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Benvenuti in PARLIAMO DI SALUTE

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Sarà affrontato anche il campo delle medicine alternative e della psicoanalisi.



Pubblicheremo inoltre interessanti articoli di storia della medicina.

28 ott 2011




ALIMENTAZIONE

Un piatto di legumi
invece della bistecca. E il cuore ringrazia

Le proteine vegetali sono utili per la prevenzione


Lenticchie invece della bistecca: è meglio per il cuore
MILANO - Che le proteine siano importanti è fuori dubbio. Spesso però ne mangiamo troppe, soprattutto di quelle di origine animale a scapito delle proteine vegetali (fornite, ad esempio, da ceci e lenticchie). E questo non è consigliabile. Lo confermano diversi studi, come quelli considerati in un recente articolo pubblicato su Current Athero-sclerosis Reports: queste ricerche suggeriscono complessivamente che le proteine vegetali abbiano un impatto più favorevole rispetto a quelle animali nei confronti di malattie cardiache, diabete di tipo 2, pressione sanguigna. Anche se poi molto dipende dalle fonti. Per esempio, in alcuni studi su popolazioni asiatiche, il consumo di proteine animali (soprattutto da prodotti della pesca) è risultato inversamente associato con la pressione sanguigna.

La ricetta della salute: Farinata (o torta) di ceci

E in uno studio (pubblicato su Circulation) relativo a più di 80 mila donne americane, mentre un elevato consumo di carne rossa è risultato associato con un aumentato rischio di malattia coronarica, questo si riduceva sensibilmente quando la scelta ricadeva su fonti proteiche diverse, sia di origine vegetale che animale: sostituendo una porzione di carne rossa al giorno con una di frutta secca oleosa il rischio si riduceva del 30%, col pesce del 24%, col pollame del 19%, con prodotti lattiero caseari magri del 13%. Allora, come comportarsi?

Risponde Laura Rossi, ricercatrice dell’Istituto nazionale ricerche alimenti e nutrizione (Inran): «Le proteine vegetali sono state molto rivalutate dalla ricerca scientifica, ma non per questo vanno demonizzate quelle di origine animale, di cui è nota l’elevata qualità. Inoltre, prevedere nella dieta anche fonti proteiche animali, come carni magre, pesci, uova, prodotti lattiero caseari, rende più facile soddisfare i fabbisogni di altri nutrienti, come il ferro e il calcio. I nostri consumi proteici medi vanno però ridimensionati: un primo obiettivo ragionevole può essere di apportare con le proteine il 15%, o anche meno, delle calorie della dieta, rispetto all'attuale 17%». E con quale ripartizione fra proteine vegetali e animali? «Con una proporzione del 50% di proteine di origine animale e 50% di origine vegetale — dice l’esperta —. E a proposito di proteine, nelle raccomandazioni nutrizionali (Larn) di prossima pubblicazione aumenteranno un po’ i livelli di assunzione raccomandati per l'adulto (da 0,9 a 1 grammo di proteine/kg di peso corporeo al giorno), mentre saranno ridimensionati quelli dei bambini di circa un 30 per cento».

C. F.
27 ottobre 2011 16:04

lo studio


Le sigarette sono radioattive
e l’industria lo sapeva

Il polonio 210 è un componente del fumo di tabacco, nemico noto ma taciuto


Sigarette radioattive: contengono polonio 210
MILANO - Pochi sanno che tra le circa 4.000 sostanze aspirate con le sigarette, almeno una cinquantina delle quali certamente tossiche o cancerogene, ce ne sono anche di radioattive. Ma il fatto sconvolgente, denunciato dai ricercatori dell’Università di Los Angeles su Nicotine and Tobacco Research è la reticenza a rendere noto questo particolare di cui le aziende sarebbero a conoscenza da molti anni.

UNA RICERCA – INCHIESTA - Qualcosa, cioè che nelle sigarette c’è anche polonio radioattivo, era già di dominio pubblico, ma si trattava solo della punta dell’iceberg. «Fin dagli anni ’50 l’industria del tabacco aveva raccolto e secretato nei suoi archivi le prove di ciò che la presenza di questa sostanza significasse per la salute. Era giunta a quantificare il rischio a lungo termine: ogni 1.000 fumatori abituali sono almeno 120 i morti in più ogni anno per tumore del polmone che si possono attribuire direttamente all’emissione radioattiva» sostiene Hrayr Karagueuzian, primo firmatario dello studio. «Ma solo nel 1998 è risultato chiaro che le informazioni fornite dall’industria del tabacco sono state per decenni fuorvianti e incomplete e solo le nostre successive verifiche hanno confermato la dimensione del rischio» precisa l’esperto.

IL POLONIO - Si chiama polonio 210 l’elemento radioattivo naturalmente presente sulle foglie del tabacco. È una vecchia conoscenza per i fisici: basti pensare che deve il suo nome a Marie Skłodowska Curie, due volte premio Nobel per la fisica e per la chimica grazie alle sue ricerche sulla radioattività, nata a Varsavia e naturalizzata francese in seguito al matrimonio con il collega Pierre Curie. I due scienziati isolarono il polonio nel 1902 e ne descrissero le caratteristiche: fa parte della catena del decadimento dell’uranio, è volatile (proprio come il fumo), ha una notevole attività ed emette particelle alfa. «Studiando medicina si impara che le particelle alfa hanno una bassa capacità di penetrazione nei tessuti e raggio di azione corto, cioè i loro effetti si esauriscono a brevissima distanza dal punto in cui si depositano. Tali caratteristiche rendono queste particelle adatte per alcuni tipi di radioterapia locale (danneggiano per esempio cellule tumorali circostanti), ma è tutt’altro che tranquillizzante immaginare un parallelo tra questa applicazione terapeutica e il loro arrivo, se veicolate dal fumo di sigaretta, sul tessuto polmonare sano» è il commento di Alessandro Oliva, specialista in Malattie dell’Apparato Respiratorio dell’Ospedale Mauriziano di Torino «Oltre tutto la loro emissione si attenua piuttosto lentamente: ci vogliono circa quattro mesi perché l’attività si dimezzi, un tempo considerato breve dai fisici che ragionano in termini di anni e a volta di secoli o millenni, ma decisamente lungo in un’ottica medica».

