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Benvenuti in PARLIAMO DI SALUTE
Leggete i nostri articoli per entrare e conoscere le ultime novità internazionali che riguardano i progressi della medicina.
Sarà affrontato anche il campo delle medicine alternative e della psicoanalisi.
Pubblicheremo inoltre interessanti articoli di storia della medicina.
30 set 2010
NASCE IL PEDIATRA MULTIETNICO
Un bambino su 12 è straniero ( uno su tre a Prato). Deve cambiare anche la cultura e l’esperienza del medico. Convegno nazionale della FIMP a Firenze
FIRENZE – Un bambino su 12 fra quelli nati in Italia è straniero. Complessivamente sono 860 mila e rappresentano il 22% della popolazione straniera residente nel nostro Paese. Il 25% è iscritto nelle anagrafi comunali della Lombardia. Al Centro spiccano i valori dell’Umbria (17,6%),Marche (17,4%) e Toscana (16,3%).In particolare la provincia di Prato è quella a maggiore incidenza con circa il 30%. Nel Mezzogiorno, la Sicilia è al 20,4%,la Puglia al 20% e l’Abruzzo al 19,5%.
E’ destinata quindi a trasformarsi la figura del pediatra di famiglia. Una multietnicità che lo porta necessariamente ad adeguarsi ai tempi, con tutte le problematiche soprattutto delle diverse culture. Da qui, l’impegno di GlaxoSmithKline per facilitare l’informazione sulla salute dei piccoli e dei loro familiari, con una guida “Tu ed il tuo bambino”, scritta in sei lingue (cinese,inglese,spagnolo,francese,arabo ed ucraino). La pubblicazione, elaborata con il patrocinio dellUNICEF, oltre ad essere disponibile presso molti studi pediatrici, è reperibile all’ indirizzo www.leggereperscrecsere.it
Non esistono solo le malattie del corpo, si è così detto al 4° congresso scientifico della Federazione Italiana Medici Pediatri, perché in una società moderna che non corre ad una dimensione di bambino, la sfida del pediatra di famiglia è
quella d’individuare e captare rapidamente anche le situazioni di potenziali traumi vissuti dal piccolo, nel contesto delle singole etnie.
Secondo Giuseppe Mele,presidente della FIMP, oltre ad affrontare le più comuni patologie infantili, gli specialisti dei bimbi si devono confrontare sulla solitudine, sulla necessità d’integrare al meglio chi giunga da altri Paesi ed è portatore di altre culture. Il titolo infatti della manifestazione è “Cicatrici sulla pittura fresca”.
GIAN UGO BERTI
(riproduzione vietata)
EPATITE C E TUMORE: 6 MILA CASI ALL’ANNO IN ITALIA
L’importanza della prevenzione e dell’informazione. Positivo il ruolo del peghinterferone alfa -2° e della ribavirina. Un convegno promosso da Roche
MILANO – Sono un milione gli italiani affetti da virus dell’epatite C, una malattia silenziosa che,se non curata, può causare il tumore del fegato. Si tratta di una complicazione che colpisce seimila persone ogni anno in Italia. Ma a preoccupare sono i casi sommersi ovvero persone che,in assenza di sintomi (urine scure, dolore al fegato,stanchezza inspiegabile,etc.) non si sottopongono ai necessari,pur semplici, esami di sangue.
L’esame di base, pur se non sempre predittivo, è il valore di alcuni enzimi come le transaminasi. Davanti ad una situazione alterata è opportuno effettuare altri controlli. La via d’infezione è più di frequente il contatto con sangue infetto ( particolare attenzione va fatta alle trasfusioni effettuate prima del 1990,quando i controlli non erano così validi come gli attuali). A rischio è anche l’impiego di metodiche come agopuntura,piercing e tatuaggi eseguiti in modo non corretto.
Sul piano della cura, si è detto a Milano all’incontro stampa promosso da Roche, qualcosa di concreto esiste. Completa guarigione in oltre il 60% dei casi, è l’uso di peginterferone alfa-2° e ribavirina. Se si interviene in tempo, ha precisato il prof. Massimo Colombo dell’Università di Milano, il virus si può così eliminare completamente evitando il contagio e prevenendo l’insorgenza del tumore.
Un problema , ha aggiunto il prof. Patrick Marcellin dell’Università di Parigi, molti pazienti dopo la diagnosi ,vivono sensazioni di sconforto,rabbia,depressione e ricercano l’isolamento per paura del contagio. Molte di queste situazioni derivano da informazioni non corrette. Da qui, la necessità di confermare che le persone affette da epatite C possono continuare a svolgere tutte le normali attività quotidiane.
GIAN UGO BERTI
(riproduzione vietata)
28 set 2010
La malattia di Charcot-Marie-Tooth
(a cura di ACMT-Rete)
Un'ampia scheda dedicata alla malattia di Charcot-Marie-Tooth, neuropatia che sarebbe più appropriato definire come "sindrome" e che per induzione colpisce anche i muscoli e altre parti dell'organismo
Furono Jean-Martin Charcot, Pierre Marie e Howard Henry Tooth i tre neurologi che diedero il nome alla malattia detta appunto di Charcot-Marie-Tooth (CMT), verso la fine dell’Ottocento. Se ne può trovare notizia anche sotto altri acronimi, quali CM (Charcot-Marie), HMSN (Hereditary Motor and Sensory Neuropathie) o PMA (Peroneal o Progressive Muscolar Atrophy).
Si tratta di una neuropatia, ovvero di una malattia dei nervi che per induzione colpisce anche i muscoli e altre parti dell’organismo. Viene detta per comodità “malattia”, ma in realtà si tratta di “un insieme di malattie” con sintomi simili.
Forme di CMT
Si possono ripartire in due grandi gruppi:
- Forme demielinizzanti, in cui la guaina che riveste il nervo, detta mielina, si consuma lentamente, alterando la conduzione nervosa. Infatti nell’elettromiografia (EMG) la velocità di conduzione motoria è inferiore a 38 metri/secondo.
- Forme assonali, in cui ciò che viene compromesso è il nucleo del nervo e cioè l’assone. Qui la velocità è uguale o maggiore a 38 metri/secondo.
Tra le forme demielinizzanti vengono classificate:
- CMT1A, che è quella più diffusa e il cui difetto genetico è sul cromosoma 17. In questo caso avviene una duplicazione del gene PMP22 (della Proteina Mielinica Periferica).
- HNPP, ovvero Neuropatia Ereditaria con Predisposizione alle Paralisi da Compressione (il che significa avere una predisposizione all’addormentamento degli arti in certe posizioni). Qui, nella maggioranza dei casi, invece di una duplicazione c’è una delezione (assenza) dello stesso gene PMP22.
- CMT1B, ove il difetto è dato da una mutazione del gene della P0 situato sul cromosoma 1, anch’esso addetto alla mielina.
- CMT1C (detta anche LITAF), in cui vengono escluse le prime due.
- Déjerine-Sottas, definizione tramite la quale possono essere raccolte le forme demielinizzanti più gravi ad esordio precoce (nei primi anni di vita), il cui difetto genetico può coinvolgere gli stessi geni della CMT1A e CMT1B. Un tempo venivano classificate come CMT3.
- CMT4, le quali sono tutte di tipo demienilizzante e frequenti al Sud e in Africa. Esistono di tipo A col difetto sul cromosoma 8, di tipo B con una particolare guaina mielinica piegata e con difetto sul cromosoma 11, di tipo C con difetto sul cromosoma 5.
