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27 feb 2012


la paura modifica la percezione della realtàI ragni sono sempre più grossi quando si ha paura

Chi ha paura dei ragni, spesso li vede più grossi, pelosi e minacciosi di quello che sono in realtà
paura dei ragni li fa sovrastimare, e la persona li vede più grandi e minacciosi di quello che sono in realtà
I ragni, nell’immaginario di molte persone sono da sempre un tipo di bestiaccia ripugnante e spaventosa. Spesso, poi, per chi ne ha paura si trasformano in mostri a mille zampe – anziché le classiche otto – pronti ad attaccare la propria preda umana in preda al panico più totale, pietrificata dalla presenza di quell’enorme aracnide che avanza minaccioso.

Ehm, sì, forse abbiamo calcato un po’ la mano. Il povero ragnetto forse non era poi così spaventoso a guardarlo bene. Ma, checché se ne dica, questo è quello che più o meno accade a chi soffre di aracnofobia, la paura dei ragni appunto. Secondo gli scienziati infatti, chi ha paura dei ragni tende a sovrastimarli e a fare la cosa più grossa di quello che è – anzi a fare proprio il ragno più grosso di quello che è.
Se dunque sentiamo provenire un urlo agghiacciante dalla cucina e, accorrendo, troviamo per esempio nostra moglie che punta l’indice verso la bestia di 400 chili, pelosa e assetata di sangue che sarebbe proprio lì, dove noi invece non vediamo nulla, proviamo ad acuire la vista e forse potremmo scorgere il già citato ragnetto che si sta facendo gli affari suoi o passeggiando tra una mattonella e l’altra.

Scherzi a parte, l’aracnofobia è davvero per qualcuno un problema, tanto che è stata oggetto di uno studio – serio – condotto dai ricercatori della americana Ohio State University e pubblicato sul Journal of Anxiety Disorders. Gli scienziati guidati dal dottor Michael Vasey, come accennato, hanno scoperto che le persone intimorite dai ragni tendono a vederli più grandi di quello che sono in realtà.
Per sostenere questa tesi, i ricercatori hanno reclutato 57 persone ambosessi che soffrivano di aracnofobia.
Armati di coraggio, i partecipanti hanno dovuto andare incontro camminando a ragni del tipo tarantola di diverse dimensioni, il tutto per otto settimane – il periodo di durata dello studio.

Durante ogni test, i volontari hanno dovuto dare un voto circa la loro paura nei confronti di quei ragni, con una scala da 0 a 100. Il voto doveva essere dato a mano a mano che si avvicinavano al ragno. Un altro voto lo dovevano dare quando è stato chiesto loro di spostare la tarantola per mezzo di un bastone lungo circa 2 metri e mezzo.
Alla fine dei test, i partecipanti dovevano rappresentare quanto ritenevano fossero grandi le tarantole, tracciando una linea su un foglio di carta.
Come anticipato, coloro che più temevano i ragni li hanno rappresentati più grandi di quello che erano in realtà.

«Poiché le nostre osservazioni informali suggerivano la presenza di bias [un pregiudizio], non siamo rimasti sorpresi di aver trovato evidenza di ciò nel nostro studio. Tuttavia, è giusto dire che siamo rimasti molto sorpresi dalla grandezza del pregiudizio. Abbiamo visto i partecipanti molto timorosi disegnare linee che sono due o tre volte più lunghe che non il ragno reale», conclude Vasey.
Potenza dell’immaginazione.
[lm&sdp]

25 feb 2012


Donna seduta, diabete in agguato

Le donne che stanno per troppo tempo sedute sono più inclini a sviluppare il diabete di tipo 2, suggerisce uno studio

+ Un malfunzionamento dell’orologio biologico può essere causa di diabete e obesitàLe donne se stanno sedute per lavoro molte ore al giorno hanno maggiori probabilità di sviluppare il diabete di tipo 2
Stare troppo seduti non fa bene, lo abbiamo sentito ripetere tante e tante volte. Tuttavia, per lavoro spesso non si hanno alternative e si è costretti alla scrivania per molte ore al giorno.

