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Benvenuti in PARLIAMO DI SALUTE
Vogliamo informare per orientare nel campo della salute e del benessere della persona. Ponete domande,vi daremo risposte attraverso l'esperienza degli esperti.
Leggete i nostri articoli per entrare e conoscere le ultime novità internazionali che riguardano i progressi della medicina.
Sarà affrontato anche il campo delle medicine alternative e della psicoanalisi.
Pubblicheremo inoltre interessanti articoli di storia della medicina.
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Pubblicheremo inoltre interessanti articoli di storia della medicina.
31 mar 2012
31/03/2012 - yogurt arricchiti di acidi grassi essenzialiYogurt, il miglior mezzo per assumere omega-3
Gli scienziati hanno ideato uno yogurt arricchito di acidi grassi essenziali come gli omega-3 che si trovano nel pesce
connubio yogurt e acidi grassi essenziali omega-3 pare sia l’ideale per assumere adeguati livelli di questi preziosi componenti che si trovano naturalmente nel pesce
Non tutti riescono ad assumere una giusta quantità di acidi grassi essenziali come gli omega-3. Quantità che servirebbe per favorire la salute generale e, più in particolare, quella cardiovascolare.
Questo genere di acidi grassi si trova naturalmente nel pesce. Tuttavia, non sempre si riesce a mangiare pesce, per diversi motivi. Questi possono essere difficoltà di reperire questo genere di alimenti, difficoltà economiche e non ultimo, scelte di vita o etiche.
Nel caso, ci sono sempre le capsule, anche in questo caso però non tutti possono assumerle.
Una possibile soluzione al problema arriva dal suggerimento offerto dagli scienziati della Virginia Tech (Virginia Polytechnic Institute and State University), i quali hanno dimostrato che un mezzo ideale per veicolare gli omega-3 è lo yogurt.
«La popolarità internazionale dello yogurt e le proprietà di promozione della salute con probiotici, Sali minerali, vitamine, proteine del latte suggeriscono che lo yogurt potrebbe essere un ottimo veicolo per la fornitura di acidi grassi n-3 – spiega Susan E. Duncan, professore e Direttore del Macromolecular Interfaces with Life Sciences Program, Food Science and Technology, Virginia Tech – Le recenti innovazioni nei sapori esotici dello yogurt forniscono opportunità di innovazione. Abbiamo testato diversi livelli di olio di pesce in uno yogurt aromatizzato al peperoncino e lime, e abbiamo scoperto che una concentrazione dell’1 percento di olio di pesce, che fornisce più della dose giornaliera raccomandata, potrebbe essere ammissibile per una grande percentuale della popolazione generale, e ha un mercato potenziale tra i consumatori più attenti alla salute e alla nutrizione».
I ricercatori, per testare l’apprezzamento da parte delle persone di uno yogurt con un aroma salato, piuttosto che dolce, hanno così condotto uno studio preliminare utilizzando questo prototipo di yogurt aromatizzato al peperoncino e lime.
I risultati dello studio sono stato pubblicati sul Journal of Dairy Science, e indicano che non tutti i partecipanti allo studio, diviso in due fasi, apprezzavano il gusto prodotto dalla combinazione del peperoncino e gli acidi grassi omega-3, specialmente quando dovevano assaggiare i campioni contenenti gli omega-3 ossidati – che pare abbiano un sapore molto accentuato di pesce.
«L’Innovazione in un aroma amaro-salato in combinazione con le potenti funzionalità salutari degli acidi grassi n-3 acidi e le componenti del latte è di interesse per un ampio segmento della popolazione consapevole e attenta circa la salute e la nutrizione. Per queste persone esiste un potenziale mercato», ha concluso la professoressa Duncan.
Potrebbe quindi essere possibile che, un giorno o l’altro, si possano trovare nei box frigo dei supermercati degli yogurt salati al gusto “pesce”, o forse meglio camuffato con altri sapori, anche se non dolci. Sì, meglio.
[lm&sdp]
29 mar 2012
28/03/2012
ALZHEIMER, QUALI SPERANZE PER I MALATI? LIBRO DI GIAN UGO BERTI
La migliore medicina contro l’Alzheimer rimane la solidarietà. Ad un secolo dalla scoperta, questa drammatica forma di demenza non trova ancora una cura concreta,lasciando di fatto mezzo milione d’italiani al sostegno delle famiglie (dove esistano), mentre lo Stato è praticamente incapace ad arginare una domanda di salute così complessa,pressante e drammatica.
Nella leggenda popolare è il “grande buio”,silenzioso ed inesorabile, che avvolge,umilia e soffoca l’essenza stessa della persona, fino a ridurla inerte materia. Sul palcoscenico della tragedia, si confrontano così due attori, il malato ed il medico. Un rapporto umano che finisce per assottigliarsi e sbiadire davanti all’inefficacia delle cure ed alla carenza delle strutture sanitarie. Un distacco forse annunciato, contenuto comunque dal ruolo degli affetti familiari e,in chiaro-scuro,del supporto sociale. Sono i due volti della malattia che incidono ancor più se, sotto il camice bianco, vivono assieme il figlio ed il medico. Tutto ed il contrario di tutto s’agita nella mente di chi debba prendere decisioni sapendo di non poter guarire e di chi voglia continuare a credere che fino a quando ci sia vita,c’è speranza. Meglio, cento volte meglio morire all’improvviso, conclude Gian Ugo Berti,presentando a Roma il libro “Ho parlato di te (Aletti Editore), perchè se sapere di morire svanendo nel buio e drammatico, svanire nel buio sapendo di morire lo e ancora di piu.