LA SOLUZIONE CI SAREBBE, MA … - Gli autori dello studio rincarano il loro atto di accusa riferendo che fin dal 1980 è stata messa a punto una tecnica di trattamento del tabacco in grado di rimuovere il polonio e di rendere le sigarette inoffensive, almeno sul fronte dell’emissione radioattiva. Tuttavia, denuncia Karagueuzian: «Questo “lavaggio del polonio” non è mai stato applicato su scala industriale perché parallelamente modificherebbe chimicamente la nicotina e ne ridurrebbe l’assorbimento a livello cerebrale, e con esso quel momento di gratificazione per il fumatore definito nicotine kick, in qualche modo legato anche allo sviluppo della dipendenza». Manco a dirlo, pare che l’industria del tabacco abbia invece, proprio a cavallo tra gli anni settanta e ottanta, investito in ricerche che consentissero di individuare la forma chimica della nicotina più adatta a garantire un rapido assorbimento. E la messa a punto di una lavorazione del tabacco mirata a questo scopo ha, si dice, fatto la fortuna dei grandi marchi, ma nello stesso tempo ha forse posto le basi per rendere più facile la dipendenza e più difficili i tentativi di smettere.

Maria Rosa Valetto
27 ottobre 2011

26 ott 2011


Pressione alta? Meglio curarsi di sera

Per avere una maggiore efficacia dei farmaci contro l'ipertensione pare sia meglio assumerli alla sera, suggerisce un nuovo studio
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+ Gli effetti degli antiossidanti sull’uomo e la saluteAssumere i farmaci anti-ipertensivi nelle ore serali, piuttosto che al mattino. riduce del 50% il rischio di ictus. Lo studio
Si stima che siano oltre 10 milioni gli italiani affetti da ipertensione arteriosa. E se queste cifre paiono inquietanti già di per sé, quello che molti non sanno è che vi sono migliaia di persone che sono ipertese senza esserne a conoscenza. Almeno fino a quando non si verifica un evento cardiaco.

Comunque sia, il lato positivo è che i farmaci per tenere sotto controllo questa piaga moderna esistono da tempo e sembrano agire anche discretamente bene sulla maggior parte delle persone. Efficacia che, si scopre oggi, pare essere migliore soprattutto se assunti nelle ore serali. Questo è quanto asserisce uno studio pubblicato due giorni fa sul Journal of the American Society of Nephrology (JASN).

Da questo nuovo studio si scopre che le gravi conseguenze da ipertensione, come ictus e attacchi di cuore, possano essere prevenute drasticamente attraverso l’assunzione serale dei tradizionali farmaci, anziché al mattino – come molte persone usano fare.
Da tempo si sa che l’ora in cui i farmaci vengono assunti può influenzare in modo positivo o negativo l’efficacia del medicamento. Per tale motivo lo studio, coordinato dal dottor Ramón Hermida dell’Università di Vigo in Spagna, ha voluto esaminare su oltre 600 pazienti affetti da ipertensione e malattie renali la differenza di efficacia tra i farmaci assunti nelle ore diurne e quelli assunti nelle ore serali.

La ricerca è durata oltre cinque anni e ha potuto dimostrare che i pazienti che assumevano la pastiglia anti-ipertensiva la sera avevano meno probabilità di andare incontro a eventi spiacevoli come ictus e infarti. Inoltre, la mattina, quando si svegliavano avevano la pressione più bassa rispetto a chi assumeva il farmaco prima o dopo la colazione.

«I nostri risultati indicano che i tassi di eventi cardiovascolari nei pazienti con ipertensione possono essere ridotti di oltre il 50%, a costo zero, utilizzando la strategia di somministrazione dei farmaci che abbassano la pressione prima di andare a letto piuttosto che alla mattina», spiega Hermida. «Questo studio documenta per la prima volta che la pressione sanguigna durante il sonno è il marcatore più rilevante e indipendente del rischio cardiovascolare », conclude il ricercatore.
Ecco dunque un buon motivo per provare a cambiare le proprie abitudini – prima però parlatene magari con il vostro medico curante.
[lm&sdp]