- CMTX, con una mutazione del gene della connessina 32 EGR2 sito sul cromosoma 10 (si differenzia più che altro per il tipo di ereditarietà). Si trova anche raramente come forma assonale.
Tra le forme assonali si caratterizza la:
- CMT2, che può essere di tipo A, B, C, D ed E. Tale suddivisione è stata resa possibile dall’individuazione delle regioni dette locus, dove si troverebbero i geni colpevoli che però non sono stati ancora identificati. Proprio ultimamente è stato individuato un gene della CMT2A, ma ci vorrà ancora un po’ di tempo prima che esso possa essere utilizzato nella rilevazione diagnostica.
Trasmissione
Le varie forme di CMT sono quasi tutte fortemente ereditarie con una trasmissione detta autosomico-dominante. Ciò significa che esiste la probabilità del 50% di trasmetterla ai figli.
In alcuni casi, come nella CMT4, la trasmissione può essere recessiva, derivando cioè da entrambi i genitori i quali spesso sono parenti tra loro. La trasmissione, però, si trasformerà in dominante nei successivi eredi.
Sembrano esserci casi isolati o sporadici con genitori sani, ciò che è stato riscontrato nelle forme più severe, ma anche in altre molto lievi. Anche questi pazienti saranno portatori e trasmettitori della malattia ai loro figli.
La CMTX ha una trasmissione legata al sesso e si caratterizza per l’assenza di trasmissione da maschio a maschio.
Appurato quindi che la CMT è una malattia ereditaria, perché l’essere umano se ne ammala? Insomma, perché avvengono simili mutazioni genetiche? Una domanda ancora senza risposte.
Sintomi
La CMT è una malattia molto più diffusa di quello che si è sempre creduto e anche la statistica nota come 1 affetto ogni 2.500 persone sembra non essere più reale. Si tratta di una sindrome (questa è la giusta definizione) progressiva, nel senso che peggiora con l’andar del tempo. La progressione, però, è molto lenta e vi possono essere lunghi periodi di stazionamento.
Nel caso in cui si dovesse presentare un’insorgenza dei sintomi a progressione veloce, potrebbe trattarsi di una neuropatia a carattere infiammatorio, ma questo solo l’esame del liquor cerebrospinale può dirlo.
LA CMT colpisce il sistema nervoso periferico e cioè compromette le terminazioni nervose che interessano i piedi, le gambe dal ginocchio in giù, le mani, le braccia dal gomito in giù. Solo raramente possono esservi problemi anche all’udito, alla vista, alle corde vocali e più frequentemente alla spina dorsale.
Non sempre sono colpite le funzioni di entrambi gli arti superiori e inferiori, o meglio, anche se il deficit neurologico viene evidenziato in tutto il sistema periferico, vi possono essere sintomi evidenti solo alla deambulazione e non alle funzioni manuali (quasi mai viceversa).
È importante ricordare che non esistono ad oggi studi scientifici approfonditi sulla sintomatologia della CMT e che quindi non sono ancora disponibili dati statistici in merito. Ciò è dovuto anche alla principale caratteristica di questa sindrome, cioè alla sua variabilità nel colpire le persone, anche all’interno della stessa famiglia, sia per quanto riguarda i sintomi che il livello di gravità.
Qui di seguito alcuni tra i sintomi che più spesso accomunano le varie forme e le persone affette da CMT:
- Degenerazione e atrofia muscolare
I muscoli interessati, come detto, sono quelli periferici (distali) degli arti inferiori e superiori. I più colpiti sono i peronei (donde il nome di atrofia muscolare del peroneo), i tibiali, e i flessori delle dita. Ne deriva un logico indebolimento della forza muscolare. Essi si atrofizzano perché non sono più innervati a causa del deficit neurologico.
- Accorciamento dei tendini
Atrofizzandosi i muscoli, di conseguenza si accorciano i tendini, tra i quali il maggiormente colpito è quello di Achille.
- Deformità degli arti e dita a martello e ad artiglio
Ciò è dovuto allo squilibrio muscolare e all’accorciamento tendineo. I piedi possono presentarsi cavi e quindi equini, con una tendenza a camminare sulle punte. Il tallone può essere varo e quindi storcersi verso l’interno, portando la persone a cadere (sbilanciarsi) all’esterno durante la deambulazione. I calli spesso sono una delle conseguenze più immediate. Le dita tendono a piegarsi e ciò nei piedi comporta una serie di problematiche dolorose e di adattamento alle scarpe, mentre nelle mani provoca una serie di limiti alla manualità.
Le deformità degli arti rappresentano il problema più tangibile per chi è affetto da CMT, con conseguente instabilità, dolore e imbarazzo.
- Deficit sensitivo
I disturbi alla sensibilità sono dovuti alla compromissione dei nervi sensitivi. La sensazione è quella di una diminuzione più o meno significativa, a seconda dei casi, del senso tattile e dolorifico detta a calza e a guanto. Se tale deficit dovesse peggiorare, è opportuno porre maggiore attenzione alle fonti di calore e ai traumi (ad esempio pressioni della scarpa che potrebbero causare nel tempo ulcere cutanee), perché la persona può non sentire dolore. Tale deficit aumenta l’instabilità motoria e limita ulteriormente l’abilità manuale.
- Perdita di equilibrio
Come potrebbe esservi il giusto equilibrio con piedi deformati e mancanza di sensibilità? È tipico quindi delle persone con CMT tendere alla perdita di equilibrio, sbandare. Un fatto curioso è la mancanza del senso di posizione al buio e chiudendo gli occhi.
- Assenza di riflessi
L’assenza di riflessi osteo-tendinea l’abbiamo quasi tutti ma questo segno è utile soprattutto al neurologo per una diagnosi.
- Raffreddamenti e parestesie agli arti
Il sistema nervoso è strettamente collegato con quello circolatorio. Molti soffrono di raffreddamento degli arti che peggiora con temperature fredde e umidità. Anche le parestesie o “addormentamento” degli arti, rappresentano uno dei sintomi più diffusi, che però non è continuo. Spesso, infatti, si tratta di fasi episodiche che passano nel giro di ore o al massimo di giorni e solo in uno stadio avanzato della malattia permangono.
Anche i formicolii sono normali nella CMT, soprattutto al mattino appena svegli.
- Spasmi/dolore osteo-muscolare
La postura errata, le deformazioni, l’affaticamento muscolare inducono dolori di vario genere e crampi muscolari.
Esistono poi sintomi che colpiscono solo alcune persone e certe rare forme di CMT, quali ad esempio le difficoltà respiratorie o gravi cifo-scoliosi altamente deformanti.
Sembra esistere il sospetto che possa essere a volte toccato - forse per una questione di equilibri corporei - anche il sistema nervoso centrale. Infatti, possono venire segnalati dai portatori di CMT anche deficit respiratori, uditivi, visivi, vocali, all’apparato urinario ecc.
Attraverso le nostre esperienze e i numerosi contatti con persone affette da CMT abbiamo potuto riscontrare, a livello puramente percettivo, che problematiche legate al sistema nervoso centrale, come ad esempio alla spina dorsale, sono molto più diffuse di quanto si possa leggere negli studi pubblicati sulla malattia.
Crediamo che la ricerca debba fare ancora molta strada prima di raggiungere un quadro completo e certo delle caratteristiche sintomatologiche della CMT, ma in ogni caso possiamo affermare con certezza che essa solo in rari casi arriva a compromettere totalmente l’autonomia della persona e solo in poche situazione presenta una disabilità grave al punto tale da costringere all’uso di una carrozzina.