26 mar 2012
meno rapporti sessuali a causa delle preoccupazioniEcco come la crisi economica colpisce la nostra vita in coppia
Lo stress causato dalla crisi economica nazionale influisce negativamente sulla vita e le relazioni di coppia
12milioni di italiane perdono il sorriso e la libidoLo stress generato dalla recessione e l’incertezza del futuro si ripercuote in negativo sulla nostra vita, i rapporti e le relazioni di coppia
La crisi economica ci gioca brutti scherzi, non solo nel portafogli sempre più vuoto, ma anche a livello psico-fisico. Così stress, incertezza per il futuro, ansia e quant’altro si ripercuotono negativamente sulla nostra vita, in particolare quella di coppia – che poteva essere l’ultima ancora di salvezza per trovare un po’ di conforto.
A mettere in luce, il buio che è sceso nelle coppie è stata un’indagine condotta per conto della rivista Good Housekeeping, che ha coinvolto oltre 1.000 persone di entrambi i sessi e di età compresa tra i 35 e i 64 anni.
La ricerca voleva stabilire se e quanto il periodo di recessione avesse influito sulle relazioni di coppia. Analizzando le risposte fornite dagli intervistati è emerso che nell’ultimo anno la voce “amore” ha imboccato il viale del tramonto: ben più di un quarto delle coppie ha dichiarato di aver fatto all’amore meno dell’anno precedente. Il motivo principale? Stanchezza per le donne e mancanza di libido da parte degli uomini a causa, manco a dirlo, delle preoccupazioni finanziarie.
La ricercatrice principale, dottoressa Linda Kelsey, ritiene che a concorrere al declino dei rapporti intimi tra le coppie vi siano i lunghi orari lavorativi, l’attenzione da dedicare alla famiglia e ai figli.
«Una volta che in una relazione i fuochi d’artificio ormonali dell’attrazione iniziale si sono placati, il “warm-up and cool-down” [attività e rilassamento] del sesso diventa ancora più importante, ma queste sono cose che cadono nel dimenticatoio quando arrivano tutte le altre responsabilità di vita famigliare e lavorativa», commenta Kelsey al Daily Mail.
E come influiscono tutte queste responsabilità lo confermano le risposte degli intervistati. Per esempio, un quarto degli uomini ha dichiarato che il proprio partner, rispetto all’anno passato, ha perso interesse nei confronti del sesso, contro il 15 percento delle donne.
Sebbene le persone sentano questo problema, ben il 92 percento delle donne e il 91 percento degli uomini ha comunque detto di essere ancora attratto da proprio partner, e che il calo dell’attività sessuale è dovuto a pressioni esterne, in particolare le preoccupazioni finanziarie.
Questa situazione dovuta alla crisi non stupisce i consulenti. «Quando siamo stressati il nostro corpo produce gli ormoni dello stress che possono influire molto negativamente sulla libido – spiega la dottoressa Paula Hall – Gli uomini hanno fino a 40 volte più testosterone rispetto alle donne, che dà loro un impulso sessuale molto più urgente che li porta oltre la stanchezza fisica». Cosa che invece influisce di più sulle donne, le quali hanno il doppio di probabilità di risentire della stanchezza.
«Questo non significa necessariamente che le donne sono più stanche degli uomini, ma fattori ambientali come la stanchezza e l’umore avranno più effetto sul desiderio sessuale delle donne. In più, le donne si tendono anche ad avere meno ore di sonno rispetto agli uomini», conclude Hall.
E così alla fine a rimetterci sono tutti, e la qualità della vita peggiora… come se non fosse già abbastanza dura.
[lm&sdp]
13/03/2012 - condividere il cibo alla base dell'unità di coppiaLe coppie più unite? Quelle che mangiano insieme, letteralmente
Scambiarsi il cibo è sinonimo di coppia unita, ma anche un modo per aumentare le difese immunitarie
Il condividere il cibo è visto dalle persone come una chiara indicazione che la coppia è unita e affiatata. Secondo gli scienziati, lo scambio di cibo "contaminato" migliora le difese immunitarie. Lo studio
Dividere il proprio cibo con la compagna o il compagno è indice di affiatamento e unità di coppia.
Non solo per la coppia che mette in pratica questo atteggiamento, ma anche agli occhi di chi osserva la scena, secondo quanto scoperto dai ricercatori dell’Università Clemson della California del Sud.
Immaginate quindi la scena, lei che spizzica del cibo e poi lo passa a lui, che avvicina la propria bocca e assapora quanto offertogli… Una scena che ispira tenerezza – o anche erotismo, se volgiamo – ma che agli occhi di chi osserva invia un messaggio inequivocabile: quella coppia è unita.
Non lo diciamo noi, ma uno studio pubblicato sulla rivista Appetite e condotto da un team ricercatori coordinati dal dottor Thomas Alley a cui hanno preso parte 118 volontari di entrambi i sessi.