Tra i vari disturbi che può causare la sedentarietà forzata, c’è anche il diabete di tipo 2 che, in particolare nelle donne che stanno sedute per 7 o più ore al giorno, può svilupparsi con più facilità.
Ecco quanto suggerisce un nuovo studio dell’Università di Leicester (Uk), pubblicato sull’American Journal of Preventive Medicine, in cui sono stati analizzati i livelli dei marcatori che indicano la probabilità di sviluppare la patologia o la sua presenza.
Nelle donne che trascorrevano la maggior parte del tempo sedute, infatti si riscontravano più alti livelli di questi biomarcatori rispetto a coloro che sono più fisicamente attive. Questo fenomeno non è tuttavia stato riscontrato negli uomini, fortuna loro.

Per stabilire se e come l’inattività influisse sul rischio di diabete, gli scienziati britannici hanno coinvolto 505 volontari di entrambi i sessi, a cui è stato chiesto di riferire quanto tempo restavano seduti nell’arco di una settimana. Poi, tutti i partecipanti sono stati sottoposti a esami del sangue per valutare la presenza di sostanze chimiche che hanno un collegamento con l’insorgenza del diabete.
Le informazioni raccolte hanno permesso di stabilire che, in media, gli uomini stavano seduti tra le quattro e le otto ore al giorno, contro le quattro/sette ore delle donne. Le analisi del sangue hanno infine mostrato che nelle donne che stavano sedute per più tempo vi erano maggiori livelli di insulina. Questo, secondo i ricercatori, è indicativo di una insulino-resistenza che mostra come si stia sviluppando il diabete di tipo 2.

Oltre a più alti livelli di insulina nel sangue, le donne oggetto dello studio mostravano valori maggiorati rispetto alla proteina C-reattiva, la leptina, l’adinopectina e l’interleuchina-6: note sostanze rilasciate dal tessuto adiposo che si trova nell’addome e collegate all’infiammazione.
Forse le donne sono più sensibili ai danni della sedentarietà, ipotizzano i ricercatori dopo aver constatato che questo evento non si verificava negli uomini. O può anche essere che esse siano più inclini a pasteggiare durante il lavoro da seduti, o meno propense a bruciare le calorie con dell’attività fisica dopo il lavoro, aggiungono. Fatto sta che, anche se non è chiaro, le donne pare siano più soggette a questo genere di problemi.

«Lo studio fornisce nuove prove che lunghi periodi di tempo passati seduti, indipendentemente dalla attività fisica, hanno un impatto deleterio sulla resistenza all’insulina e l’infiammazione cronica di basso grado nelle donne, ma non gli uomini. E suggerisce alle donne che passare meno tempo seduti è un fattore importante nella prevenzione delle malattie croniche», concludono i ricercatori.
Se possibile, dunque, muoviamoci un po’ di più. E se proprio non possiamo farlo durante le ore di lavoro, cerchiamo di farlo magari prima o dopo.
[lm&sdp]

19 feb 2012




Alimentazione
03/06/2011 - frutti di stagione per il benessereMirtilli contro il colesterolo “molto” cattivo

I mirtilli pare siano efficaci anche contro il colesterolo molto cattivo .Uno studio mette in luce le proprietà del mirtillo di ridurre considerevolmente i livelli di colesterolo VLDL, un tipo di colesterolo molto cattivo
Visto che ci stiamo avviando verso la stagione dei frutti di bosco e, tra questi, i mirtilli, non poteva mancare uno studio che suggerisce come un consumo di questi deliziosi frutti possa far bene alla salute, oltre che al palato.