Diagnosi
Nella stragrande maggioranza dei casi un bravo specialista di malattie neuromuscolari, a seguito di uno studio clinico e familiare della persona e sottoponendola ad un’accurata visita medica, riconosce la malattia di Charcot-Marie-Tooth. Nonostante questo, talora accade ancora che la malattia possa essere confuse con forme di distrofia muscolare, con la sclerosi multipla, con problemi di carattere psicosomatico o altro ancora.
A seguito di una diagnosi di sospetta CMT, in genere si procede all’esame elettrofisiologico che consente d’inquadrare la malattia quale forma demienilizzante o assonale e quindi fornire le indicazioni per le indagini genetiche.
Segue il test genetico che consiste nello studio del DNA dopo un semplice prelievo del sangue. Va ricordato che non essendo stati ancora individuati dalla ricerca scientifica molti difetti genetici di alcune delle forme di CMT, il risultato del test potrebbe solo escludere parte delle forme di CMT, ma non arrivare alla diagnosi effettiva.
L’esame del liquor cerebrospinale consiste in una puntura lombare e lo si effettua solo in casi ben selezionati, qualora ci sia una progressione improvvisa e veloce con sospetto di polineuropatia infiammatoria.
La biopsia del nervo dovrebbe essere sempre l’ultima indagine, da considerarsi solo in casi particolari dopo aver eseguito gli esami di cui sopra e se questi non hanno identificato alcuna delle forme di CMT rilevabili con i test a disposizione.
Ricerche e terapie
Purtroppo ad oggi non esistono ancora cure per la CMT e anzi molti farmaci sembrerebbero dannosi al sistema nervoso. Vi è in questo senso una lista pubblicata dal Ministero della Sanità americano che elenca i medicinali “proibiti” e che qui di seguito riprendiamo in appendice. Si ritiene però potrebbero essercene molti altri non ancora analizzati.
Gli ultimi studi sulle cellule staminali, sulle terapie ormonali e sull’acido ascorbico fanno sperare che presto la scienza possa trovare risposte positive.
Al momento, quindi, i pazienti possono convivere meglio con questa malattia, facendo riferimento a:
- Terapia riabilitativa
La persona in genere viene sottoposta a una terapia riabilitativa che spesso però si rivela dannosa poiché anche in questo campo le conoscenze della CMT sono insufficienti ad individuare percorsi mirati e utili a impedire l’eventuale progressione del male.
Ciò che è sicuro è che la fisioterapia dovrebbe tendere a prevenire le retrazioni tendinee senza mai forzare i muscoli e l’intervento riabilitativo più utile prevede l’uso di scarpe e ortesi adatte.
È molto importante evitare di cadere perché lunghi periodi di immobilizzazione possono essere deleteri per i pazienti. Anche per questo essi non devono mai sottovalutare i problemi legati all’equilibrio, cercando sempre soluzioni che possano migliorare la stabilità.
In caso di grave equinismo e quindi di una caduta del piede che porta all’inciampo, si ricorre all’utilizzo di ortesi antiequino (molla di Codevilla o dispositivi inseriti nella calzatura), da valutare solo in casi estremi, perché si tratta di presidi che di fatto impediscono al muscolo di lavorare, favorendone l’atrofismo.
I plantari sono estremamente importanti se costruiti al fine di dare le spinte compensatorie giuste là dove i piedi hanno una maggiore caduta, al contrario aumentano la mancanza di equilibrio.
- Terapia chirurgica
L’intervento chirurgico viene in genere consigliato dagli ortopedici per risolvere la rotazione e la caduta del piede con tecniche di trasposizione e allungamento dei tendini e artrodesi, interventi sulle ossa.
Esso è senz’altro un buon sistema per ovviare al danno provocato e prevenire ulteriori e più gravi deformazioni, ma non sempre ottiene lo scopo desiderato. Occorre infatti valutare con estrema attenzione lo stato del singolo in rapporto all’età, al danno presente e alle capacità residue. È bene quindi ricorrervi quando la terapia fisioterapica non riesca più a compensare il deficit presente e si auspica una stretta collaborazione tra le figure specialistiche, quali il chirurgo ortopedico, il neurologo e il fisiatra, al fine di una presa in carico globale del problema.
A seguito dell’intervento si sconsigliano lunghi periodi d’ingessatura ed è opportuno avviare rapidamente un periodo di riabilitazione intensiva. Sarebbe poi sempre meglio intervenire su entrambi gli arti contemporaneamente o in rapida successione.
Per quanto riguarda infine l’anestesia, è sempre bene informare l’anestesista del problema neurologico.
RIMEDI NATURALI PER ELIMINARE LA FORFORA
Come eliminare la forfora
Un trattamento antiforfora è indispensabile. Per essere efficace al 100%, deve contenere almeno uno dei 3 principi attivi seguenti: una sostanza antifungina ed antibiotica come lo zinco o il solfuro di selenio (per ridurre il numero di funghi); un anti-proliferativo come il catrame di carbone (per rallentare la produzione anormale delle cellule dermiche) ; un principio attivo cheratolitico come lo zolfo o l' acido salicilico (per eliminare le squame staccandole ed eliminando lo strato di cheratina dalla superficie della pelle).
Come complemento degli sciampi, non occorre esitare a fare almeno una volta alla settimana una cura completa (pre-sciampo da lasciare agire 20 minuti o dopo-sciampo) per aerare e rinfrescare il cuoio capelluto. Infine, si puo’ optare per una cura vitaminica o per dei complementi a base di provitamine A, vitamine B, C ed E, o selenio.
Dopo lo shampo, un consiglio é di risciacquare i capelli con aceto di mele (naturale e senza conservanti) : un cucchiaio da minestra per una tazza d'acqua.
Bisogna cercare di utilizzare uno shampo antiforfora o anti-prurito avendo cura di sceglierlo in funzione del proprio tipo di cuoio capelluto (grasso, secco, squamoso, irritato, ecc.), o secondo i capelli (fini, colorati, danneggiati) e il tipo di forfora (grassa, secca, persistente, occasionale).
Non bisogna maltrattare i capelli ma lavarli e sciacquarli delicatamente, pettinarli o spazzolarli con morbidezza. Un altro segreto sembra essere quello di sciacquarli sempre abbondantemente con l'acqua tiepida e terminando con un getto d'acqua fredda.
Lavare regolarmente il vostro pettine o la vostra spazzola allo scopo di evitare che il fungo ritorni è una buona regola d’igiene. Inoltre bisogna limitare al massimo l'utilizzo di gels, sprays o lacche.
Attenzione a trovare (o conservare) un' alimentazione equilibrata, né troppo ricca, né troppo acida.
Al giorno d’oggi, i nostri prodotti alimentari hanno tendenza a privilegiare le sostanze acide, a scapito delle sostanze basiche (alcaline). Questo squilibrio può esercitare un'influenza negativa sulla salute dei nostri capelli, e a volte anche favorire la caduta dei capelli stessi.
Se la capigliatura si indebolisce, un regime alimentare orientato sull' equilibrio acido-base contribuirà a stimolare le sue funzioni vitali.
Rimedi naturali
Il cardo mariano, ricco in acidi grassi essenziali é ideale per purificare il corpo, il cuoio capelluto e, di conseguenza, i capelli (caduta dei capelli e forfora). Questa pianta viene generalmente utilizzata per trattare la dispepsia, le intossicazioni epatiche, l'epatite e la cirrosi del fegato.