Ai volontari i ricercatori hanno fatto visionare una serie di filmati della durata di meno di 1 minuto in cui si vedeva una coppia scambiarsi il cibo.
In alcuni di questi video era l’uomo ad alimentare con il proprio cibo la donna; in altri era la donna ad alimentare lui, sempre dopo aver prima dato un morso al cibo. In altri video lui dava a lei il cibo senza averlo morsicato; in altri così faceva la donna. Infine, in altri ancora ognuno mangiava senza dare nulla all’altro.
«La condivisione può comunicare un significato particolare se il cibo è “contaminato” dalla condivisione dei germi dell’altra persona – spiega il dottor Alley – come per esempio la condivisione di un cucchiaio o il mangiare lo stesso piccolo prodotto alimentare».
La dimostrazione che la coppia è unita ha tuttavia anche un impatto sanitario, sostengono gli autori dello studio. Infatti, il condividere insieme al cibo anche i germi contenuti nella saliva pare abbia un effetto protettivo contro alcuni virus. Questo, fanno notare i ricercatori, avviene in molte specie animali e non solo nell’uomo.
A ogni modo, al compito di valutare quanto secondo i volontari le coppie nei video fossero affiatate, attratti l’uno dall’altra e unite – con buone prospettive per il futuro – i partecipanti hanno indicato proprio le coppie che condividevano il cibo dopo averlo assaggiato. Il giudizio era lo stesso sia che a offrire il proprio cibo fosse la donna o l’uomo, con una propensione maggiore all’attrattività se a offrire il cibo fosse stato l’uomo – visto nell’immaginario collettivo come la persona che si occupa di procurare il cibo.
«I video con l’offerta di prodotti “contaminati” hanno costantemente prodotto rating più elevati circa il “coinvolgimento” rispetto a quelli che mostravano una condivisione non contaminata che, a sua volta, ha mostrato rating più elevati rispetto a quelli che non mostravano comportamenti alimentari di coinvolgimento», ha aggiunto Alley.
C’è dunque un maggiore coinvolgimento nel rapporto quando si condivide il cibo e una maggiore accettazione dell’altro. «I casi di condivisione di alimenti “contaminati” ha qualche somiglianza con la respirazione bocca a bocca, il bacio, nel senso che entrambi riflettono la volontà di accettare la “contaminazione” biologica da parte dell’altra persona», conclude Alley.
Contaminati e felici dunque.
[lm&sdp]
20 mar 2012
Medicina
19/03/2012 - le proprietà analgesiche di un'erba amazzonicaMal di denti: riscoperto un antico efficace rimedio
C'è un apianta amazzonica che fa passare il mal di denti anche se solo masticata
popolo Inca si è riscoperto un rimedio efficace nel sedare il mal di denti e trattare ascessi e ulcere. Potrebbe anche sostituire le attuali anestesie
Antichi rimedi per mali antichi – e moderni – come il mal di denti. Un male che spesso assume proporzioni difficili da gestire e che può davvero essere insopportabile.
I rimedi? Quello più immediato, un antidolorifico – ammesso che faccia effetto – e poi recarsi al più presto dal dentista.
Ma, a parte il dentista, ci sono alternative all’uso degli antidolorifici che, come tutti i farmaci, possono avere effetti indesiderati? A quanto sembra sì. Ed è pure efficace.
È una pianta tropicale conosciuta con il nome di Acmella oleracea. Altresì nota con il nome di Crescione di Para, è un piccola pianta riconoscibile dai suoi bei fiori gialli. Nella medicina tradizionale si conosce da tempo per le sue doti diuretiche, digestive e antiscorbutiche. Oggi, però, una ricercatrice dell’Università di Cambridge ne ha riscoperto l’uso come analgesico che era già in essere presso l’antica popolazione Inca.
Ad aver scoperto le proprietà di curare mal di denti, ulcere e ascessi della Acmella oleracea è stata l’antropologa Francoise Barbira Freedman che ha provato proprio su se stessa quanto questa pianta potesse essere efficace.
La dottoressa Freedman ha vissuto per un certo tempo presso una tribù che vive in Amazzonia, chiamata Lamas Keshwa. Qui, Freedman, sofferente di mal di denti ha visto scomparire il dolore in breve tempo grazie all’uso da parte dello sciamano di questo rimedio erboristico.
«Stavamo camminando attraverso la foresta pluviale, e avevo un terribile fastidio per via dei miei denti del giudizio. Uno degli uomini con me lo ha notato e ha preparato un piccolo batuffolo di piante da masticare. Il dolore se ne andò», spiega Freedman al Wall Street Journal.
Forte della sua esperienza, ora la dottoressa Freedman intende produrre un gel ricavato dai principi attivi di questa piante da immettere sul mercato a beneficio di tutti coloro che soffrono di mal di denti ma non vogliono ricorrere ai farmaci tradizionali.
La decisione è arrivata quasi per caso, dopo che un suo collega neuro-scienziato le aveva chiesto di portare con sé dall’Amazzonia alcuni campioni di piante medicinali per valutarne gli effetti nel campo della ricerca neurologica. In quel frangente, Freedman si è ricordata dell’episodio del mal di denti e dell’efficacia della Acmella oleracea. Da quel momento, la piantina è diventata l’oggetto principale della ricerca.
