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19 gen 2012


I depressi da Facebook
L'utilizzo frequente dei social network pare possa rendere tristi e scontente della propria vita le persone
Facebook è il più noto e frequentato social network. E la sua influenza è talmente virulenta che sono in pochi quelli che riescono a resistere dal collegarsi assiduamente.
Spesso, senza che ci si renda conto si diviene dipendenti e, come per ogni dipendenza, c’è il rovescio della medaglia: più si frequenta Facebook, più si tende a credere che gli altri abbiano una vira migliore e più bella della nostra, e che siano più felici - con il risultato che si diventa tristi e scontenti. Questo è quanto sostiene un nuovo studio statunitense.

La colpa di questa ondata di “depressione” da Facebook, secondo gli autori dello studio, sarebbe da imputare alle facce sorridenti ritratte nei profili personali degli utenti. La maggioranza di questi, infatti, pubblica una foto di sé che lo ritrae, appunto, sorridente o in ogni caso nella forma migliore – Chi d’altronde pubblicherebbe una propria foto dove appare nella forma peggiore?
Per comprendere meglio come questo fenomeno avesse il potere di deprimere le persone, i sociologi Hui-Tzu Grace Chou e Nicholas Edge della Utah Valley University hanno intervistato 425 studenti universitari. I partecipanti dovevano rispondere a domande inerenti la loro felicità e quella che ritenevano fosse tale nei loro "amici".

Le domande erano incentrate sul concetto “Sei d’accordo o meno…”, e andando nello specifico alcune erano del tipo: “La vita è giusta”, “Molti dei miei amici hanno una vita migliore della mia”, “I miei amici sono più felici di me” e cosi via.
Oltre a rispondere alle domande riguardanti la propria visione della vita, i partecipanti dovevano descrivere se utilizzavano Facebook e, nel caso, il tipo di attività che vi svolgevano, il numero di “amici” online che avevano accumulato e il numero di amici “reali” che conoscevano e frequentavano personalmente.

Dalle informazione raccolte si è scoperto che il 95 percento degli intervistati utilizzava Facebook, che erano iscritti in media da due anni e mezzo e che si collegavano al social network – e vi restavano – per circa 4,8 ore a settimana.
Il lavoro successivo dei ricercatori è stato quello di compiere una scrematura dei dati in base al sesso, la religione, lo stato civile, l’essere single o meno, il numero di amici accumulati online e quelli reali. Infine, in base alle risposte, se erano “d’accordo” o meno su quanto riportato dalle domande.

Ciò che apparso subito evidente è che i frequentatori assidui di Facebook hanno risposto in maggioranza – esprimendo il proprio accordo o meno – che i loro “amici” online erano di certo più felici di loro; che la vita era ingiusta nei loro confronti…
Al contrario, chi passava più tempo con amici veri – in carne e ossa – e socializzava di più nella vita reale erano più propensi a giudicare la vita con ottimismo, più giusta, e non ritenere che solo gli altri fossero felici.
A questo fenomeno, la dottoressa Chou dà il nome di “bias di corrispondenza”, ossia la tendenza psicologica con cui traiamo conclusioni errate su una persona sulla base di una conoscenza limitata.
«Vedendo le immagini felici di altre persone su Facebook dà alla gente l’impressione che gli altri siano “sempre” felici e abbiano una bella vita, come si evince da queste immagini che ritraggono momenti felici», conclude Chou.
Lo studio è stato pubblicato su Cyberpsychology, Behavior and Social Networking.
[lm&sdp]

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