anno e dieci regioni registrano una minor prevalenza, lasciando il dato medio nazionale inalterato. Nel periodo 2001-2008 la percentuale di persone di 18 anni e oltre in condizione di sovrappeso e obesità è andata aumentando passando, rispettivamente, dal 33,9% nel 2001 al 35,5% nel 2008 e dall’8,5% nel 2001 al 9,9% nel 2008.
Rispetto al Rapporto Osservasalute 2009, quest'anno si registra un leggero incremento della quota di persone che svolgono solo qualche attività fisica e una conseguente riduzione nella quota di sedentari.
Un altro dato che emerge dall'analisi è quello sulla fecondità nel Belpaese. L’Italia è più feconda. Cresce il numero di bambini per l’aumento di maternità sia nelle over 30, specie al Centro-Nord, sia nelle straniere.
Il tasso di fecondità totale (Tft) si attesta nel 2008 su un valore pari a 1,4 figli per donna in età feconda, inferiore al cosiddetto 'livello di sostituzione' (ossia quello, circa 2,1 figli per donna, che garantirebbe il ricambio generazionale). Ma continua il processo di ripresa dei livelli di fecondità, che è iniziato a partire dal 1995 quando il Tft raggiunse il suo valore minimo di 1,2 figli per donna.
Studi dimostrano che l’aumento del tasso di fecondità registrato tra il 2001 e il 2006 è dovuto, in pari misura, alla crescita della fecondità delle donne con cittadinanza italiana e a quella delle cittadine straniere. Nel 2008 i valori più elevati si registrano nelle Province autonome del Trentino-Alto Adige e nella Valle d’Aosta, dove l’indicatore raggiunge il valore di circa 1,6 figli per donna. Le regioni dove si registra un tasso particolarmente basso (ossia inferiore a 1,2 figli per donna in età feconda) sono Sardegna e Molise.
Come conseguenza, la quota dei giovani sul totale della popolazione è contenuta, mentre il peso della popolazione 'anziana' (65-74 anni) e 'molto anziana' (75 anni e oltre) è consistente. Complessivamente, la popolazione in età 65-74 anni rappresenta il 10,3% del totale, e quella dai 75 anni in su il 9,8 del totale.
E il futuro non promette bene: si assisterà infatti a un ulteriore aumento del peso della popolazione anziana dovuto allo 'slittamento verso l’alto' (ossia all’invecchiamento) degli individui che oggi si trovano nelle classi di età centrali, che sono le più affollate.
Al tempo stesso si può supporre che nel futuro prossimo non si registrerà un numero di nascite o flussi migratori imponenti tali da contrastare il rapido processo di invecchiamento che si sta delineando, visto che le nuove generazioni (ossia coloro che dovrebbero dar luogo a tali nascite) sono numericamente esigue.
Aumentano poi gli anziani che vivono soli. A livello nazionale oltre un anziano su quattro (27,8%) vive solo (+0,7% rispetto al 2007). È in Valle d’Aosta che tale percentuale raggiunge il suo valore massimo (33,4%), mentre valori superiori al 30% vengono registrati anche in Piemonte, nella Provincia Autonoma di Trento e in Liguria.
Al contrario, valori contenuti caratterizzano la Toscana, dove la quota di anziani che vivono soli è pari a 23,6%: seguono le Marche (25,3%), il Veneto (25,6%), la Basilicata (25,7%) e l’Abruzzo (25,9%).
Solo il 14,5% (nel 2007 tale dato era pari a 13,6%) degli uomini di 65 anni e oltre vive solo, mentre tale percentuale è decisamente più elevata per le donne: 37,5%, contro il 36,9% del 2007.
Un'altra, preoccupante tendenza che emerge dal Rapporto Osservasalute riguarda il consumo di antidepressivi, che in Italia continua ad aumentare secondo un trend iniziato da qualche anno. Una crescita che interessa, indistintamente, tutte le regioni.
L’utilizzo di questi farmaci, anche per le forme depressive più lievi di ansia e attacchi di panico, è spesso appannaggio dei Medici di Medicina Generale, più che degli specialisti, con una conseguente maggior diffusione nella popolazione.
Il crescente utilizzo di antidepressivi, dice il dossier, può essere spiegato con i cambiamenti culturali poiché patologie come ansia e depressione sono meno stigmatizzate dalla popolazione. Bisogna però tenere in considerazione che questi farmaci vengono utilizzati anche per patologie non strettamente psichiatriche, come per la terapia del dolore, nei cui confronti si sta assistendo in Italia ad un cambiamento culturale nella prescrizione e utilizzo dei farmaci.
Le regioni del Centro-Nord (in particolare provincia autonoma di Bolzano, Liguria, Emilia-Romagna, Toscana e Umbria) risultano avere maggiori consumi rispetto a quelle del Sud (Puglia, Basilicata, Molise) nelle quali si registra, comunque, un trend in aumento, tranne che per la Sardegna, i cui consumi si avvicinano a quelli delle regioni settentrionali. Una differenza che potrebbe essere spiegata da un diverso utilizzo dei servizi psichiatrici e dai diversi stili di vita.
Quotdiano net salute
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