«Quasi come un ripensamento mi sono ricordata di includere quella [pianta] che avevo usato sui miei denti – ricorda Freedman al WSJ – E' stata aggiunta in fondo alla lista, ma in qualche modo la lista si è invertita ed è diventata la prima a essere testata nel Regno Unito. E' stato subito un successo e non ci siamo mai voltati indietro».
I test condotti hanno già offerto significativi risultati durante le prime due fasi di sperimentazioni cliniche. Il prossimo passo è la sperimentazione in fase avanzata.
Quello che la ricercatrice spera è di poter ricavare un rimedio che, per chi lo desidera, ponga fine alla dipendenza dagli analgesici e anestetici presenti sul mercato in forma chimica. Diventerebbe così un’alternativa naturale agli antidolorifici e anche alle iniezioni per l’anestesia utilizzare in odontoiatria.
«Questo trattamento per il mal di denti significa che potremmo anche vedere la fine di alcune pratiche come le iniezioni in chirurgia dentistica», conclude Freedman.
[lm&sdp]
16 mar 2012
Pulci: un pericolo per il cane, il gatto e la casa
LE PULCI
Le pulci adulte sono piccoli insetti bruni schiacciati lateralmente e privi di ali, talvolta visibili mentre corrono attivamente attraverso il mantello dei nostri animali, in particolare nelle zone dove il pelo è più rado, come le aree ventrali del corpo, le zampe, il collo e la testa.
Un luogo comune da sfatare è che le pulci siano presenti solo sull’animale. In realtà gli insetti adulti che vivono sull’ospite, rappresentano una piccola parte (5%) della popolazione globale. Oggi si stima che per ogni pulce adulta presente sull’animale ci siano decine di forme immature (uova, larve o pupe) disperse nell’ambiente in cui esso vive, e che le forme immature rappresentino il 95% dell’intera popolazione delle pulci.
L'infestazione da pulci riguarda sia gli animali sia l’ambiente in cui vivono, come le abitazioni dei loro proprietari.
Gli animali aggrediti dalle pulci diventano inevitabilmente dei veicoli sia trasmettendole ad altri cani e gatti che coabitano sia rilasciando le uova (attraverso ad es. la perdita di pelo) nell’ambiente domestico.
Quali sono i problemi legati all’infestazione da pulci
Le punture sono causa di deperimento e anemia ma in soggetti predisposti possono sviluppare reazioni allergiche dovute alla sensibilizzazione dell’ospite ad alcune componenti della saliva della pulce. In questi casi, poche punture sono sufficienti ad scatenare una violenta crisi pruriginosa che si manifesta con mordicchiamento, grattamento e leccamento nelle aree dorso lombari, inguine, addome, cosce, collo escoriazioni e un progressivo diradamento del mantello.
Da non trascurare la possibilità che hanno le pulci di veicolare malattie, come la Bartonellosi,
Quando a essere vittime dei parassiti sono cuccioli e gattini una forte anemia può rivelarsi particolarmente pericolosa. Così come per loro può rivelarsi molto dannoso il Dipylidium caninum, un verme piatto della famiglia delle Tenie di cani e gatti, spesso trasmesso dalle pulci, che si insedia nell'intestino dei cuccioli, causando diarrea, dimagramento e debilitazione.
Oggi possiamo proteggere efficacemente i nostri cani, gatti e la casa in cui vivono
Di recente sono stati messi in commercio preparati di comprovata efficacia e sicurezza, contenenti in combinazione una molecola adulticida e un inibitore della crescita degli insetti Sono prodotti disponibili in pipette applicabili sulla pelle tra le scapole dell’animale.
Zecche: nate per trasmettere malattie
Comincia la stagione della prevenzione
LE ZECCHE
Si tratta di piccoli aracnidi marroni o grigi non dotati di ali ma capaci di arrampicarsi su piante e animali. Vivono generalmente nei prati e nei boschi, aggredendo i loro ospiti mentre passeggiano all’aperto. Una volta raggiunta la preda si fissano alla sua pelle mediante una sorta di rostro e iniziano a succhiarne il sangue. Reperire le zecche sul corpo di cani e gatti è semplice: accarezzandoli si percepiscono piccoli rilievi cutanei duri e rotondeggianti che ad una attenta osservazione risultano dotati di zampe.
Ecologia del parassita
L'attività parassitaria delle zecche comincia in funzione della stagione, con un picco durante la primavera o l'estate. Ciò non esclude un'attività invernale, anche se solo temporanea, quando il clima diviene più mite.
Vita parassitaria
Scelta della sede del pasto
Una volta sull'ospite, la zecca si sposta in cerca di una zona ideale per nutrirsi. Si tratta in genere di aree a cute sottile come orecchie, superficie interna degli arti, scroto, mammelle ecc.
Scelto il posto, penetrano con il loro pungiglione e cominciano il pasto di sangue che dura da 4 a 7 giorni.
Gli agenti patogeni vengono trasmessi solo 48 ore dopo l’inizio del pasto di sangue
Quali i problemi
Le zecche possono causare disturbi di vario genere, dall'anemia grave a fenomeni edematosi e pruriginosi nei punti d’inoculo. La conseguenza più grave, specie se si ha un contatto prolungato con il parassita, resta l’inoculazione e la trasmissione di molteplici microrganismi responsabili di gravi malattie. Naturalmente anche in questo caso i cuccioli ed i gattini, che hanno difese immunitarie meno consolidate rispetto agli adulti, subiscono i danni più gravi.