La salsapariglia, arbusto della famiglia delle liliacee, cresce spontaneamente nei boschi più caldi d'Europa anche se é originaria delle foreste tropicali umide e delle regioni temperate dell'Asia e dell'Australia. Si utilizza la radice che si raccoglie ogni anno, possiede virtù diaforetiche (causa la traspirazione) poiché contiene molti principi attivi, come oli essenziali e resine. É una pianta usata spesso contro i problemi della pelle: le allergie, gli eczemi, la forfora e la psoriasi. Possiede un'azione anti-infiammatoria e purificante. Si utilizza in particolare contro le affezioni cutanee come l'eczema e la psoriasi, e contribuisce al trattamento dei reumatismi, dell'artrosi e della gotta. Contiene dall'1 al 3% di saponine che potrebbero avere un'azione su alcuni ormoni dell'organismo. Produce un effetto tonico, favorendo la produzione di ormoni sessuali nell'uomo, e provocando un aumento della massa muscolare.
In numerosi paesi, la salsapariglia è considerata come afrodisiaca (in particolare in Cina, India, Messico, Argentina). Nella donna stimola la produzione di progesterone e tratta la sindrome premestruale come pure i disordini collegati alla menopausa, come ad esempio la depressione ed ha un'azione protettiva del fegato.
Importata dal nuovo mondo in Spagna nel 1563, la salsapariglia si usava per curare la sifilide. In Messico era utilizzata per trattare diverse affezioni cutanee. Si utilizzava contro la psoriasi e la lebbra. La sua radice è stata anche utilizzata nella fabbricazione di una bevanda, il racinette o root beer.
Un'altra pianta utilissima é la fumaria. Questa pianta erbacea trae il suo soprannome «fiele della terra » dal suo sapore amaro. Le sue piccole foglie ed i suoi gambi si curvano generalmente verso il suolo. Molto comune nei campi e nei giardini, la fumaria si distingue soprattutto, da maggio a settembre, con i suoi minuscoli fiori rosa in piccoli mazzi abbastanza densi. La fumaria ha diverse proprietà curative: contiene principi attivi variati (cloruro di nitrato, di potassio, tannino, fumarine ed acido fumarico) che gli conferiscono virtù depurative, diuretiche, lassative ecc. Le sue indicazioni sono: digestioni difficili, intolleranza ai grassi ed alle uova. emicranie di origine digestiva, sovrappeso e infine problemi cutanei come l'eczema e l'acne.
Roma, 27 set. (Adnkronos Salute) 17:16
LA FORFORA :UN PICCOLO ,NOIOSO PROBLEMA
Veloci colpi di mano sulle spalle e il peso degli sguardi imbarazzati. A causare questi fastidiosi disagi è spesso la forfora. Oggi, però, contro questa patologia del cuoio capelluto c'è un'arma in più, come spiega la dermatologa Norma Cameli, intervenuta al talk show 'Noi salute' in diretta web sul sito Ign del gruppo Adnkronos. "L’evoluzione dei trattamenti ha portato a diversi passi in avanti nella cura. Studi recenti hanno evidenziato la capacità di integrazione tra probiotici come il lactobacillus ST11 (frutto di una joint-venture tra Nestle' e L'Oréal) e le normali cure sintomatiche come shampoo e creme. Questi integratori alimentari agendo dall’interno aiutano non solo a migliorare il sintomo, ma anche soprattutto a diminuire la ricomparsa del disturbo", spiega la Cameli, responsabile della Dermatologia estetica all'istituto San Gallicano di Roma. "La forfora - prosegue - è una forma lieve di dermatite seborroica. Si manifesta con squame bianche di piccole dimensioni, che non restano aderenti al cuoio capelluto, ma cadono sui vestiti. E questa è la forfora secca. Poi abbiamo la forfora grassa, untuosa e di colore gialla, più grave ma meno comune". Purtroppo la scienza ancora non offre una spiegazione certa dell’origine della patologia ma, sottolinea l'esperta, "sicuramente alla base c’è un lievito, la Malassenzia furfur, normalmente presente sulla cute, ma che può proliferare in particolari condizioni come l’aumento di seborrea producendo le famose infiammazioni. Altro elemento è l’alto livello dei lipidi - conclude la Cameli - ci può essere una diminuzioni di acidi grassi polinsaturi e un aumento degli acidi grassi saturi e ciò determina una desquamazione e l'alterazione della barriera che difende l’organismo".
27 set 2010
RICERCA DELLA COLUMBIA UNIVERSITY
A tavola tutti insieme
per scongiurare droga e alcol
I teenager che cenano con i genitori consumano meno sostanze dannose e fumano meno dei loro coetanei che non vivono questa abitudine quotidiana in famiglia
MILANO - Una famiglia unita a cena è una famiglia sana. Ad avvallare questa teoria una ricerca della Columbia University che collega direttamente il momento sacro delle chiacchiere di famiglia intorno al tavolo del pasto serale con un minore consumo di alcol, sigarette, marijuana. E scopre che, contrariamente a quanto molti genitori possano pensare, i ragazzi adorano il momento della cena e il calore della famiglia riunita.
LO STUDIO - Perché «la magia della cena in famiglia non è certo il cibo in tavola, ma la comunicazione e la conversazione che vi gira intorno», sostiene Kathleen Ferrigno del National Center on Addiction and Substance Abuse, l’istituto della Columbia University che ha curato la ricerca. Lo studio ha interrogato oltre mille teenager americani e circa 500 genitori, indagando sul loro rapporto con alcol, droghe, sugli amici che ne fanno uso, sulla facilità nel reperire sostanze stupefacenti e sui collegamenti di queste abitudini con la cena in famiglia. I risultati sono sorprendenti: chi cena abitualmente con genitori e fratelli almeno 5 sere su 7, fuma sigarette e usa marijuana il 50 per cento in meno rispetto a chi invece consuma pasti in solitudine, o lontano da casa. Il 60 per cento dei fortunati che siedono a cena con i genitori poi, dichiara di avere pochi amici che consumano alcol e droghe. Va peggio a quei ragazzi che cenano in famiglia meno di 3 volte su 7: per loro aumentano del 150 per cento le probabilità di frequentare persone che consumano abitualmente droghe legali, ovvero medicinali per tirarsi su come antidepressivi e anfetamine, ma anche illegali come Lsd, ecstasy, cocaina ed eroina. Sempre a proposito della comunità che i ragazzi frequentano, chi non cena a casa ha maggiore facilità nel procacciarsi marijuana in poco tempo, azione più difficoltosa per chi nelle ore serali chiacchiera in famiglia.
NON SOLO DROGA - Ma oltre al consumo di stupefacenti e alcol, la ricerca dimostra come la riunione del pasto serale sia un momento fondamentale per la coesione della famiglia, in un periodo storico in cui per impegni e abitudini sociali è sempre più difficile trovare una fascia oraria di unione di tutti i componenti del proprio nucleo. Tra i teenager americani intervistati infatti, il 72 per cento dichiara che cenare in famiglia è un momento di fondamentale importanza nella propria giornata. Per chi mangia abitualmente in casa con mamma e papà, la sensazione di avere una relazione "eccellente" con i genitori è maggiore, e i commenti positivi sui genitori aumentano, tanto da definirli ottimi ascoltatori. Messaggio importante per madri e padri impegnati: meglio cercare di arrivare a casa all’ora di cena, perché la tavola imbandita è il mezzo migliore per dialogare con i propri figli.
