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Veleni e avvelenatori
La storia, la politica e la vita sono ricche di episodi in cui il ricorso al veleno ha rappresentato la soluzione "ottimale", spesso impunita, di molteplici situazioni.
Dal punto di vista storico, non è mai facile definire con certezza i casi di avvelenamento, anche perché le limitate conoscenze mediche dei tempi antichi non sempre permettevano di identificare con certezza le cause dei decessi.
Le più antiche sostanze utilizzate per venefici nel bacino del Mediterraneo erano instabili e spesso inefficaci. Si trattava di veleni di provenienza sia animale (cantaridina, sangue fermentato di toro, polveri ricavate da crostacei e salamandre) che vegetale (aconito, oppio, belladonna, assenzio, cicuta). Per questo motivo il veneficio rimase circoscritto a pochi episodi fino alla scoperta dell'arsenico. Le rapide morti dei minatori che ne inalavano le polveri estraendolo dalle miniere del Monte Amiata lo resero "popolare" tra i Romani già nel Terzo secolo avanti Cristo. Era una sostanze estremamente tossica (dose letale nell’uomo 200 mg) e dotato di una caratteristica favorevole al veneficio: somministrato in piccole e continue dosi, determina un progressivo stato di prostrazione e defedamento che, in assenza di una indagine tossicologica, era interpretato come il decorso di una malattia incurabile ad esito mortale. In ogni caso provocava la morte senza un quadro clinico caratteristico: ciò deve sempre indurre cautela nell’interpretare delle “morti illustri” come dovute ad un avvelenamento; le tracce di arsenico riscontrate nei capelli della salma di Napoleone non sono riuscite a dare una risposta inequivocabile al perché della sua morte. Durante l'Impero romano l'avvelenatore per eccellenza fu Mitridate VI Eupatore, re del Ponto. Forte del suo "consulente tecnico", tale Crateuas, Mitridate (che ogni giorno ingeriva piccole quantità di ogni veleno per immunizzarsi) con una sua misteriosa pozione chiamata “Triaca” riusciva ad avvelenare i pozzi cui si abbeveravano i suoi nemici. La composizione della Triaca, tramandata per più di mille anni, è rimasta segreta: l'ultimo a conoscerne la composizione è stato probabilmente Maimonide Mosè, nome latinizzato di Mosheh ben Maimon, un medico ebreo vissuto a Cordóba e poi al Cairo nel dodicesimo secolo.
Nel Medio Evo l'arsenico diviene raro e anche la "scienza dei veleni" conosce un declino e occorre aspettare il Rinascimento, con la nascita della chimica per assistere all’entrata in scena di nuovi veleni. Speziali, alchimisti, assaggiatori di corte: tutte figure tra la fantasia e la storia legate al problema di offendere con i veleni e di proteggersi dai venefici. L'Italia nel Rinascimento può essere considerata la patria dei veleni tanto da far scrivere a Machiavelli: "i venefici erano diventati una consuetudine così radicata da non suscitare più interesse o indignazione da parte degli italiani". Le lame delle spade venivano avvelenate immergendole nel succo di aconito, mentre per gli "assaggiatori" al servizio di vescovi e cardinali era dedicato un santo protettore e concesse apposite e speciali indulgenze in caso di morte "in servizio".
I Borgia sono passati alla storia per l'uso disinvolto della "canterella", veleno ottenuto facendo evaporare urina in un contenitore di rame e mescolando i sali così ottenuti con arsenico.L'alcalinizzazione e la trasformazione in sale dell'arsenico, attraverso l'ammoniaca contenuta nell'urina, conferisce a questo minerale una elevatissima tossicità.
Altri storici veleni del rinascimento sono l’"acquetta di Perugia", ottenuta dalla carcassa di un maiale impregnata di arsenico, o l'"acqua di Napoli", composta da una soluzione di anidride arseniosa addizionata con un alcoolato di cantaridina.
Altri antichi italiani esperti di veleni erano Valentina Visconti, la sposa del duca d´Orleans, e la regina Caterina de Medici, nota per il suo armadietto dei veleni ancora oggi visibile nel castello di Blois.
Esempi invece di “avvelenati” illustri (più o meno provati) del passato remoto sono il Re di Napoli Ladislao il Magnifico, il Carmagnola, cardinale Ascanio Sforza, il cardinale Ippolito de´ Medici, il cardinale Giovanni Micheli, Arrigo VII.
Queste pratiche iniziano ad essere abbandonate dopo l´enorme emozione suscitata in tutta Europa dall´assassinio d´Enrico IV: i venefici diventano meno frequenti e la loro condanna più netta. Il responsabile dell´omicidio di Enrico IV, François Ravaillac, fu sottoposto ad un supplizio atroce, a riprova della riprovazione assoluta che la società esprimeva nei confronti del suo gesto.