Nel cane le malattie più importanti trasmissibili sono:
La Piroplasmosi o Babesiosi, L'Ehrlichiosi,
L'Hepatozoonosi,
Nel gatto, oltre che nel cane, può comparire l'emobartonellosi,
SI POSSONO PROTEGGERE AGENDO SU PIÙ FRONTI
Diversi prodotti sono oggi in commercio che oltre a provvedere a una prima eliminazione di pulci e zecche, continua a svolgere la sua azione antiparassitaria per almeno 30 giorni.
12 mar 2012
Frutti di bosco per ritrovare la memoria
I frutti di bosco possono essere d'aiuto nel prevenire il declino cognitivo
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i frutti di bosco può aiutare a prevenire la perdita di memoria legata all’avanzare dell’età
I ricercatori americani della Tufts University hanno dimostrato che i frutti di bosco possono essere benefici per il cervello e un aiuto preventivo per contrastare la perdita di memoria e il declino cognitivo con il passare degli anni.
La dottoressa Barbara Shukitt-Hale, insieme al collega Marshall G. Miller, hanno pubblicato i risultati di un loro studio revisionale sull’ACS Journal of Agricultural and Food Chemistry, in cui si evidenzia come la possibilità di prevenire il declino cognitivo permetta non solo alle persone di vivere meglio, ma abbia anche dei riflessi positivi sulla spesa sanitaria sempre più gravata dall’aumento di patologie come la demenza e l’Alzheimer.
I due scienziati hanno preso in rassegna un mole di studi riguardanti gli effetti delle bacche e condotti sia su modello animale che in laboratorio, oltre che sull’uomo.
Dall’analisi degli studi i ricercatori hanno concluso che i frutti di bosco aiutano il cervello a restare in buona salute, e lo fanno in molti modi. Per esempio, apportando buoni livelli di antiossidanti a protezione dall’attacco dei radicali liberi e altri nemici della salute. Poi, si sono notati dei benefici a livello neuronale: le sostanze contenute nei frutti di bosco prevengono l’infiammazione e proteggono i neuroni dai danni, agendo beneficamente sul controllo motorio e cognitivo da parte del cervello.
Questa prima fase del loro studio revisionale ha messo in luce i possibili vantaggi derivanti dall’assunzione dei frutti di bosco. Il prossimo passo sarà quello di stabilire se i benefici sono offerti dai singoli composti presenti in tutte le varietà di bacche o se sono dovuti a combinazioni di questi. Si tratta dunque di approfondire per comprendere meglio come agiscono queste sostanze e se vi siano differenze tra un frutto e l’altro.
Mentre aspettiamo altre notizie dagli scienziati, possiamo tranquillamente mangiarci i frutti di bosco senza troppi sacrifici, perché in realtà è proprio un piacere tanto sono buoni. Se poi sappiamo che ci fanno anche bene…
[lm&sdp]
8 mar 2012
Medicina naturale
28/02/2012 - i composti chimici del rosmarino interagiscono con il cervelloInebriamoci di Rosmarino: migliora l’umore e le prestazioni mentali
Il rosmarino piò migliorare l'umore e le prestazioni mentali
L'odore di rosmarino agisce sulle funzioni cerebrali migliorando le performance e anche l’umore. Lo studio
Prima ancora che in cucina, il rosmarino, era conosciuto nell’antichità per le sue proprietà medicinali. Addirittura scaccia malattie, tanto che si usava bruciarlo a mo’ d’incenso per combattere le pestilenze. Ma come detto i pregi del rosmarino noi li apprezziamo proprio soprattutto in cucina, nel suo tipico uso per rendere più fragranti certi piatti. Ed è proprio il suo profumo, o aroma, che sprigiona dal semplice strofinare le foglie o a contatto con il calore che uno studio ha analizzato. Ma lo ha fatto per comprendere come questo agisse sul cervello, anziché, per così dire, sullo stomaco.
E, ad aver scoperto che il profumo di rosmarino può agire sull’umore e sulle performance mentali sono stati i ricercatori Mark Moss e Lorraine Oliver del Brain, Performance and Nutrition Research Center presso la Northumbria University (Uk).
Gli scienziati hanno utilizzato per il loro studio l’1,8 Cineolo, un composto presente in buona quantità nell’essenza di rosmarino, ma anche in quelle di eucalipto e cajeput. Questo composto chimico è stato testato su un gruppo di 20 volontari per valutarne gli effetti sull’umore e le prestazioni mentali in base all’esposizione di diverse intensità di aroma.
A livello fisico, per valutare la quantità di 1,8 cineolo assorbito dai partecipanti, sono stati eseguiti degli esami del sangue.
I risultati dei test cognitivi, sull’umore e quelli del sangue hanno così mostrato una correlazione tra i livelli di 1,8 cineolo nel sangue e l’azione sull’umore e le prestazioni mentali. Gli effetti, hanno scoperto i ricercatori, erano inversamente proporzionali, ossia più vi era concentrazione di 1,8 cineolo nel sangue, migliori erano le prestazioni mentali che si mostravano sia nella velocità di esecuzione dei test che nella precisione.