Eva Perasso
24 settembre 2010
26 set 2010
Approvato dalla FDA americana il fingolimod
MILANO – Un altro passo avanti nella cura della sclerosi multipla, la malattia progressiva a carico del sistema nervoso che colpisce oltre quarantamila persone. La Food and Drug Administration,l’Organismo americano di controllo sui farmaci ha infatti approvato il fingolimod, terapia orale, come impiego di prima linea nelle forme recidivanti ( le più frequenti nella casistica clinica.)
Fingolimod – si apprende - ha dimostrato in particolare un’efficacia superiore ad interferon beta – 1° IM, una delle cure più comunemente impiegate, con una riduzione delle ricadute del 52% ad un anno di distanza. Il profilo di sicurezza e tollerabilità del farmaco,inoltre, è stato accuratamente studiato e caratterizzato in oltre 2 mila e 600 pazienti,alcuni dei quali al settimo anno di trattamento per un totale di oltre 4 mila e 500 pazienti l’anno.
E’ tutt’ora in corso la valutazione da parte dell’EMEA, l’agenzia europea per la sicurezza dei farmaci.
GIAN UGO BERTI
(riproduzione vietata)
DEPRESSIONE:COLPITO 1 ITALIANO SU 4
CURE ANCORA INEFFICACI NEL 60% DEI CASI
Convegno a Cagliari delle Società Italiana di Neuropsicofarmacologia e di Psichiatria. Novità con la agomelatina
CAGLIARI - Un italiano su quattro mediamente soffre di depressione. Solo il 60% dei pazienti,però segue le cure secondo le prescrizioni. Spesso s’interrompe il ciclo di terapia perché dopo alcune settimane non si riscontrano ancora effetti benefici. E’ uno delle caratteristiche dei farmaci oggi in uso, gli SSRI (inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina) e gli SNRI ( per serotonina e noradrenalina). Caratteristica poi comune ai depressi è la perdita del ritmo circadiano,l’alternarsi del sonno e della veglia,controllati da ogni persone per azione dell’orologio biologico che ciascuno ha in sé.
Da qui,come è emerso a Cagliari al convegno promosso dalla Società Italiana di Neuropsicofarmacologia di cui è presidente Giovanni Biggio,si è sviluppata una nuova classe di farmaci efficaci perché più rapidi, meglio tollerati e stimolanti la melatonina. In particolare si è parlato della agomelatina, capaci di re-sincronizzare il ritmo circadiano. Agisce stimolando i recettori della melatonina ed inibisce quelli della serotonina.
La battaglia contro la depressione deve continuare – ha concluso il presidente della Società Italiana di Psichiatria, Eugenio Aguglia –la disponibilità della molecola anche in Italia è positiva ed importante per il clinico, pur se attualmente non rimborsabile dal Servizio Sanitario Nazionale. Crediamo che vada fatto ogni sforzo comune perché tutti i pazienti depressi abbiano uguali possibilità di accesso alle cure migliori.
GIAN UGO BERTI
(riproduzione vietata)
25 set 2010
ARTICOLO DEL W.POST
PROVOCANO DERMATITI
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Invasion of stink bugs has homeowners, farmers seeking relief
Stink bugs do's and dont's
For homeowners, some tips about how to prevent stink bugs from getting into your house, and what to do once they've entered.
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By Lena H. Sun
Washington Post Staff Writer
Friday, September 24, 2010; 11:59 PM
Shaped like shields and armed with an odor, dime-size brown bugs are crawling into area homes over windowsills, through door crevices and between attic vents in such numbers that homeowners talk about drowning them in jars of soapy water, suffocating them in plastic bags or even burning them with propane torches. In the process, some people are unwittingly creating another problem: When squashed or irritated, the bugs release the distinctive smell of sweaty feet.
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Invasion of stink bugs has homeowners, farmers seeking relief
Stink bugs do's and don'ts
Bugging out: your pest photos
Your Take: How do you get rid of stink bugs?
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Get used to it, experts say - the invasion is only going to get worse.
"This is the vanguard," said Mike Raupp, a University of Maryland entomologist and extension specialist. "I think this is going to be biblical this year," he said. "You're going to hear a collective wail in the Washington area, up through Frederick and Allegany counties, like you've never heard before. The [bug] populations are just through the ceiling."
The change in season, as days shorten and nighttime temperatures start to dip, is nature's call to the brown marmorated stink bug - pest extraordinaire - to leave its summer gorging grounds and seek refuge inside. What's happening now is a massive population shift from orchards, cornfields and gardens to suburban homes, office buildings and hotels - the urban U.S. equivalents of rocky outcroppings in the stink bug's native Asia.
Stink bugs are harmless to people and their possessions. They don't bite. They don't sting. They're not known to transmit disease. But their population has grown so tremendously that they are not only causing vexation to homeowners but also, for the first time, wreaking damage to peaches and apples, soybeans and corn, and even ornamental shrubs and trees.
There is no easy way to kill lots of the bugs at once. They have no natural predators in the United States. Pesticides don't work effectively. The insects travel easily - hitching rides on buses and construction material - and adapt to winter in homes. As a result, they have flourished, spreading to 29 states since they arrived in Allentown, Pa., in 2001, likely stowaways in a shipping container from Asia. They are native to Japan, Korea and China, where they are known as "stinky big sisters."
And now they are causing a stink in the mid-Atlantic region.
Experts say homeowners should prevent them from coming indoors by sealing cracks and openings around doors and windows. Once the bugs are inside, residents can vacuum them up, remove the bag and put it in the garbage outside. (Beware: The smell may linger in the vacuum cleaner.) Experts warn against using outdoor pesticides.
It's true: 'They smell'
"I'm looking out my window here, and I bet I have 30 of them on the screen," said longtime Middleburg resident Margo Tate. "My husband smushes them and throws them in the trash. They're a mess. They smell when you squish them."
Lori Rice, 48, runs an organic farm in Middleton, in Frederick County. She finds them indoors and outside. Indoor bugs she traps in "death jars" - pint jars containing soapy water. The soap, she said, dissolves the exoskeleton. Twice a day, she flushes the bugs down the toilet.
On Rice's farm, Asian pears, raspberries and tomatoes have all suffered.
"If all our vegetables hadn't already [been] withered by the heat and drought this year, the bugs would likely have broken our hearts there as well," she wrote in an e-mail.
DIABETE: IN TOSCANA E’ IN CRESCITA
Aumento del 3% in dieci anni. Il diabetologo Edoardo Mannucci,stasera la talk - show
VIAREGGIO – Con un aumento del 3% dei casi in dieci anni,la Toscana è una delle regioni a più elevata incidenza di diabete ( attualmente sfiora il 7% dell’intera popolazione). Un problema medico e sociale che preoccupa istituzioni,medici e cittadini. Un allarme che emergerà stasera durante l’intervento del prof. Edoardo Mannucci, direttore dell’Agenzia Diabetologica all’Azienda ospedaliera universitaria di Careggi, nel corso di un talk show condotto da Franco Di Mare.
Il diabete può considerarsi una pandemia – ha anticipato al nostro giornale –perché diversi fattori lo favoriscono. In pratica non è solo una malattia dei paesi industrializzati,ma anche di quelli emergenti. Alla base, con una alimentazione non corretta, ci sono l’obesità,la scarsa attività fisica e poi l’allungamento della vita media. A parità di peso,chi fa ginnastica ha minori probabilità di svilupparlo.