Lo studio è stato condotto su modello animale da un team di ricercatori del Dipartimento dell’Agricoltura degli Stati Uniti. Coordinata dal chimico, dottor Wallace H. Yokoyama, la ricerca ha mostrato come un gruppo di criceti nutriti con bucce di mirtillo e avanzi di lavorazione dell’estrazione del succo avessero livelli corretti di colesterolo buono e una riduzione significativa di quello cattivo, rispetto al gruppo di controllo.
I livelli di colesterolo “molto cattivo”, detto VLDL, si erano addirittura ridotti del 44 per cento in questo gruppo di criceti che avevano assunto i vari rimasugli di mirtilli.

Sebbene i risultati siano stati eclatanti, il dottor Yokoyama ha sottolineato come siano necessarie ulteriori ricerche per confermare se gli effetti osservati nei criceti valgano anche per l'uomo. Lo studio, pubblicato sul Journal of Agricultural and Food Chemistry, mostra comunque come le sostanze antiossidanti e attive contenute nei mirtilli agiscano sull’attività del fegato nel trattare il colesterolo e nello sbarazzarsi degli eccessivi livelli. L’attività suddetta è la stessa in criceti ed esseri umani; è quindi ipotizzabile che l’effetto sia, se non uguale, almeno simile.
Non disdegniamo quindi i mirtilli e portiamoli di buon grado sulle nostre tavole. Male che vada, ci saremo gustati un buon dessert e già questo, che fa bene all’umore e, avrà il suo impatto positivo sulla salute. [lm&sdp]

Medicina naturale
le proprietà benefiche del succo di bergamottoL’anticolesterolo che non ti aspetti: il Bergamotto

Il bergamotto è un agrume dai molti pregi, noti non solo per l'industria cosmetica ma anche per la salute

Il bergamotto Dop, tipico della regione calabrese del nostro Paese, produce un’essenza pregiata e apprezzata in tutto il mondo. Ora, si scopre che anche il succo di questo agrume sa anche essere un anticolesterolo
Forse non tutti lo sanno, ma l’essenza di bergamotto è da secoli utilizzata nella cosmesi per la sua facoltà di dare un tocco in più ai profumi rendendoli migliori.
Oggi, poi, un nuovo studio italiano mette in luce proprietà inaspettate del succo di questo agrume, che avrebbe proprietà anticolesterolo.

In Calabria – in particolare nella fascia ionica della provincia di Reggio Calabria – in questi giorni si sta concludendo la campagna di raccolta del Bergamotto Dop. Nonostante il maltempo abbia influito sul lavoro nelle campagne, i risultati di quest’anno sono in linea con le previsioni. Mostrando così che nubi e freddo non hanno condizionato il raccolto.
Sono infatti 150mila i quintali di frutti raccolti, per un totale di circa 80mila chili di essenza estratta dalla buccia.
Questa produzione agricola unica al mondo è tra le pochissime, in particolare tra gli agrumi, a guardare con ottimismo il futuro: quest’anno registra un +5% nel prezzo, con la quasi totalità destinata all’export.

Il principale mercato di sbocco dell’essenza, come accennato, è l’industria mondiale della profumeria.
«I principali Paesi di destinazione sono quelli europei, Francia in testa – ricorda Ezio Pizzi, Presidente del Consorzio di Tutela del Bergamotto Dop – poi i Paesi nordamericani, l’Australia e, recentemente , anche l’India, la Cina e il Giappone».
Ma le caratteristiche del bergamotto Dop trovano impiego non solo nell’industria della bellezza, ma anche in quella farmaceutica: grazie ai suoi principi attivi, infatti, risulta utile in molte preparazioni.
Infine, un recente studio dell’Università di Cosenza, ha individuato un principio attivo presente solo nel succo di Bergamotto in grado di inibire la produzione del colesterolo nel sangue.
Il bergamotto Dop si presenta dunque come un prodotto di grande tradizione, che grazie alle sue qualità riesce a rinnovare costantemente il proprio mercato e la propria immagine.

[lm&sdp]

15 feb 2012



TORNANO I GELONI

Con l’arrivo della stagione più fredda ed i bizzarri cambiamenti climatici a cui siamo soggetti, è facile incorrere nei tanti malesseri e fastidi tipici di tale periodo.