Anche se meno accentuata di quella sulle performance, si è vista anche un’azione benefica sull’umore dei partecipanti, derivata dall’aroma del rosmarino.
Altro dato interessante trovato dagli autori dello studio è che l’azione di queste sostanze chimiche avviene in diversi percorsi neurochimici, in quanto si ottenevano diverse risposte sulle prestazioni mentali e sull’umore in base alla concentrazione dell’1,8 cineolo nel sangue.
A un’ulteriore valutazione dell’azione sull’attenzione e la vigilanza, il composto non ha mostrato significative connessioni.
«Soltanto la felicità aveva una relazione significativa con i livelli di 1,8-cineolo, e interessavano alcuni dei risultati delle performance cognitive, che porta al suggerimento intrigante che lo stato d’animo positivo può migliorare le prestazioni, mentre l’umore suscitato no», spiega il dottor Moss.
Alla base di questa influenza sul cervello da parte delle molecole aromatiche si ritiene vi sia la loro capacità di attraversare la barriera emato-encefalica. Questo avviene per mezzo dell’ingresso nel flusso sanguigno dell1,8 cineolo attraverso la mucosa nasale o polmonare.
Ecco dunque perché certe sostanze, anche solo odorate, possono avere effetti sul corpo e la mente.
[lm&sdp]
- lo yoga contro i disturbi correlati allo stressLo Yoga, un “rimedio” completo contro ansia, stress, depressione e perfino malattie cardiache
La prarica dello yoga può essere un'integrazione delle terapie tradizionali nel combattere diverse comuni malattie, sostiene un nuovo studio
L’antica, ma sempre più attuale, disciplina orientale è risultata efficace contro tutta una serie di disturbi collegati sia alla sfera psicologica che fisica, causati dallo stress
Lo yoga tuttofare, si potrebbe dire. Tanto che secondo uno studio revisionale può essere utile in moltissimi casi: dall’ansia allo stress, dalla depressione all’ipertensione fino alle malattie cardiache. Un vero e proprio en plein.
Ad aver suggerito che lo yoga è come una sorta di panacea per mente e corpo è stato un team di ricercatori della Boston University School of Medicine (BUSM), del New York Medical College (NYMC), e del Columbia College of Physicians and Surgeons (PCC), i quali hanno condotto uno studio revisionale i cui interessanti risultati sono stati pubblicati sulla versione online del Medical Hypotheses.
Imputato di essere la possibile causa di problemi mentali quali ansia, depressione altri ancora, è lo stress. Ma gli effetti dello stress non si fermano alla sola sfera mentale, ma ricadono inevitabilmente anche in quella fisica causando dolori, ipertensione, problemi cardiaci e quant’altro.
Quanto scoperto dagli scienziati potrà essere d’aiuto nello sviluppo di pratiche mediche complementari atte ad agire sia sulla mente che sul fisico per la prevenzione e il trattamento di tutti questi disturbi e patologie. Le pratiche yoga potrebbero così essere utilizzate in concomitanza dei trattamenti standard.
L’ipotesi più accreditata è che lo stress causi uno squilibrio del sistema nervoso autonomo e una ridotta attività del neurotrasmettitore inibitorio, gamma-ammino butirrico (GABA). Questo tipo di squilibrio ha i suoi effetti sull’intero organismo: una bassa attività di GABA si è infatti riscontrata nei disturbi d’ansia, nel disturbo da stress post-traumatico, nella depressione, nell’epilessia e anche nel dolore cronico.
La possibilità dunque di ristabilire questo equilibrio e prevenire in seguito gli effetti negativi dello stress è la sfida per prevenire e trattare tutta questa gamma di problematiche.
«La medicina occidentale e orientale si integrano l’un l’altra. Lo yoga è noto per migliorare gli squilibri del sistema nervoso dovuti allo stress – spiega Chris Streeter, professore associato di psichiatria presso la BUSM e il Boston Medical Center, e autore principale dello studio – Questo documento fornisce una teoria, basata sulla neurofisiologia e la neuroanatomia, per capire come lo yoga aiuti i pazienti a sentirsi meglio e alleviare i sintomi di molte comuni malattie».
In un precedente studio si era mostrato come vi fossero differenze nell’attività del GABA in due gruppi di persone che si erano rispettivamente dedicate a delle sessioni di yoga o delle semplici passeggiate. Nel gruppo yoga si è vista aumentare l’attività GABA con conseguente miglioramento dei sintomi ansiosi in un caso, e una riduzione del dolore lombare cronico in un altro, rispetto al gruppo di controllo che aveva soltanto passeggiato.
L’ipotesi che lo stress possa pertanto avere un ruolo nel manifestarsi di diverse condizioni mediche sia psicologiche che fisiche, porta i ricercatori a valutare l’importanza di far lavorare in sinergia le pratiche mediche tradizionali con le terapie a base di yoga. E se i risultati sono incoraggianti è indubbio che si possa proseguire nello studiare gli effetti sulla salute globale di queste tecniche, ancora da molti considerate alla stregua di una qualsiasi ginnastica priva di effetti terapeutici.