24 ott 2011


La dieta autunnale


Le giornate si accorciano, l'autunno è alle porte e con il freddo che arriva cresce la voglia di cioccolata calda e dolciumi, è importante quindi organizzarsi per seguire una dieta salva linea utilizzando verdure di stagione colorate, ricche di vitamine e antiossidanti che aiutino a proteggere l'organismo, riempire lo stomaco e soddisfare il palato.
Per prima cosa è necessario individuare le verdure che l'autunno ci offre e valutare se acquistarle fresche o surgelate considerando il tempo che si ha a disposizione per cucinarle, in entrambi i casi avremo una buona percentuale di elementi nutritivi. La stagione autunnale offre varie tipologie di vegetali come zucca, barbabietola, broccolo, cavolo cappuccio, funghi, cavolfiori, cavoli, cavolini di Bruxelles, porri, finocchi, bietole a coste, indivia belga, rapa e altre ancora, particoarmente versatili e gustose.
Una volta individuate le verdure che soddisfano maggiormente, il consiglio è di mangiarne due o tre porzioni al giorno cercando di variare il più possibile, ad esempio cambiando colore ad ogni pasto. Senza dubbio la vostra linea ne trarrà giovamento in quanto le verdure aiutano a riempire lo stomaco tenendo lontana la fame. Se poi si scelgono vegetali dolci come la zucca, si soddisfa il palato senza esagerare con le calorie.
Ogni colore ha proprietà differenti e perciò utilissime al nostro organismo, soprattutto in questa stagione di passaggio nella quale ci si deve adattare piano piano al clima freddo. Via libera perciò alla fantasia con ricette di ogni tipo, ad esempio sformati , verdure gratinate al forno con besciamella, vellutate e creme, lasagne vegetariane, pasta condita con verdure saltate, polpette vegetali, ecc.
Per concludere ricordate che le buone abitudini si imparano da bambini, perciò se siete genitori, insegnanti o nonni stimolate i vostri bimbi cercando al supermercato o nel frigorifero verdure di colori diversi e cucinate con loro, poco alla volta mangiare verdure diventerà un bel gioco!
A cura di Dott.ssa Lisa Ingrosso
Tecnologo Alimentare e Nutrizionista, Università di Parma

Roma, 18 ottobre 2011 - Se siete a dieta e avete paura di cadere in tentazione, tenete gli occhi puntati sull’orologio e, appena scattano le 15.23, uscite, fate una passeggiata, telefonate a un’amica, datevi allo shopping, buttatevi a capofitto in un bel libro: tutto pur di stare lontani dal frigorifero.



E’ quello che ci consigliano gli esperti di Melarossa.it. Secondo un recente studio, infatti, a quell’ora scatta un vero coprifuoco fatto di voglie e desideri proibiti: basta un attimo e ci si avventa su torte, cioccolato, patatine, mandando in frantumi giorni o, peggio, settimane di sacrifici.



La ricerca ha chiesto a oltre 1.500 persone a dieta di ricordare in quale momento della giornata, in passato, avessero ceduto alla tentazione e finito per abbandonare la loro dieta: il 62% ha indicato la fascia pomeridiana tra le 15 e le 15.30, seguita dalla notte (22%) e dal mattino (16%).



Facendo una media tra le risposte di tutti i partecipanti, il team di ricercatori ha calcolato l’ora fatale per le diete, quella in cui crollano i buoni propositi e il cibo diventa un’ancora di salvezza: le 15.23. Ma perché si sgarra proprio a quell’ora?



Probabilmente perché a metà pomeriggio la fame comincia a farsi sentire, oppure perché dopo una mattinata di lavoro si ha bisogno di un antistress.



Qualunque sia la motivazione, il risultato non cambia: gli esperti del sito www.melarossa.it consigliano: se vogliamo che la nostra dieta funzioni, ogni giorno, anche alle 15.23, facciamo appello a tutta la nostra forza di volontà. Poi, se proprio non si riesce a resistere alle tentazioni, l’unica è chiudere a chiave frigorifero e credenza

21 ott 2011


nuovi metodi per diagnosi precoci

Ascoltare il silenzio: diagnosticare precocemente l’autismo

Oggi è possibile diagnosticare per tempo l'autismo e sono previsti nuovi corsi di formazione per i pediatri impegnati in questo campo -

La diagnosi precoce dell’autismo per una migliore qualità della vita dei bambini e delle loro famiglie è oggi possibile grazie a nuovi mezzi di indagine
Allo stato attuale è circa l’1 per cento dei bambini italiani a essere affetto da un disturbo autistico. La prevalenza è di circa uno su 150 bambini, e i più colpiti sono i maschi con un’incidenza di quattro volte superiore alle femmine.

Il primo interlocutore della famiglia quando si sospetti o si è scoperto che il proprio figlio è soggetto a questi problemi è il pediatra. Se si considera quindi che la diagnosi precoce è indispensabile per ottenere un intervento tempestivo, è altresì fondamentale che il medico possa godere di un’adeguata formazione che gli permetta di mettere in pratica tutte le azioni necessarie in questi casi.
Con un intervento tempestivo, si hanno maggiori possibilità di recupero del bambino, spiega Giuseppe Di Mauro, Responsabile Scientifico dei Corsi di formazione rivolti ai pediatri.

La diagnosi del Disturbo dello Spettro Autistico è sempre avvenuta in media intorno al 5° - 6° anno d’età; nei casi più fortunati intorno ai due anni. Tutto questo perché i parametri su cui si basa la diagnosi sono l’interazione sociale, il gioco, la comunicazione verbale: tutti fattori impossibili da studiare prima dei due anni.
Oggi, invece, grazie ai nuovi strumenti diagnostici messi a punto dalla ricerca, e basati sull’analisi vocale e motoria dei bambini nei primi mesi di vita, è possibile anticipare l’età di valutazione dell’autismo.