Se siamo alle prese con raffreddore, mal di gola, tosse e primi disturbi influenzali, non lamentiamoci poi troppo, perchè sono molti coloro che devono combattere con un disagio ben più fastidioso, che può compromettere, anche seriamente, quando non curato adeguatamente, il nostro livello di benessere quotidiano.

Si tratta dei temibili geloni, che possono colpire i nostri arti superiori ed inferiori, localizzandosi soprattutto nelle estremità periferiche, mani e piedi, dove la circolazione diventa più lenta.

In termini specifici, vengono definiti con il nome di Eritema Pernio, e non sono altro che un’irritazione cutanea dovuta all’azione congiunta dell’aggressione del freddo sulla nostra pelle ed una riduzione della circolazione e dell’irroramento sanguigno nelle mani e nei piedi.

Riconoscerli è piuttosto semplice: la pelle delle mani tende inizialmente ad arrossarsi, con un colore rosa vivo, poi passa a seccarsi più del dovuto ed a screpolarsi, fino ad arrivare agli stadi più avanzati, in cui le dita cominciano a gonfiarsi, provocando dolore, anche molto intenso e rendendo più difficoltosi i normali movimenti.



Le giunture, nel punto specifico delle nocche o all’interno delle dita, arrivano ad avere ulcere molto dolorose, che mostrano serie difficoltà nella guarigione e processo di cicatrizzazione.

Cause e rimedi efficaci per evitare i geloni alle mani
Tra le cause più probabili della comparsa di tale fastidiosa irritazione, c’è una certa predisposizione genetica, fattori aggravanti come cattiva circolazione e difficoltà di irrorazione sanguigna nei punti specifici di mani e piedi, ma anche alcune cattive abitudini, come lasciare esposte le zone sensibili del nostro corpo a temperature troppo rigide o sottoporle a sbalzi repentini di temperatura.

Quando ci si rende conto di essere nelle fasi iniziali di tale patologia, è bene rivolgersi prontamente alle cure del proprio medico curante, per evitare di subire i processi più acuti e dolorosi dell’irritazione.
Esistono cure e farmaci specifici che aiutano a contrastare il problema ed a ridurne l’estensione, ma per evitare di soffrire inutilmente è buona norma seguire alcuni comportamenti preventivi, che impediscono la comparsa dei geloni alle mani.

- Non esporre mai le mani umide o bagnate a temperature rigide ed improvvise. Bisogna asciugare e coprire adeguatamente le mani, anche quando si esce all’esterno per pochi minuti.

- Indossare sempre guanti di lana o in caldo cotone, evitando quelli in fibre sintetiche, che isolano in maniera poco soddisfacente dal freddo, creano cattive condizioni di umidità e possono scatenare fastidiose reazioni allergiche.

- Evitare di mettere a contatto le mani con acqua troppo calda o troppo fredda, che può alterare i normali livelli di circolazione.
Per favorire quest’ultima, possiamo prendere l’abitudine di massaggiare le mani, al mattino ed a sera, con un olio lenitivo alla mandorla o alla lavanda, con un decotto alle noci, dalle proprietà vasodilatatorie o anche con una buona crema emolliente, così da riattivare la circolazione nei capillari e mantenere la nostra pelle nutrita ed elastica.

- Bisogna osservare, infine, delle regole di vita salutari, bevendo almeno 2 litri di acqua al giorno, evitando fumo ed alcol, nemici della circolazione e svolgendo una regolare attività fisica.

RIMEDI NATURALI

Contro la neve possiamo difenderci, vestendoci adeguatamente e calzando scarponcini o stivali. Tuttavia non è difficile in queste particolari condizioni atmosferiche cadere vittima dei geloni soprattutto se mettiamo i piedi gelati a contatto diretto con fonti di calore artificiale come stufa e termosifoni. A essere soggette alla formazione di queste antiestetiche e dolorose tumefazioni di colore rossastro/violaceo sono non solo le dita dei piedi ma anche orecchie, mani, naso. Non è uno spettacolo gradevole né una sensazione piacevole, perciò attenti agli sbalzi termici. Se dovessero fare la loro comparsa, aspettiamo che la situazione torni alla normalità, cercando però di accelerare la guarigione con l'aiuto della natura, soprattutto se la zona colpita sono le nostre insostituibili fondamenta.