[lm&sdp]
5 mar 2012
- più ottimisti, motivati e di buonumore con frutta e verduraMangiare vegetariano fa bene all’umore
Favorendo alimenti vegetali nella propria dieta si favorisce anche il buonumore
Con il “mood food” torna il buonumoreTristezza, poca volontà e motivazione possono essere superate se si dà più spazio ai vegetali nella propria dieta. Lo studio
Senza dover diventare per forza dei fanatici o sposare una qualche dottrina, si può scegliere con sano egoismo di far prevalere nella propria dieta alimenti vegetali in modo da promuovere non solo la salute fisica, ma anche quella mentale – soprattutto per quel che riguarda l’umore.
Ecco quanto suggerisce uno studio pubblicato sul Nutrition Journal che ha messo a confronto gli effetti sull’umore di una dieta tradizionale comprensiva di carne e pesce con una dieta vegetariana.
A condurlo sono state due ricercatrici, la dottoressa Bonnie L. Beezhold, del Dipartimento di Nutrizione della Benedictine University (Illinois – Usa) e la dottoressa Carol S. Johnston della School of Nutrition and Health Promotion dell’Arizona State University (Usa), le quali hanno coinvolto 39 volontari onnivori – che consumavano carne o pesce almeno una volta al giorno – poi suddivisi a caso in tre gruppi.
Gli appartenenti al primo gruppo avrebbero continuato a seguire la propria dieta comprendente pesce o carne almeno una volta al giorno; gli appartenenti al secondo gruppo avrebbero dovuto mangiare, oltre agli altri alimenti soliti, soltanto del pesce, e non la carne, per 3 o 4 volte a settimana. Infine, quelli del terzo gruppo avrebbero dovuto cibarsi soltanto di alimenti vegetali. I test sono durati due settimane in tutto.
Durante il periodo di studio, i partecipanti dovevano compilare un questionario in cui riportare la variazioni d’umore. Al tempo stesso si tenevano sotto osservazione i livelli di assunzione di acidi grassi essenziali – come EPA e DHA che fanno parte degli omega-3 – che sono forniti da alimenti come il pesce, e i livelli di acidi a lunga catena tipo l’acido arachidonico (AA) che fa parte degli omega-6.
Come preventivato, nei soggetti che seguivano la dieta vegetariana i livelli degli acidi grassi a catena lunga AA sono scesi, tuttavia a livelli trascurabili. Al contrario, nei soggetti che assumevano il pesce, e non la carne, si è mostrato un incremento di EPA/DHA. Infine, negli appartenenti al gruppo che mangiava di tutto, e sia pesce che carne, non si sono rilevate differenze nell’assunzione degli acidi grassi.
«Per quel che ne sappiamo – scrivono le autrici dello studio – questo è il primo studio a esaminare l’impatto di una dieta restrittiva di pesce, pollame e sullo stato d’animo delle persone onnivore». E i risultati mostrano proprio che una modifica della dieta può produrre modifiche sull’umore.
I soggetti che avevano seguito la dieta vegetariana hanno riportato un miglioramento dell’umore, rispondendo anche meglio agli stimoli dello stress, rispetto agli onnivori.
Questo fenomeno, secondo le ricercatrici, può essere ravvisato nell’azione antiossidante offerta dai vegetali, che agisce beneficamente sull’umore, e anche nella mancata assunzione degli acidi grassi omega-6.
«La ricerca mostra che un elevato consumo di AA promuove cambiamenti nel cervello che possono disturbare l’umore», concludono le autrici dello studio, suggerendo che l’ideale è promuovere una dieta equilibrata e sana.
[lm&sdp]
1 mar 2012
I vegetariani in cura possono assumere, senza saperlo, sostanze di origine animale
In alcuni farmaci ci possono essere nascosti ingredienti di origine animale che non sono graditi dai vegetariani
farmaci non esenta dall’assumere insieme a questi anche sostanze di origine animale che i vegetariani, o più ortodossi vegani, in genere rifiutano. Tuttavia accade che, spesso inconsapevolmente, ci si trovi a ingerire medicinali che contengono eccipienti di origine animale
Chi segue una dieta vegetariana, o per meglio dire vegana, rifiuta a priori tutte quelle sostanza di derivazione animale. Non solo per quel che riguarda il cibo ma, in teoria, tutto ciò che è di origine animale: che sia abbigliamento, accessori, detergenti... e, sempre in teoria, anche farmaci.
Diciamo “in teoria” perché spesso accade che inconsapevolmente anche il vegano possa utilizzare sostanze di origine animale. Questo perché in molti casi nell’etichetta non sono elencati nel dettaglio i componenti di un certo prodotto, come nel caso dei farmaci – oggetto di un’indagine di cui dà notizia il British Medical Journal che è stata pubblicata online sul Postgraduate Medical Journal.
I risultati della ricerca hanno evidenziato la necessità che nell’etichetta o nel “bugiardino” dei farmaci siano indicati tutti gli ingredienti di un farmaco nel dettaglio. Difatti, fanno notare gli autori dello studio, i cosiddetti eccipienti in genere sono la grande maggioranza degli ingredienti che compongono il farmaco. Il principio attivo è contenuto in minore misura rispetto agli addensanti, i leganti, i dolcificanti, gli agenti rivestimento, la gelatina eccetera.