In particolare si sta diffondendo quello alimentare,di tipo due (l’altro,tipo 1 è a predisposizione genetica con una percentuale inferiore al 4% dei pazienti diabetici. Qui, una certa componente può esercitarla l’azione virale).
Di diabete non si guarisce – ha confermato Mannucci nell’incontro cui parteciperanno Roberto Cocci presidente regionale delle associazioni toscane diabetici e Marco Ruggeri,presidente regionale della SIMG,la società italiana dei medici di medicina generale – ma curarlo e bene è indispensabile per evitare le complicazioni, spesso causa di conseguenze fatali. Rene,retina e l’intero sistema vascolare sono i punti terminali di un percorso che in larga misura si può controllare.
GIAN UGO BERTI
24 set 2010
Studio presentato al Congresso mondiale su nutrizione e salute pubblica a porto
Un tumore su quattro si previene a tavola
Nel 2010 saranno diagnosticati oltre 11 milioni di nuovi casi di patologie e si stimano otto milioni di morti
Un tumore su quattro si previene a tavola
Nel 2010 saranno diagnosticati oltre 11 milioni di nuovi casi di patologie e si stimano otto milioni di morti
MILANO - La prevenzione dei tumori parte dalla tavola almeno in un caso su quattro. È quanto sottolinea uno studio del Fondo mondiale per la ricerca sul cancro (Wcrf), presentato al Congresso mondiale su nutrizione e salute pubblica in corso a Porto. Il cancro, ha detto il direttore del progetto di ricerca Martin Wiseman, si appresta a divenire «la principale causa di morte nel mondo». Nel 2010 oltre 11 milioni di nuovi casi di patologie oncologiche saranno diagnosticati e si stima che le morti siano 8 milioni. In prospettiva, nel 2030 dovrebbero essere tra 11,5 e 15,5 milioni le morti per tumori, in maggioranza nei Paesi a basso o medio Pil.
DIETA BILANCIATA - «Tuttavia è possibile prevenire circa un quarto, se non un terzo addirittura, dei rischi di patologie oncologiche più frequenti attraverso una dieta salutare, il controllo del peso-forma, la regolare attività fisica», ha detto Wiseman. Da qui le raccomandazioni degli esperti: accompagnare la dieta alimentare bilanciata e il movimento fisico a frequenti controlli medici perché per l'efficacia della cura rimane «essenziale» la diagnosi precoce. «Ancora oggi la maggior parte dei tumori viene diagnosticata all'ultimo stadio» ha aggiunto Geoffrey Cannon, curatore del rapporto 2007 del Wcrf in collaborazione con l'Istituto americano di ricerca sul cancro (Aicrf). «Per una maggiore efficacia nelle cure e per il contenimento della spesa sanitaria - ha concluso - è necessaria una maggiore collaborazione tra i principali attori del sistema della sanità pubblica. È proprio la prevenzione dei tumori la sfida globale sfida». (Fonte: Ansa)
24 settembre 2010
23 set 2010
studio dell'Università di Toronto
Parlate da soli? Non siete pazzi (forse)
Serve a migliorare il proprio autocontrollo e ridurre l’impulsività, oltre che a rafforzare la volontà
studio dell'Università di Toronto
Parlate da soli? Non siete pazzi (forse)
Serve a migliorare il proprio autocontrollo e ridurre l’impulsività, oltre che a rafforzare la volontà
Pinocchio e il Grillo Parlante: un esempio di "vocina interiore"
MILANO - Parlare da soli non sarebbe affatto un sintomo di pazzia latente, bensì un modo per migliorare il proprio autocontrollo e ridurre l’impulsività, oltre che un valido aiuto per rafforzare la volontà quando si fa una dieta, per disinnescare i litigi e per aumentare la capacità decisionale. Questa la conclusione a cui sono giunti gli psicologi dell’Università di Toronto dopo aver sottoposto alcuni volontari a una serie di test, volti a studiare il loro autocontrollo quando dovevano ripetere ossessivamente una parola senza poter dar retta alla loro "vocina interiore" né parlare da soli. In un primo esperimento veniva chiesto ai partecipanti di spingere un bottone sul computer all’apparire sullo schermo di un determinato simbolo e di astenersi dallo schiacciare il tasto se, invece, il segno mostrato era differente. In realtà, la maggior parte dei simboli richiedeva l’atto richiesto, trasformando così il gesto in una risposta impulsiva. In questo modo, si è potuto misurare il self control dei volontari in base a come avessero opposto resistenza a premere il tasto all’apparire di un segno diverso da quello concordato.
L'ESPERIMENTO - «Questa ricerca mostra chiaramente che parlare da soli attraverso la nostra "vocina interna" ci aiuta ad esercitare il nostro autocontrollo - ha spiegato al Daily Mail il professor Michael Inzlicht, fra gli autori dello studio pubblicato sulla rivista Acta Psychologica - e a prevenire le decisioni impulsive. Grazie, infatti, a una serie di test abbiamo riscontrato che, in realtà, le persone reagiscono molto più impulsivamente quando non possono usare la loro vocina interiore o parlare da soli mentre svolgono un’attività». La seconda fase dell’esperimento scientifico ha, infatti, puntato sui modi per impedire ai partecipanti di esercitare la loro vocina interiore mentre svolgevano le prove, come ripetere in continuazione una data parola, al fine così di vedere se il blocco del "dialogo interno" avesse un qualche effetto sulla loro capacità di limitazione. «Questa fase - ha proseguito il professor Inzlicht - ha permesso chiaramente di vedere che senza la possibilità di verbalizzare messaggi a se stessi, i partecipanti all’esperimento non erano in grado di esercitare lo stesso autocontrollo di prima sulle loro azioni. Del resto, si è sempre saputo che la gente parla da sola, ma fino ad ora nessuno era stato in grado di stabilire l’importanza che avesse tale funzione». Quindi, dar retta alla propria vocina interiore quando questa ci dice di fare una determinata cosa non solo non è sbagliato, ma aiuterebbe i nostri comportamenti. « Il nostro obiettivo era quello di scoprire se parlare da soli servisse davvero oppure no - ha concluso la dottoressa Alexa Tullett, altra ricercatrice dello studio canadese - e la conclusione è che noi ci mandiamo continuamente dei messaggi, che sia di continuare a correre quando siamo stanchi o di smettere di mangiare anche se vogliamo ancora una fetta di dolce, con la precisa intenzione di controllare le nostre azioni».
Simona Marchetti
23 settembre 2010
© RIPRODUZIONE RISERVATA
22 set 2010
STUDIO AMERICANO
Gli effetti benefici dei massaggi
Potenziano le risposte del sistema immunitario e riducono gli ormoni dello stress in circolo nell'organismo
STUDIO AMERICANO
Gli effetti benefici dei massaggi
Potenziano le risposte del sistema immunitario e riducono gli ormoni dello stress in circolo nell'organismo
Il massaggio svedese
MILANO - Buone notizie per chi ama i massaggi: da oggi ci sono almeno un paio di ottimi motivi per starsene sdraiati a farsi manipolare, perché secondo uno studio del Dipartimento di Psichiatria e Neuroscienze Comportamentali dell'ospedale Cedar's Sinai di Los Angeles i massaggi non sono solo rilassanti, hanno veri e propri effetti biologici positivi. Due su tutti: riducono la quantità di ormoni dello stress in circolo e potenziano le risposte del sistema immunitario, proteggendo da infezioni e malattie.