In virtù di un accordo raggiunto da 6 Società Scientifiche di Pediatria, il 22 ottobre partiranno i corsi di formazione continua, rivolti ai pediatri e al personale medico-scientifico per una diagnosi precoce dell’autismo e del ritardo mentale.
Duplice obiettivo dei corsi è redigere alcune linee guida per un inquadramento diagnostico precoce e impostare un piano di cura che agevoli il più possibile la crescita del bambino, tenendo conto del nucleo familiare nel quale è inserito.

Le Società Scientifiche coinvolte sono: Società italiana di Pediatria (SIP); Società Italiana di Pediatria Preventiva e Sociale (SIPPS); Società Italiana di Neurologia Pediatrica (SINP); Società Italiana delle Cure Primarie Pediatriche (SICuPP); Società Italiana di Neuropsichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza (SINPIA), Società Italiana Malattie Genetiche Pediatriche e Disabilità Congenite (SIMGePeD).
I corsi residenziali ECM, organizzati con il supporto di IdeA-Z, prevedono la presenza di Pediatri, Psicologi, Infermieri pediatrici, Neonatologi, Neuropsichiatri infantili e Logopedisti assicurando una formazione multidisciplinare. A sostegno delle nuove teorie per cogliere i segni anticipatori della diagnosi ci sarà la dottoressa Maria Luisa Scattoni responsabile del Progetto “Non Invasive tools for early detection af Autism Spectrum Disorders” finanziato dal Ministero della Salute.
I corsi avranno inizio il 22 ottobre a Milano e raggiungeranno, il mese successivo, la regione Campania. Il percorso formativo proseguirà in modo uniforme su tutto il territorio italiano, con una formazione interattiva che prevede l’utilizzo di materiale audio-video e proiezioni di filmati rivolta a 50-60 pediatri per volta. Il coinvolgimento attivo dei genitori e delle famiglie sarà un momento indispensabile per favorire un ponte di comunicazione tra i medici e i soggetti coinvolti con Disturbo Autistico e ritardo mentale.

Ecco un’iniziativa lodevole e che fa ben sperare in azioni concrete rivolte alla diagnosi precoce di questo disturbo che influenza la qualità della vita dei bambini e delle loro famiglie.
[lm&sdp]

Source: ufficio stampa Gas communication

18 ott 2011


LE MALATTIE RAREOltre settemila patologie
che aspettano una curaSpesso esordiscono in età pediatrica, hanno un'origine genetica, sono invalidanti e croniche. Esiste una Rete nazionale e tante associazioni di familiari e pazienti

a cura di DOMENICA TARUSCIO (Iss) e AGATA POLIZZI (Cnmr)

Le malattie rare sono un gruppo di patologie eterogenee caratterizzate da una bassa prevalenza nella popolazione generale. In Europa, colpiscono un individuo ogni 2.000 abitanti, in Italia vi sono 1-2 milioni di soggetti affetti. Stime del WHO indicano un numero complessivo compreso tra 7.000 e 8.000 malattie. Spesso, esordiscono in età pediatrica, hanno un'origine genetica e clinicamente coinvolgono più apparati, richiedendo quindi un'assistenza plurispecialistica. Il loro decorso è spesso cronico e invalidante e la persona con malattia rara è di frequente costretto a far ricorso a continue cure mediche, a programmi di riabilitazione e a un adeguato supporto psicologico.

Affrontare e gestire un soggetto con malattia rara è quindi un processo molto complesso, impegnativo e multidisciplinare che richiede non solo la necessità di formulare una diagnosi corretta e nel più breve tempo possibile, ma necessita anche del costante coinvolgimento dei familiari, del pediatra di libera scelta o del medico di medicina generale, nonché di una stretta integrazione tra strutture sanitarie del territorio, ospedaliere e centri clinici di ricerca.


Google EarthRoma, 17 ottobre 2011 - Uno studio pubblicato dalla rivista Open Biology mostra come grazie a Google Earth e alle tecniche moderne per sequenziare il Dna e’ possibile tracciare l’evoluzione di un’epidemia in una citta’, come risalire alla fonte del contagio di febbre tifoide a Kathmandu, in Nepal.

I ricercatori hanno fatto visita a tutti i pazienti in cui era stata riscontrata la malattia, che e’ causata da due tipi diversi di Salmonella, segnando con il Gps la loro esatta posizione. Questa informazione, insieme all’analisi genetica dei batteri di ogni malato, e’ stata messa in Google Earth, per riuscire a risalire all’origine dell’epidemia.

Dall’analisi dell’immagine ottenuta gli esperti hanno trovato dei cluster della malattia, ma non corrispondenti alle zone a piu’ alta densita’ abitativa: “Abbiamo visto - si legge nello studio - che piu’ a rischio era chi abitava vicino alle fontane e nelle parti basse della citta’”.

Sulla base di questa osservazione e’ stato possibile stabilire la fonte principale del contagio, cioe’ l’acqua che alimentava le fontane.

“Abbiamo anche potuto stabilire che il contagio avveniva principalmente tramite l’acqua, e non attraverso le persone - spiegano ancora gli autori - perche’ all’interno di uno stesso cluster di casi abbiamo trovato genotipi dei batteri diversi”.



Incontro medici-pazienti a Firenze
LEUCEMIA MIELOIDE CRONICA: SVOLTA NELLA CURA,SVOLTA NELLA VITA
800 nuovi casi all’anno in Italia. Guarigione del 90% a 10 anni dall’inizio. La costanza dell’assunzione di farmaci, elemento centrale della terapia.