Ed è proprio la gelatina quella maggiormente sospettata di contenere sostanze di origine animale. Questa è in genere utilizzata sia come addensante che come rivestimento. Un tipo di farmaco poi che si presta maggiormente all’uso della gelatina è quello destinato ai disturbi urinari, o urologici.
Indagando sull’assunzione di farmaci da parte di 500 pazienti affetti ma problemi urologici, gli autori della ricerca hanno scoperto come vi fossero differenze di opinione nei confronti dei farmaci che contenessero elementi di origine animale.
Delle persone intervistate, 200 hanno riferito di non assumere alimenti di origine animale. Tuttavia, oltre la metà dei partecipanti (il 56,5%) stava usando dei farmaci. Di questi, 75 stavano assumendo la bellezza di 87 tipi diversi di farmaci in totale.
Dei duecento vegetariani, l’88% ha dichiarato che preferirebbe non dover assumere medicinali che contengano elementi di origine animale. Uno su dieci ha dichiarato che non importava, quando è una questione di salute. Allo stesso modo, circa il 57% degli intervistati ha ammesso che avrebbe anche assunto un farmaco con elementi di origine animale se non vi fossero state alternative.
Per contro, il 43% non l’avrebbe di certo fatto consapevolmente.
Un elemento interessante emerso dall’indagine è che soltanto un paziente su cinque ha ammesso di aver chiesto – o avrebbe chiesto – al proprio medico o farmacista se il farmaco prescritto contenga elementi di origine animale.
Infine, gli uomini sono risultati più possibilisti nel “tradire” le proprie credenze nei confronti della dieta per curarsi comunque, rispetto alle donne.
Gli autori dello studio concludono che sono moltissimi i farmaci che utilizzano la gelatina, la cui origine e uso non è facilmente identificabile. Per tale motivo sarebbe necessaria più trasparenza per offrire una possibilità di scelta a chi non vuole assumere prodotti contenenti elementi di origine animale.
[lm&sdp]
- scoperto un collegamento tra la corteccia cerebrale visiva e il senso dell'olfattoI sensi sono tutti collegati: con gli occhi si possono sentire gli odori
Stimolando la corteccia visiva pare si possano percepire meglio gli odori
della corteccia cerebrale legata alla vista può migliorare la percezione degli odori. Lo studio
In certi casi, un senso non esclude l’altro. Ed ecco che si attiva una una sorta di collaborazione nel migliorare le prestazioni. Per esempio, un team di ricercatori americani ha scoperto che stimolando la corteccia del cervello preposta alla vista si poteva migliorare la percezione degli odori che, come si sa, è una caratteristica di un altro senso, ossia quello dell’olfatto.
Pubblicato sul Journal of Neuroscience, lo studio in questione è stato condotto da un gruppo di ricercatori del The Neuro - Montreal Neurological Institute and Hospital, la McGill University e il Monell Chemical Senses Center di Philadelphia. Lo scopo era quello di comprendere meglio se e come i sensi fossero collegati l’uno con l’altro.
«E' noto che vi sono aree cerebrali separate specializzate per i diversi sensi come la vista, l’olfatto, tatto e così via, ma, quando si sperimenta il mondo intorno a noi, si ottiene un quadro coerente, basato su informazioni provenienti da tutti i sensi – spiega il coordinatore dello studio, dottor Christopher Pack – Volevamo scoprire come funziona nel cervello. In particolare abbiamo voluto mettere alla prova l’idea che l’attivazione delle regioni cerebrali principalmente dedicate a un certo senso potrebbero influenzare l’elaborazione in altri sensi. Quello che abbiamo scoperto è che stimolare elettricamente la corteccia visiva migliora le prestazioni in un compito che richiedeva ai partecipanti di identificare l’odore strano in mezzo a un gruppo di tre».
I partecipanti allo studio sono stati sottoposti a una serie di test che prevedevano la Stimolazione Magnetica Transcranica (TMS) in modo da valutare come la stimolazione della corteccia visiva influenzasse il senso dell’olfatto. Questo tipo di metodica è utilizzata già nel trattamento di alcuni disturbi e per stimolare la visione.
I test olfattivi in questione venivano eseguiti prima e dopo la stimolazione per poterne valutare gli effetti.
I risultati ottenuti dai ricercatori con questi test mostrano, per la prima volta, che nelle persone le strutture cerebrali coinvolte nei diversi sensi a livello base sono davvero interconnesse più di quanto si pensasse, si legge nel comunicato McGill.
«Questo “cross-wiring” [connessione] di sensi è stato descritto nelle persone con sinestesia, una condizione in cui la stimolazione di un senso porta ad automatiche, involontarie esperienze in un secondo senso, provocando per esempio il vedere il colore dei numeri, sentire o l’odore delle parole, o udire gli odori – spiega Johan Lundstrom del Monell – Ora, questo studio mostra che cross-wiring dei sensi esiste in ognuno di noi, in modo da poter essere tutti considerati a un livello sinestetico».
Un dato interessante emerso dallo studio è che non sono stati trovati riscontri di connessione tra il sistema olfattivo e uditivo. In questo modo il senso della vista assume un ruolo primario e speciale nel legare insieme le informazioni ricevute dai vari sensi. Ruolo che è ancora oggetto di studio da parte dei ricercatori.
[lm&sdp]
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