Nel Diciassettesimo secolo Robert Boyle getta le basi dell'analisi chimica che porterà ben presto alla identificazione dei veleni. Nasce anche la "tossicologia" e dai primi metodi e apparecchiature rudimentali e talvolta poco affidabili, si giunge ad una disciplina universitaria: la tossicologia forense che risponde alle esigenze sempre più pressanti di soddisfare la giustizia stabilendo l´impatto dei danni provocati dalla "noxa chimica".
Verso la metà dell'Ottocento, viene messa a punto una procedura per identificare tracce di arsenico nei cadaveri. Gli “avvelenatori” devono quindi ricercare nuove sostanze. La stricnina, un alcaloide presente in piccole quantità nei semi di Strychnos nux vomica, un albero indigeno dell'India, fu sintetizzata nella metà dell'Ottocento e prodotta in grande quantità. La stricnina a causa delle sue proprietà eccitatorie del sistema nervoso centrale, veniva assunta come droga d’abuso soprattutto tra le classi abbienti di Londra e Parigi. Persone vennero incriminate per avere avvelenato soggetti che, invece, avevano semplicemente ecceduto con la dose giornaliera di veleno. Quasi certamente, fu questo il caso di Florie Maybrick, condannata a morte nel 1890 per l'uccisione del marito James (abituale consumatore di stricnina e arsenico) che, secondo un controverso diario scoperto qualche anno fa, avrebbe, sotto l'effetto dei veleni, assassinato a Londra cinque prostitute guadagnandosi il nome di "Jack lo Squartatore".
Veleni e avvelenatori sono anche storia dei tempi nostri. Un aspetto particolare del problema è costituito dalle così dette "Pillole per agenti segreti". La prima pillola per il suicidio di agenti segreti catturati dal nemico fu sviluppata agli inizi del secolo e conteneva cianuro di potassio, un veleno sintetizzato nel 1850; il cianuro di potassio uccide dopo un'insopportabilmente lunga (in realtà breve, pochi minuti) e atroce asfissia. Si trattava, quindi, di una pillola poco popolare tra gli agenti segreti che in qualche caso si erano rifiutati di ingerirla, finendo per spifferare al nemico inconfessabili segreti.
Anche (ma non solo) per questo motvo nei laboratori militari è continuata la ricerca di nuovi veleni con particolare attenzione a quelli del mondo animale e vegetale: le tossine biologiche. La produzione di tossine sembrerebbe essere un privilegio concesso a quegli animali destinati altrimenti a scomparire dalla faccia della Terra: serpenti poco prolifici e scarsamente dotati fisicamente, come il cobra, gracili pesci quali l'Arothron hispidus o l'Arothron meleagris, minuscole rane quali la Phyllobates aurotaenia, o la Taricha torosa, insignificanti molluschi quali il Mytilis californianus, o il Conus magus, devono la loro sopravvivenza a queste prodigiose sostanze da millenni utilizzate dall'uomo per avvelenare la punta delle frecce o delle lance.
Anche i microrganismi producono velenosissime tossine. Per esempio una microscopica alga rossastra che occasionalmente popola le coste delle isole Hawaii battezzata dagli indigeni Limu make o Hana nel dicembre 1961 provocò la fulminea morte di alcuni sub americani che si erano graffiati sulle scogliere coralline nel mare popolato da questo organismo. La creatura venne classificata nel genere del Palithoa e, quindi, la sua tossina, chiamata palitossina, trovò il suo posto negli arsenali dei servizi segreti non solo occidentali. Nell'agosto 1978 il dissidente Georgi Ivan Markov venne verosimilmente assassinato dai servizi segreti bulgari a Londra con un minuscolo dardo, "sparato" da un falso ombrello e avvelenato (palitossina (?) ricina (?))
Un'altra tossina studiata dai servizi segreti è stata quella prodotta in natura da un protozoo marino appartenente ai Dinoflagellati: la saxitossina che garantiva alla persona che l'avesse ingerita una morte istantanea. La produzione di questa sostanza è però estremamente complessa: ci vogliono 100 chilogrammi di rarissimi crostacei che vivono nelle gelide acque dell'Alaska per produrre appena un grammo di saxitossina.
Nel Dicembre 2004 il candidato alla presidenza ucraina Yushchenko
E’ storia d’oggi l’uccisione in seguito a deliberata esposizione interna a Polonio 210 dell’ex agente del KGB e dissidente russo Alexander Litvinenko. Semanticamente è improprio definire "avvelenamento" la lesività, anche letale, sia immediata sia a lungo termine, causata da sostanze radioattive. Ingerire dosi elevate di un alfa emittente come il Polonio 210 causa una malattia acuta da raggi in cui il danno cellulare è legato al forte potere ionizzante delle particelle alfa. Non si tratta cioè di un interazione “chimica” tra sostanza e organismo come avviene invece nei casi di avvelenamento propriamente detti.
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