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3 nov 2011


Calo di zuccheri: dolci sapori, piaceri e dolori

Gli zuccheri, da piccoli erano la nostra ricompensa per una buona azione, da adulti continuano a coprire un ruolo di gratificazione personale, per tirarsi un po’ su. Uno studio spiega i collegamenti tra l’insulina e precise reazione dei neuroni



Bologna, 1 novembre 2011 - Cioccolata, caramelle, chewing gum e liquerizie. Dolciumi spesso usati dagli adulti per gratificare il bambino quando lo merita. Una vecchia lettura psicologica sosteneva che questo premio, ripetuto nel tempo, instaurasse un vero riflesso condizionato che ha poi contributo a far esplodere il fenomeno del sovrappeso.



Come nel famoso esperimento di Pavlov il cane a forza di ascoltare il tintinnio della campanella che preannuncia il pasto si comporta come se la ciotola fosse piena quando sente il rumore della campanella, così il consumo di alimenti dolci rievoca quelle emozioni che abbiamo vissuto quando siamo stati particolarmente diligenti e per questo premiati. Sentimenti che in molti casi risultano un sostegno fondamentale in una società così avida di riconoscimenti positivi.



Una recente ricerca condotta da un gruppo di ricercatori coordinati dalla dottoressa Jens Bruning del Max Plank Institut in parte smentisce questa teoria e giustifica questo sentimento di appagamento attribuendo all’insulina una precisa azione sui neuroni del nostro cervello. Quando nel nostro corpo introduciamo il glucosio, o un suo derivato come lo zucchero da cucina, il comune saccarosio, le isole del Langerhans che sono situate nel pancreas ricevono il segnale di liberare in circolo l’insulina, un ormone che facilita l’entrata del glucosio all’interno delle cellule, in particolare quelle che compongono il fegato.



Nel cervello l’insulina ha l’effetto di liberare la dopamina, un neurotrasmettitore direttamente coinvolto nei meccanismi della ricompensa positiva. In altre parole ci si sente “bravi e diligenti” come il bambino premiato, quando si consumano dolci o il semplice caffè eccessivamente zuccherato. Le ricerche della dottoressa Bruning aiutano a spiegare diversi fenomeni della vita quotidiana, ad esempio, come mai si consumi un dolce alla fine di un pasto sebbene ci senta già sazi.



Che il glucosio abbia una stretta attinenza anche con la salute del cervello e della mente è dimostrato anche da altre ricerche. Il neurobiologo Aurelio Galli, della Vanderbilt University Medical Centre ha condotto uno studio che lega strettamente la carenza di insulina con l’insorgenza di comportamenti simili a quello della schizofrenia nelle cavie. La carenza di insulina viene indotta facendo consumare al roditore una dieta ricca di saccarosio, fino a quando il suo pancreas non iniziava ad essere stanco ed usurato e a produrre una quantità inferiore dell’ormone. Gli epidemiologi da tempo hanno registrato come la sostituzione del miele con il saccarosio come dolcificante, avvenuto all’incirca alla fine del 17simo secolo, sia coinciso con un incremento dei disturbi dell’umore e di malattie psichiatriche ben più gravi.



Gli studi della dottoressa Jens Bruning o del dottor Aurelio Galli non bastano a spiegare questo fenomeno. Infatti, anche il miele contiene saccarosio, che altro non è che se non la fusione del glucosio con il fruttosio. La differenza tra i due dolcificanti probabilmente risiede nelle vitamine (complesso B, C, E e K) che sono contenute nella sostanza prodotta dalle api. I biologi del Walter and Eliza Hall Medical Research Istitute Melbourne hanno constatato in più studi che le vitamine B3 (niacina), C ed E consentono alle nostre cellule di captare glucosio presente nel sangue utilizzando vie alternative rispetto a quelle attivate dall’insulina. In questo modo si abbassano i livelli dell’ormone in circolo e questo, oltre a prevenire l’insorgenza del diabete, garantirebbe una migliore attività psichica del cervello.

di Massimo Selleri

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