FIRENZE - Vivere con la leucemia mieloide cronica, forma tumorale del midollo osseo che produce le cellule del sangue, sono circa 800 i nuovi casi l’anno in Italia, oggi si può. Una realtà che è anche il titolo di un programma di sostegno medico e sociale verso i malati, alla luce di nuovi, importanti farmaci in grado di dare una svolta al decorso della malattia, nell’ultimo decennio. La svolta avviene, infatti, nel 2001 quando si riesce ad identificare una molecola, Imatinib, capace d’inibire l’azione della tirosinchinasi, il prodotto del cromosoma Philadelphia, marker specifico della malattia. Per i pazienti, da quel momento,tutto cambia, soprattutto il loro futuro, fino a quel momento praticamente inesistente.
Come spesso accade, tuttavia, la ricerca non si ferma: già nel 2002 si inizia a lavorare su un nuovo principio attivo, nilotinib, proprio grazie a partire da quanto si è imparato con imatinib. Il nuovo medicinale, che agisce sullo stesso obiettivo e risulta più potente e preciso oltre che avere meno effetti collaterali. Entro fine anno sarà disponibile anche in Italia per il trattamento in prima linea, cioè su persone che hanno appena ricevuto la diagnosi di malattia.
Se n’è parlato ad un incontro fra clinici,pazienti e familiari all’ospedale di Careggi,promosso da Università degli Studi di Firenze,, sezione provinciale AIL (Associazione Italiana contro leucemie, linfomi e mieloma) con il supporto di Novartis.
L’elemento fondamentale della terapia e tema centrale del convegno, è stata la “compliance”, cioè l’aderenza alla cura. L’assunzione di farmaci per essere efficace deve avvenire nei tempi e nei dosaggi corretti. “Se ben curata e seguita – ha precisato Valeria Santini, professore associato all’Unità Operativa Complessa di Ematologia – non fa più paura, ma non deve essere sottovalutata”. Dal canto suo, il direttore della stessa Unità, prof. Alberto Bosi, ha precisato che “Non sono ancora note le cause. Niente però hanno a che vedere possibili infezioni oppure la trasmissione ereditaria. I casi si dimostrano comunque in crescita perché aumentano le diagnosi precoci ed, assieme,il livello d’informazione da parte del medico e d’ educazione sanitaria della popolazione”.
“Prima della svolta – ha aggiunto la Prof.ssa Santini – la malattia aveva decorso progressivo ed inarrestabile. Adesso, è bloccata dall’impiego di questi farmaci specifici. Tutto ciò perché la validità della molecola, imatinib, è legata alla capacità di colpire direttamente la proteina alterata che scatena la malattia. In pratica, un colpo preciso, al centro del bersaglio. E la molecola successiva, nilotinib, da impiegarsi nei pazienti resistenti o intolleranti alla precedente, sta dimostrando una maggiore efficacia e meno effetti collaterali. ” A breve, anche in Italia, sarà possibile utilizzarla nei pazienti di nuova diagnosi.
Ma la loro validità – si è aggiunto – rischia di creare un problema d’aderenza alla cura da parte dei malati. “All’inizio del ciclo di terapia infatti – ha precisato Antonella Gozzini, aiuto dirigente all’UOC di Ematologia –sono timorosi, poi si fanno consapevoli dell’importanza di poter tenere sotto controllo la malattia, infine,traendone beneficio, diventano indisciplinati. 4 capsule al giorno non sono né poche,né molte. Incide però la maturità della persona,lo stato clinico, la corretta informazione del medico”.
“Assumere poi la cura per bocca è una novità che stempera l’immagine della malattia. Ma è proprio lì – sono state sue parole –che bisogna affiancare la persona nella gestione della terapia. I passi avanti ci dicono che siamo sulla strada giusta. Teniamoci stretta l’opportunità e quelle che verranno”.
Positivi sono i commenti dei malati. Felice Bombaci, del GRUPPO AIL Pazienti LMC, ha spiegato come “sia oggi una realtà convivere con questa leucemia. Malati e familiari, grazie alle nuove terapie possono guardare al futuro con maggiore serenità e pensare ai progetti di vita. Il Gruppo, creato nel 2009, vuole essere il tramite fra i pazienti e gli altri attori coinvolti come sanità pubblica,ricercatori,specialisti e case farmaceutiche, per garantire una migliore qualità di vita e giungere all’eradicazione di tale patologia”.
GIAN UGO BERTI
(riproduzione vietata)

14 ott 2011



Si sviluppano gli studi di biologia applicata alla produzione energetica

Il respiro produce energia
Ecco come catturarla

Applicazioni nel monitoraggio del glucosio nel sangue dei diabetici o per mantenere la carica dei pacemaker


Shi e Wang, gli ideatori del sistema per produrre energia con il respiro (da University of Wisconsin-Madison)
MILANO - Respirare dal naso per produrre energia. L'articolo recentemente pubblicato su Energy and Environmental Science segna un'altra tappa nell'esplorazione delle piccole grandi forme d'energia disponibili in natura. Basato sullo sfruttamento della piezoelettricità – la carica generata da certi materiali quando messi sotto stress – il sistema, sviluppato dalla University of Wisconsin-Madison, utilizza una microcintura di plastica che, colpita da correnti d'aria leggere come la respirazione umana, produce una carica elettrica sufficiente ad azionare piccoli apparecchi. Quello che la cinturina di polivinildenfluoruro (Pvdf) riesce a fare, spiega il responsabile della ricerca, Xudong Wang, è raccogliere «energia meccanica da sistemi biologici». L'obiettivo? Sviluppare apparecchi biomedici che potrebbero servire per monitorare il glucosio nel sangue dei diabetici, o mantenere la carica dei pacemaker, così da rendere superflua la loro periodica sostituzione. Wang afferma che con i progressi della nanotecnologia e dell'elettronica miniaturizzata il Pvdf, che è un materiale biocompatibile, avrà un enorme potenziale di utilizzo in quanto può sviluppare l'energia di un microwatt.