MASSAGGIO SVEDESE - Chi preferisce un massaggio a una sudata in palestra si sentirà sollevato: sta davvero facendo qualcosa di buono per la sua salute. Lo dimostrano i dati raccolti da Mark Rapaport, il coordinatore dello studio, su 29 volontari sani: alcuni di loro sono stati sottoposti a 45 minuti di massaggio svedese, altri a 45 minuti di un massaggio "leggero", che prevedeva solo lievi sfioramenti. Il massaggio svedese è molto diffuso in Europa ed è sostanzialmente un massaggio "standard": prevede l'impiego di olio e si fa su una persona sdraiata sul lettino, attraverso manovre di sfioramento, frizione, impastamento e percussione in sequenze non rigidamente prefissate che dovrebbero garantire un effetto rilassante, tonificante e drenante (anche per questo viene spesso proposto per la prevenzione della cellulite). Per capire a fondo gli effetti reali di questo tipo di massaggio sull'organismo, Rapaport ha messo ai suoi volontari un catetere venoso per il prelievo di sangue: dopo averlo inserito, i partecipanti si sono riposati mezz'ora; poi sono stati raccolti alcuni campioni di sangue, uno e cinque minuti prima del massaggio; il prelievo è stato ripetuto alla fine del massaggio, dopo uno, 5, 10, 15, 30 e 60 minuti.
EFFETTI POSITIVI - I risultati delle analisi del sangue, in pubblicazione a ottobre sul Journal of Alternative and Complementary Medicine provano che «il massaggio non fa soltanto sentire genericamente meglio, ma può farci veramente del bene», per usare le parole di Rapaport. Già un singolo massaggio, infatti, provoca effetti benefici precisi e soprattutto misurabili. «Il massaggio svedese ha aumentato il numero e la percentuale dei linfociti in circolo, le cellule del sistema immunitario che ci difendono da infezioni e malattie - spiega Rapaport -. Inoltre, ha ridotto drasticamente i livelli di arginina-vasopressina, un ormone che è coinvolto nei comportamenti aggressivi e che provoca incrementi dell'ormone dello stress, il cortisolo. Il cortisolo stesso, poi, è risultato in netta diminuzione, così come diverse citochine infiammatorie». Insomma, 45 minuti di relax che fanno davvero bene, nel profondo. «I massaggi sono assai popolari, si stima che una persona su dieci se ne sia fatto almeno uno nel corso degli ultimi 12 mesi - dice lo specialista americano -. Molti fanno massaggi ritenendo che siano una parte importante nell'ambito di uno stile di vita sano. Oggi abbiamo la prova che è così, perché il massaggio provoca modifiche fisiologiche reali e tangibili, con effetti potenzialmente positivi su benessere e salute», conclude Rapaport.
Elena Meli
21 settembre 2010
© RIPRODUZIONE RISERVATA
20 set 2010
ARTIGLIO DEL DIAVOLO
(Harpagophytum procumbens)
FAMIGLIA: Pedaliaceae
ARTIGLIO DEL DIAVOLO | FAQ
HABITAT: originario dell'Africa meridionale, in particolare Sud Africa, Namibia e Botswana, dove cresce sui suoli ricchi di ossido di ferro delle savane semidesertiche.
PARTE USATA: le radici laterali tuberizzate.
PREPARAZIONI FARMACEUTICHE CONSIGLIATE: estratto secco nebulizzato e titolato in glicoiridoidi totali min 1,8%, di cui l'80% deve essere rappresentato da arpagoside (Farmacopea Italiana X), la cui dose giornaliera va da 10 a 16 mg. per kg. di peso corporeo, suddivisi in due somministrazioni meglio se dopo i pasti principali, a causa del suo gusto molto amaro.
COMPOSIZIONE CHIMICA: è una pianta ricca di sostanze iridoidi, il cui costituente maggioritario è l'arpagoside.
PROPRIETÀ TERAPEUTICHE: Azione anti-infiammatoria e antidolorifica: le ricerche cliniche e sperimentali evidenziano che questa pianta possiede una notevole azione anti-infiammatoria, alla quale si associano anche attività antidolorifiche e antispasmodiche.
Sono stati fatti alcuni studi sull'uomo, che dimostrano come l'estratto secco titolato in arpagoside di questa pianta possa ridurre i dolori nel paziente artrosico, con un tasso di efficacia che varia dal 42 all'85% a seconda del tipo di artrosi e della gravità dei sintomi. Il periodo di tempo necessario per il manifestarsi dell'effetto è di circa 7-8 giorni, e raggiunge il massimo dopo circa 30 giorni, mantenendosi poi immodificato continuando la cura. Il dosaggio medio somministrato in questi studi oscillava da 600 a 1200 mg. di estratto secco titolato al giorno, per periodi compresi fra i 60 e i 90 giorni. I fallimenti della suddetta terapia oscillano tra il 10 e il 15% dei pazienti trattati. Ovviamente tutti questi studi confermano che l'efficacia di questa pianta è tanto maggiore quanto più precoce è la terapia.
Una analisi accurata degli studi fatti nell’uomo (Settembre 2004) ha valutato l’efficacia e la tollerabilità dell’Arpagofito nel paziente artroreumatico. Sono stati considerati solo gli studi clinici fatti con metodica assolutamente rigorosa, selezionandone 12. Di questi 6 riguardavano pazienti con osteoartrite, 4 pazienti con lombalgia recidivante e 3 pazienti con dolori osteoarticolari migranti. La letteratura indica che la minima dose giornaliera efficace di arpagoside è di 30 mg, con effetti ottimali intorno ai 60 mg al giorno di questa sostanza per pazienti con dolori cronici, mentre la dose minima efficace nel dolore acuto è di 100 mg al giorno di arpagoside. La letteratura indica anche che 60 mg al giorno di arpagoside sono sostanzialmente analoghi come efficacia ai comuni farmaci anti-infiammatori usati nella lombalgia cronica recidivante. La tollerabilità di queste dosi di estratto è stata discreta, con un’incidenza di effetti avversi di tipo gastrointestinale di circa l’8% dei soggetti trattati
Indicazioni principali: malattie artroreumatiche, piccola traumatologia sportiva.
Azione prevalente: anti-infiammatoria e antidolorifica.
EFFETTI COLLATERALI: ha un sapore molto amaro, per cui la somministrazione delle forme liquide non è molto ben accetta dal paziente.
Può provocare talvolta mal di stomaco con nausea, particolarmente in soggetti con gastrite acuta e/o ulcera peptica. Pertanto si consiglia di assumere questo estratto a stomaco pieno. In alcuni rari casi può provocare dolori addominali con diarrea.
CONTROINDICAZIONI: Non è consigliabile nel bambino al di sotto dei 12 anni, in gravidanza e durante l'allattamento.
INTERAZIONI CON FARMACI: non note.
DATI TOSSICOLOGICI: Questa pianta è praticamente atossica, essendo la dose letale nel topo pari a circa 100 volte quella normalmente utilizzata. La somministrazione di 600 mg per kg di peso corporeo al giorno per un periodo di 30 giorni nel ratto non ha causato evidenti effetti collaterali.
BIBLIOGRAFIA.
Wagner H. Search for new plant constituents with potential antiphlogistic and antiallergic activity. Planta Med. 55, 235, 1989.
Lanhers M.C. et al. Antiinflammatory and analgesic effect of an acqueous extract of Harpagophytum procumbens. Planta Med. 58, 117, 1992.
Handa S.S. et al. Plants with antiinflammatory activity. Fitoterapia, LXIII, 3, 1992.