Considerando che le persone con problemi circolatori sono maggiormente soggette alla formazione di geloni, conviene stimolare il flusso sanguigno con un pediluvio caldo - ma non bollente! - in cui avremo aggiunto un cucchiaino di olio alla calendula da alternare a un pediluvio freddo; l'ideale sarebbe avere a nostra disposizione due catini ed effettuare il cambio caldo/freddo ogni 5 minuti per circa trenta minuti. Molto efficaci anche i pediluvi caldi con il sale grosso.

A questo rituale faremo seguire un massaggio sempre all'olio di calendula o d'arnica o all'olio d'oliva.

Per stimolare la circolazione possiamo, inoltre, sfruttare le virtù terapeutiche della cipolla applicandola cruda - triturata o frullata - sulla parte dolente, fissandola con una garza ed eventualmente con della pellicola trasparente.

Ottima anche la pomata alla calendula reperibile in tutte le erboristerie e in molte farmacie.

Concludiamo la serata con una tisana indicata per i problemi circolatori facendoci consigliare dal nostro erborista di fiducia. Un consiglio? La centella asiatica - l'anticellulite per eccellenza! - da unire però a erbe dal sapore più gradevole come i peduncoli delle ciliegie.

11 feb 2012


- l'evoluzione della specie predilige la qualità
Attrae più l’uomo sano che non quello virile

Per piacere alla donna, l'uomo, più che un aspetto virile deve averlo "sano"

+ La fertilità maschile è questione di “distanza”La donna è più interessata all’aspetto “sano” dell’uomo che non alla sua apparente o presunta virilità
Macho man in declino: l’uomo che attrae di più la donna è quello dall’aspetto sano, pulito. Ecco quanto afferma un nuovo studio condotto da un team di ricercatori inglesi: il dottor Ian Stephen della Scuola di Psicologia presso l’Università di Nottingham Malaysia Campus che ha coordinato lo studio e poi il dottor Ian Penton-Voak, la dottoressa Isabel Scott della Bristol University e infine il dottor Nicholas Pound della Brunel University London. I risultati sono stati pubblicati su Evolution and Human Behaviour.

L’aspetto fisico dunque è importante per determinare, almeno a prima vista, se una persona è più o meno “sana”. E per le donne, questo parametro pare proprio sia più importante in un uomo che non la sua virilità. L’aspetto della pelle, in particolare del viso, è stato determinante in questo studio volto a valutare cosa spinge di più una donna nel preferire, a un primo sguardo, un possibile compagno di vita.
Per appurare quali fossero le scelte operate dalle donne, si legge nel comunicato UN, i ricercatori hanno coinvolto un gruppo di 62 femmine, denominato per l’occasione “Face Perception Group”, e composto da 30 donne di colore e 32 di razza bianca. A queste hanno mostrato le fotografie di 34 uomini di razza caucasica (bianchi) e 41 di uomini di colore. Le condizioni sono state controllate attentamente, così come è stato misurato il colore della pelle del viso.

Per dare l’avvio allo studio, i ricercatori si sono avvalsi di una nuova tecnica computerizzata detta “Geometric Morphometric Methods” per misurare matematicamente le fattezze dei volti maschili e attribuire un punteggio in base alla mascolinità ricavata dal software. «Abbiamo utilizzato questa tecnica per confrontare matematicamente la forma dei volti degli uomini con un campione analogo di volti femminili delle stesse popolazioni», spiega il dottor Stephen.
Il primo dato evidente che si è riscontrato è stata la preferenza espressa dalle donne per i volti – sia bianchi che di colore – che avevano una più o meno determinata pigmentazione color “oro”.