ESEMPI - Di piezoelettricità si è parlato di recente quando una delle stazioni ferroviarie della East Japan Railway Company, in Giappone, ha deciso di sfruttare l'energia prodotta dai pendolari che ogni giorno, a migliaia, attraversano i tornelli. Il progetto pilota ha visto la stazione di Shibuya, una delle più affollate, dotarsi di uno speciale pavimento all'altezza dell'uscita: ogni volta che un pedone lo calpestava per superare il tornello d'ingresso, contribuiva all'accumulo di energia human-powered, sufficiente per alimentare almeno una parte dei consumi della stazione stessa. Di natura completamente diversa è l'esperimento condotto dalla Heriot-Watt University, dove un gruppo di ricerca sta valutando i potenziali dell'urina come fonte di energia rinnovabile. Gli scienziati del team – che per approfondire l'indagine hanno ricevuto un finanziamento di 130 mila sterline – stanno sviluppando un sistema per testare il suo utilizzo in pile a combustibile come alternativa all'idrogeno, che è infiammabile, e al metanolo, che invece è tossico. «Io sono cresciuto nella Cina rurale, e ho sempre saputo che l'urea veniva utilizzata come fertilizzante agricolo», spiega il responsabile della ricerca, Shanwen Tao. «Una volta diventato chimico, studiando le pile a combustibile, ho pensato di utilizzarla in questo processo. Al momento siamo ancora a livello di prototipo, ma se risulterà possibile il suo uso come fonte di energia ecofriendly e commercialmente possibile, molte persone nel mondo ne trarranno beneficio».

Elisabetta Curzel
11 ottobre 2011 12:47

12 ott 2011




STILI DI VITAHappy hour? Attenti alla linea
Quante insidie in un aperitivoAltro che "stuzzichini": i buffet del dopo ufficio sono rischiosi per la salute. Perché assumiamo senza accorgercene più calorie che con un pasto completo. L'allarme dall'Obesity Day

ROMA - L'ora più felice della giornata? Quella dell'aperitivo, è chiaro. Il lavoro finisce, comincia la notte. C'è chi lo prende di rito, per forza in compagnia: un bicchiere e due stuzzichini, vera goduria della prima serata. Ma non c'è da stare troppo allegri: ridendo e scherzando, con l'happy hour, si assumono più calorie che con un pranzo completo. Lancia l'allarme Giuseppe Fatati, presidente della Fondazione ADI, coordinatore del progetto "Obesity Day", l'iniziativa presentata oggi che dal 10 ottobre chiamerà a Roma esperti e curiosi per approfondire i rischi correlati a una alimentazione scorretta.

"Gli aperitivi - spiega Fatati - soprattutto quelli mascherati da succo di frutta debolmente alcolico, chiudono la giornata con quella accattivante allegria del 'fine del lavoro'. E sono ormai di tendenza. Ma è difficile dire quante calorie si introducono quasi per gioco". Il problema è proprio la disattenzione: ciotoline e vassoi ci fanno allungare la mano quasi senza accorgercene.

Attenti alla linea a pranzo, con un bicchiere in mano sembriamo scordarci cosa stiamo sgranocchiando, presi dalla fame delle sette di sera: "Facciamo due conti - propone Fatati - un aperitivo a base di vino sfiora da solo le 200 calorie e quelli serviti in un grande bicchiere ripieno di ghiaccio ma ricco di gin e bibite possono anche superarle. Poi le noccioline: 40/50 grammi sono almeno 300 calorie". E siamo solo all'inizio: "Ci sono poi le patatine e gli
stuzzichini. Se va bene siamo tra le 600 e le 700 calorie. Se va male...".

Un bel po' di energia "inutile" se pensiamo a quanto assumiamo invece con un pasto completo: "Ricordiamoci che il classico pranzo all'italiana - spiega Fatati - e cioè 100 grammi di spaghetti al pomodoro, un insalata mista, e un gelato alla frutta sono in tutto 665 calorie. Nell'immaginario collettivo, nel primo caso abbiamo solo preso un aperitivo e nel secondo, invece, abbiamo mangiato. In realtà non è proprio così". Distratti dalla compagnia, insomma, assumiamo un pasto in più del dovuto. E dopo una serata piacevole potremmo avere un brusco risveglio.

( © Riproduzione riservata

Piccoli vegetariani cresconi
pro e i contro nella dieta dei bimbiIn Italia sono sempre di più le persone che a tavola abbandonano le proteine animali per puntare su uova, latte e verdure. Un pediatra e un nutrizionista spiegano perché è meglio stare attenti. Ghiselli: "Pericolosa la distinzione tra vegetale buono e animale cattivo"

di ELVIRA NASELLI

ROMA - Quelli a metà strada sono i "meat reducer". Non hanno ancora eliminato la carne ma ne mangiano il meno possibile. Poi ci sono i vegetariani che non hanno rinunciato al pesce, quelli che consumano uova, latte e derivati; e i duri e puri, i vegani, che si nutrono soltanto di vegetali. Indipendentemente dai motivi che spingono a diventare vegetariani la domanda, qui, è se questa scelta può essere sostenuta serenamente anche per i bambini. Ovvero, la carne per i più piccoli è fondamentale o no?

L'INTERATTIVO 1

"Non lo è - precisa Claudio Maffeis, pediatra all'università di Verona che si definisce pesco-vegetariano - ma bisogna fare delle distinzioni. La dieta di un latto-ovo vegetariano, che comprende dunque latte, uova e latticini, oltre ai vegetali, è un conto, per i bambini vegani - che possono rischiare carenze di vitamina B12, calcio, ferro e zinco - direi che le precauzioni debbano essere maggiori e costanti. Le carni, infatti, oltre alle proteine nobili, apportano anche ferro più biodisponibile.

La dieta di un piccolo vegano, proprio per questo, deve essere impostata da un nutrizionista o da un pediatra esperto in nutrizione, il fai da te è rischioso e i bambini vanno seguiti costantemente nella crescita per
verificare che non abbiano carenze di vitamine e micronutrienti. Inoltre il fabbisogno proteico di questi bambini è aumentato perché le proteine dei vegetali hanno una minore digeribilità e differente composizione in aminoacidi rispetto agli alimenti animali. D'altro canto non si può eccedere con legumi e fibre solubili per questioni di digeribilità. Secondo la letteratura scientifica i bambini vegani crescono bene, ma devo precisare che il numero degli studi è ancora limitato. In ogni caso, quando necessario, supplementare per bocca ferro o vit. B12 non è un problema".

Quel che è certo, secondo Andrea Ghiselli, medico e dirigente di ricerca Inran, è che "è diseducativa la distinzione tra vegetale buono e animale cattivo. Basti pensare a grassi trans vegetali, alcol e zuccheri e, al contrario, al ruolo protettivo di pesce e carni bianche. Ci sono soltanto stili di vita buoni e cattivi, ed è dimostrato da studi che non ci sono differenze in termini di salute tra vegetariani e onnivori, purché questi ultimi non fumino, non bevano alcol e abbiano un indice di massa corporea nella norma. Inoltre, quando nella dieta non c'è alcun prodotto animale bisogna pianificare il regime alimentare al meglio per ottenere le quantità corrette di nutrienti necessari, a maggior ragione se parliamo di bambini.

Non si può fare da soli, perché se può essere facile regolarsi sulla quantità di proteine non è la stessa cosa per calcio, ferro o zinco, oggi deficitari anche negli onnivori". In ogni caso "va bene ma non benissimo la dieta con latte e uova - continua Ghiselli - perché hanno meno ferro e vitamina B12 delle carni, ma quella vegetariana stretta è invece squilibrata. Anche per i vegetali servono gli accoppiamenti corretti: in alcune verdure per esempio c'è molto calcio ma l'assorbimento è ridotto perché alcuni componenti lo ostacolano. In più il ferro di carne e pesce è assorbito bene mentre il ferro vegetale, anche nei casi in cui se ne trova in maggiore quantità, è meno assimilabile. Si può aumentarne l'assorbimento aggiungendo il succo di limone, per esempio agli spinaci, o mangiando frutta a fine pasto".

Per raggiungere le quantità corrette del fabbisogno proteico per un bambino in crescita, inoltre, "bisogna aumentare il dosaggio delle proteine vegetali, che non sono equivalenti, e quindi il volume complessivo della dieta - continua Ghiselli - cosa non facile anche per le dimensioni dello stomaco. La dieta mediterranea, basata soprattutto su vegetali, ma che non disdegna piccole quantità di prodotti animali, resta in assoluto la migliore".
(04 ottobre 2011) © Riproduzione riservata

10 ott 2011



QUANDO IL BAMBINO NON DORME

Un problema come tanti, semplice e complesso assieme,nella vita familiare di tutti i giorni: “Il bimbo non mi dorme. E’ grave,dottore?” E’ una domanda importante e legittima di ogni mamma ed ecco come affrontare i comuni disturbi del sonno. Secondo la Federazione Italiana Medici Pediatri, di cui è presidente Giuseppe Mele, il “buon sonno” si costruisce già nei primi mesi di vita. Il genitore, in sostanza, deve comprendere ed adattarsi ai suoi ritmi,capire come e quando vadano modificati o rispettati. Il pediatra, in tal senso, lo aiuti a conoscere l’organizzazione del sonno del bambino.
Non è una cosa immediata. E’ infatti con il passare del tempo che s’acquista, nell’infanzia, il ritmo sonno-veglia. I genitori devono allora costruire con il piccolo un percorso rituale che preceda l’addormentamento: ad esempio,una canzoncina,una fiaba,la scelta del pigiama o d’un oggetto da portare a letto. E’ inoltre importante farlo addormentare nella sua camera, così che associ luogo ed abitudine. Il rischio, al contrario, è che possa preferire di ritornare fra le braccia materne per addormentarsi meglio. Evitare,inoltre, di dargli da bere (latte,bevande,tisane,etc.) prima e durante il sonno.
Siate concreti ed attenti e fate attenzione ai risvegli,espressione di un disagio ( cambiare spesso posizione) e quindi siamo di fronte ad atti difensivi. Al suo pianto rispondere con una carezza,dopo aver controllato eventuali necessità (fame,sete,pannolino da cambiare). Non accendete le luci, parlate a bassa voce, non correte da lui appena pianga. Utile è che l’ambiente dove dorme sia silenzioso,poco illuminato e con una temperatura media intorno ai 20°. E’ preferibile e più sicuro che dorma a pancia in su.
Si dà per scontato che non fumiate in casa,per nessun motivo,poiché il fumo passivo si dimostra dannoso. E’ al contempo ugualmente necessario evitare di coprirlo troppo. Sono accorgimenti importanti,fra l’altro, per ridurre il rischio della SIDS, la sindrome della morte in culla.
Infine, conclude Mele, non usare farmaci o rimedi naturali per indurre il sonno. Spesso,infatti, non risolvono il problema e possono dare un effetto opposto:eccitare invece di calmare. Devono essere usati solo sotto controllo medico. A volte si dimostrano indispensabili,per correggere cattive abitudini. Auspico quindi che il cambio di stile di vita coinvolga anche i genitori,in modo che riescano ad avere un rapporto più diretto e stretto coni propri figli. Ma se tutto cambia, anche il pediatra ha il dovere etico e professionale di cambiare.