Questo color oro pare sia collegato allo stato di salute, suggeriscono i ricercatori. E questo fattore è determinante quando si tratta di scegliere un compagno di vita adeguato, che possa assicurare il successo della prole – o continuità della specie. In sostanza si tratta di un processo innato in ognuno di noi, legato all’evoluzione, che ci consente di identificare i soggetti più sani.

«Il colore attraente del nostro volto è influenzato dalla nostra salute: in particolare dalla quantità di pigmenti colorati antiossidanti carotenoidi che si ottengono da frutta e verdura nella nostra dieta – spiega Stephen – I carotenoidi sono anche ritenuti essere utili per il nostro sistema immunitario e riproduttivo, ci rendono sani e aumentano la nostra fertilità».
Ma quello che è stato determinante è che «la mascolinità del viso ha avuto alcun effetto sulla capacità di attrazione del viso», sottolinea Stephen.
Ecco dunque che non è la “mascolinità” palese – o l’impressione di virilità – a fare la differenza, ma l’impressione di salute che un volto sa trasmettere. Questo, per lo meno per le donne nei confronti dei maschi, pare essere una condizione determinante.

«Il nostro studio dimostra che essere sani può essere per gli uomini il modo migliore per apparire attraenti . Sappiamo che si può ottenere un colore della pelle più sano mangiando più frutta e verdura – questo può dunque essere un buon inizio», conclude Stephen.
Curiamo allora di più la nostra dieta se vogliamo avere un bell’incarnato che – vedi un po’ – può far avere più successo con le donne, ma soprattutto fa stare più in salute.
[lm&sdp]

Camminare allunga la vita… anche del cervello

Camminare fa bene a tutti. Migliora la salute gnerale e protegge il cervello dalla demenza
nove chilometri a settimana per evitare il decadimento cognitivo, oltre che mantenersi in salute
A quanto pare il cervello, in età avanzata, si restringe come un maglione di cachemire in lavatrice. Che fare allora? Oltre ai classici farmaci e integratori per evitare l’invecchiamento cerebrale, potrebbe essere utile qualcosa di più naturale e semplice, come per esempio una passeggiata.

Questo è quanto asserisce uno studio del National Institute on Aging, pubblicato nella versione online di Neurology . Ma la passeggiata non deve essere fatta in modo casuale; per ottenere dei reali benefici bisogna camminare per 9 chilometri a settimana.
Questo traguardo dei nove chilometri servirebbe per prevenire problemi di memoria e di declino cognitivo. In breve, se camminate abbastanza, non saranno in forma solo i vostri muscoli ma anche il vostro cervello.

«Siamo sempre stati alla ricerca del farmaco o la pillola magica per il trattamento dei disturbi cerebrali, ma in realtà [la soluzione ] potrebbe essere anche più semplice. Semplicemente camminando regolarmente, facendo un po’ di attività fisica moderata, è possibile ridurre il rischio di sviluppare la malattia di Alzheimer », spiga Kirk I. Erickson, assistente professore di psicologia presso l’Università di Pittsburgh, e principale autore dello studio.

Per arrivare a queste conclusioni il dott. Erikson e collaboratori, hanno preso in considerazione i modelli cognitivi e l’attività fisica di circa 300 persone. L’età media delle persone coinvolte era di 78 anni, con una buona salute cognitiva generale.
Dopo nove anni, tutti i partecipanti sono stati sottoposti a risonanza magnetica ad alta risoluzione per misurare le dimensioni del cervello. Dopo questo arco di tempo la risonanza non ha rilevato grossi cambiamenti, tuttavia, quattro anni più tardi un ulteriore esame ha invece evidenziato casi di demenza o alterazione cognitiva.

Il minor decadimento cognitivo è stato registrato nelle persone che erano solite camminare quotidianamente. Chi passeggiava abitualmente, inoltre, mostrava più materia grigia e meno danneggiamenti nell’ippocampo e nell’area motoria. Le persone più attive fisicamente, in ogni caso, hanno diminuito del 50% i problemi derivanti dal decadimento cerebrale.