GIAN UGO BERTI
(riproduzione vietata)

Centinaia di italiani si rivolgono all'esorcista

, 30 settembre 2011 - Forza fisica superiore al normale e avversione verso i simboli sacri. Capacita’ di parlare lingue straniere prima sconosciute o di prevedere eventi non ancora accaduti. Sono solo alcuni dei sintomi che la religione cattolica considera segnali di possessione demoniaca.



Nel sospetto, nella certezza o in un moto di disperazione, circa 500 mila italiani ogni anno si rivolgono a un esorcista, pur non essendo nella maggior parte necessario: non è facile individuare il confine fra malattia psichiatrica e possessione.



Con l’obiettivo di aiutare gli operatori sanitari, medici, psichiatri, ma anche infermieri, assistenti sociali e logopedisti, a decodificare i casi sospetti e a indirizzarli verso il giusto rimedio, e’ in programma a Cosenza il 7 e 8 ottobre il corso ‘Le possessioni, disturbo psichico o danno spirituale? Il sottile confine fra psicologia e religione’, organizzato da Laboform.



Non semplice leggenda, quindi, ne’ retaggio del passato: gli indemoniati esistono davvero, assicurano gli organizzatori, i numeri lo confermano e chi li assiste deve avere gli strumenti adatti per aiutarli.




“La possessione diabolica o demoniaca - spiega Laura Cantarella, psicoterapeuta e docente del corso - e’ il fenomeno per cui, in determinate culture e religioni, si ritiene che un organismo o uno spirito estraneo, definito come diavolo o demone nella maggior parte dei casi, possano prendere possesso del corpo di una persona vivente, legarsi alla sua anima e torturarla mentre e’ ancora in vita. La persona in questione viene definita indiavolata o indemoniata. Il fenomeno della possessione affonda le sue radici nei testi sacri: nel Nuovo Testamento, ad esempio, vengono riportati degli episodi in cui Gesu’ Cristo affronta e libera alcuni indemoniati”.


L’influenza è dietro l’angolo. Proteggete le vie respiratorie
Pregliasco: «Ci aspettiamo tre tipologie di virus»
Febbre e dolori muscolari sono i sintomi dell'epidemia in arrivo


Roma, 03 otttobre 2011 - L'INFLUENZA colpirà quest’anno un italiano su due. Ma si attende una stagione “leggera”, con un’intensità media dai due ai quattro milioni di casi. Lo spiega Fabrizio Pregliasco, virologo all’Università degli Studi di Milano. «Quest’anno - spiega - ci attendiamo 3 tipi di virus, il ben noto H1N1, ormai declassato a stagionale, l’H3N2 (Perth) e il B/Brisbane. Ma fin d’ora si osservano già in circolo altri innumerevoli virus parainfluenzali, «che provocano infezioni del tratto respiratorio molto simili a quelli di un’influenza, anche se meno severi». Virus che hanno già messo a letto 60 mila italiani. Da un’indagine condotta su un campione di italiani tra i 18 e i 64 anni, commissionata da Anifa (Associazione nazionale dell’industria farmaceutica dell’automedicazione), oltre la metà degli intervistati dichiara di avvertire come primo sintomo mal di gola (52%). In misura minore febbre (44%), dolori muscolari (32%), tosse (25%), mal di testa (25%) e congestione delle vie aeree (23%).
Secondo l’indagine, in molti ricorrono subito al medico per una visita o per la prescrizione di una cura (oltre il 35%), anche se il primo approccio consigliato resta il trattamento con farmaci di automedicazione (o “da banco”). Insieme a riposo e sonno, questi farmaci sono ritenuti i rimedi in assoluto più efficaci in caso di malanni stagionali. Ancora basso il numero degli italiani che si affidano al vaccino, sulla cui efficacia molti eroimiono un certo scetticismo.
Dalla ricerca Anifa, infatti, risulta che anche fra coloro che hanno fatto il vaccino almeno una volta, quasi la metà lo ritiene scarsamente efficace.
«Eppure - aggiunge Pregliasco - la vaccinazione antinfluenzale è l’unica forma sicura di prevenzione dall’influenza, indicata in particolare per gli over 65 e per chi soffre di patologie croniche, respiratorie o cardiache. Tuttavia il vaccinoprotegge dalle complicanze dell’influenza ma non servecontro i virus parainfluenzali».
Tra i comportamenti corretti per la prevenzione, le regole principi restano le stesse: evitare gli sbalzi di temperatura, fare molta attenzione all’igiene (per esempio lavandosi spesso le mani), evitare luoghi affollati (come bus, metro e cinema, ma anche saune e centri benessere) e coprire la bocca in caso di tosse e raffreddore