Non ci sono stati, invece, miglioramenti significativi se si camminava per più chilometri ancora. In pratica, non è che se vi fate tutta la città a piedi il vostro cervello diventa come quello di un ragazzo di 15 anni, però un po’ di movimento evita che invecchi precocemente... Lui, e anche voi.
(lm&sdp)



Gli uomini che fumano pare siano soggetti a un declino cognitivo più rapido
+ Il fumo favorisce l'insorgere della demenza senile

+ Camminata, elisir di lunga vitaSecondo un nuovo studio, fumare accelera la demenza, in particolare negli uomini
Il declino cognitivo, o più semplicemente la demenza è un problema che sta assumendo proporzioni bibliche con i suoi oltre 36 milioni di persone colpite in tutto il mondo, soltanto nel 2010, e in costante aumento. Le previsioni, poi, non sono affatto rosee visto che si prevede un raddoppio dei tassi circa ogni vent’anni.

La demenza è una patologia che può divenire altamente invalidante e peggiorare in modo drammatico la qualità della vita. Le persone colpite a declino cognitivo – o dalla malattia di Alzheimer – spesso hanno bisogno di assistenza anche solo per espletare le normali attività quotidiane. Va da sé, quindi, comprendere quanto sia importante poter prevenire le varie forme di declino mentale, ma ciò che andrebbe evitato è infine seguire uno stile di vita che possa addirittura favorire lo sviluppo della demenza. Il vizio del fumo, secondo un nuovo studio, è uno di questi atteggiamenti scorretti, ed è stato collegato all’accelerazione del declino cognitivo – in particolare negli uomini.

Il dottor Severine Sabia e colleghi dell’University College London (UK) hanno analizzato i dati relativi al Whitehall II cohort study, basato sui dipendenti del Servizio Civile Britannico, per trovare la possibile associazione tra il vizio del fumo e il declino cognitivo nelle persone, in particolare durante il passaggio dalla mezza età alla vecchiaia.
Le informazioni raccolte riguardavano 7.236 soggetti, di cui 5.099 uomini e 2.137 donne che, alla prima valutazione delle capacità cognitive avevano un’età media di 56 anni.
Di questi, i ricercatori hanno analizzato i dati in base a 6 valutazioni di abitudine al fumo oltre i 25 anni e tre valutazioni circa lo stato cognitivo oltre i 10 anni.

Le analisi condotte hanno permesso di comprendere come il fumo fosse in qualche modo collegato al declino cognitivo, mostrando una significativa differenza tra i vari risultati che, i ricercatori, hanno suddiviso in 4 aree principali.
Questi risultati sono stati pubblicati nella versione online dell'Archives of General Psychiatry (di JAMA) prima della stampa, ed evidenziano come il vizio del fumo fosse associato con un più rapido declino cognitivo negli uomini, rispetto alle donne. E, ancora, che questo declino era più palese nei soggetti che hanno continuato a fumare durante il periodo di follow-up.

Il rischio di declino cognitivo si è mostrato maggiore anche nei soggetti maschi che avevano smesso di fumare ben 10 anni prima della iniziale misura a cui sono stati sottoposti i partecipanti allo studio. Questo handicap si mostrava soprattutto nei test relativi alla funzione esecutiva.
La buona notizia, tuttavia, è che per questi ex fumatori il rischio di declino rapido si è smorzato nel tempo.
Sebbene non sia ancora chiaro il perché le donne siano meno soggette a questo problema mediato dal fumo, i dati mostrano che a esserne più colpiti sono proprio i maschi. Una ipotesi è che loro fumino più delle donne.

«I nostri risultati mostrano che l’associazione tra fumo e cognizione, in particolare in età più avanzata, rischia di essere sottostimata a causa di un rischio maggiore di morte e di abbandono tra i fumatori», scrivono gli autori dello studio.
In sostanza, le cose potrebbero essere addirittura peggio di quanto scoperto dai ricercatori.
Non è un buon motivo per smettere di fumare?
[lm&sdp]