Wolf E. et al. Harpagophytum extracts is an effective antiinflammatory agent. Pharm. Ztg. 142, 36, 1997.
Whitehouse L.W. et al. Devil’s claw (Harpagophytum procumbens): no evidence for anti-inflammatory activity in the treatment of arthritic disease. Can. Med. Assoc. J. 129, 249-251, 1983.
Chrubasik S. et al. Effectiveness of Harpagophytum extract WS 1531 in the treatment of exacerbation of low back pain: a randomized, placebo-controlled, double-blind study. Eur. J. Anaesthesiol. 16, 118-129, 1999.
Wegener T. Therapy of degenerative diseases of the musculoskeletal system with South African devil's claw (Harpagophytum procumbens DC).Wien Med. Wochenschr. 149, 254-257, 1999.
Chantre P. et al. Efficacy and tolerance of Harpagophytum procumbens versus diacerhein in treatment of osteoarthritis. Phytomedicine 7, 177-183, 2001.
Laudahn D. et al. Efficacy and tolerance of Harpagophytum extract LI 174 in patients with chronic non-radicular back pain. Phytother. Res. 15, 621-624, 2001.
Chrubasik S. et al. Comparison of outcome measures during treatment with the proprietary Harpagophytum extract doloteffin in patients with pain in the lower back, knee or hip. Phytomedicine 9, 181-194, 2002.
Chrubasik S. et al. A randomized double-blind pilot study comparing Doloteffin((R)) and Vioxx((R)) in the treatment of low back pain. Rheumatology (Oxford) 42(1):141-8, 2003.
Chrubasik S. Et al. The quality of clinical trials with Harpagophytum procumbens. Phytomedicine. 10(6-7):613-23, 2003.
Gagnier J.J. et al. Harpagophytum procumbens for osteoarthritis and low back pain: a systematic review. BMC Complement Altern Med. 4(1):13, 2004.
19 set 2010
Stima degli altri Una ricerca americana dice che conviene
A pensar bene forse non si indovina,
però si vive molto più felici
Fra i maldicenti ci sono più depressi
A pensar bene forse non si indovina,
però si vive molto più felici
Fra i maldicenti ci sono più depressi
MILANO - Vi sforzate di vedere positivamente gli altri e cercate di mettere in buona luce le persone con cui avete a che fare? Dalla ricerca scientifica eccovi finalmente arrivare un riconoscimento: chi ha questo approccio positivo è una persona più stabile emotivamente e anche più felice. Al contrario, chi tende a vedere gli altri negativamente, e a parlarne male, in realtà giudica negativamente se stesso. Infatti, le modalità con cui vengono percepiti gli altri indicano più come è fatto chi osserva che chi è osservato. È questa la conclusione di una ricerca realizzata da tre psicologi americani, guidati da Dustin Wood della Wake Forest University, e pubblicata di recente sul Journal of Personality and Social Psychology. La percezione che si ha degli altri rivela, dunque, molto della personalità di chi li percepisce, confermando una visione che la saggezza del Talmud, uno degli antichi testi sacri dell'ebraismo, aveva intuito e sintetizzato con le seguenti parole: «Noi non vediamo il mondo come è, vediamo il mondo come noi siamo».
LO STUDIO - La ricerca americana ha seguito una complessa metodologia basata su tre differenti studi, ma, in sostanza, gli psicologi autori del lavoro hanno chiesto a un gruppo di studenti di college di esprimere una valutazione su alcune caratteristiche di altri studenti che già conoscevano. «In ogni studio abbiamo rilevato l'esistenza di una relazione regolare fra determinati tratti di personalità e la percezione delle caratteristiche altrui» scrivono gli autori dello studio. «Chi percepiva gli altri positivamente — spiegano gli psicologi — era più gioviale e tendenzialmente con un’indole più amichevole; chi "pensava bene" degli altri risultava, inoltre, maggiormente soddisfatto della propria vita. E, non a caso, forse, chi stimava gli altri era anche più apprezzato dalle persone del gruppo osservato». Secondo le rilevazioni degli psicologi, poi, tra gli studenti "ottimisti", come era peraltro prevedibile, erano presenti meno persone che soffrivano di disturbi di personalità, depressione, o con attitudini antisociali. La positività nel valutare i conoscenti — ci dicono inoltre i ricercatori, ed è interessante sottolinearlo — non è affatto una semplice proiezione su di loro delle buone qualità presenti nell'osservatore. In nessuna delle tre ricerche, infatti, gli osservatori valutati come estroversi hanno trovato i conoscenti particolarmente estroversi; piuttosto, hanno individuato in loro altri tipi di caratteristiche positive. Si tratta, dunque, — sottolineano gli psicologi della Wake Forest University — proprio di un modo di percepire gli altri, che è influenzato da come si è, senza risultare però una semplice proiezione del proprio modo di essere. Naturalmente, tutto questo è confermato dal fatto che chi vede coloro che lo circondano in modo negativo, tende ad avere a sua volta tratti di personalità negativi, come depressione, narcisismo, comportamento antisociale. «Se da una parte sembra assodato che le persone che vedono gli altri più positivamente sono più felici e possono anche contare su un miglior equilibrio mentale, — aggiunge il professor Dustin Wood — il grande interrogativo che resta aperto, e che sfortunatamente non è stato esplorato dalla nostra ricerca, è come indurre chi è negativo nei confronti degli altri ad assumere un atteggiamento più positivo verso il prossimo».
OTTIMISMO E INGENUITÀ -Alla fin fine, tuttavia, c'è anche da dire che probabilmente nessuno vorrebbe diventare troppo ottimista nei rapporti con gli altri: una simile posizione, infatti, esporrebbe a un eccessivo abbassamento della guardia nei confronti di un mondo che non è mai tutto rose e fiori. «Anche se la mia ricerca non era indirizzata esplicitamente ai possibili lati negativi dell'eccessivo ottimismo — ci chiarisce il professor Wood — esistono buoni motivi per pensare che tali lati negativi possano esistere. Credo che, di norma, sia una buona cosa immaginare gli altri come persone affidabili e dotate di caratteristiche positive. Bisogna, tuttavia, anche essere capaci, di tanto in tanto, di capire quando abbiamo attorno persone che sono invece inaffidabili e anche potenzialmente pericolose, perché anche questo è un aspetto della realtà». «Riuscire a cogliere queste situazioni, — prosegue lo psicologo americano — e di conseguenza chiudersi in se stessi, o sottrarsi al contatto con queste persone realmente inaffidabili, può essere importante per evitare danni e pericoli». «Di norma, comunque, — conclude Wood — la lezione che si può trarre da questa mia ricerca indica che, nella maggior parte delle situazioni, focalizzare la propria attenzione sugli attributi positivi delle persone che ci circondano porta solo benefici».
Danilo di Diodoro
19 settembre 2010
DA Corriere salute
CONTROLLO NATURALE DELLO ZUCCHERO
In commercio nuova molecola (saxagliptin), capace di stimolare l’insulina solo in quantità strettamente necessaria. E’ in fascia A
ROMA - Il diabete dipende sempre più dal funzionamento di ormoni intestinali. Una malattia che colpisce il 5% degli italiani e che è pericolosa per la gravità delle complicazioni (cuore,cervello,rene, occhi). L’ultima molecola immessa in questi giorni sul mercato ( in fascia A, a carico del Servizio Sanitario Nazionale) esalta infatti l’attività di quegli ormoni intestinali capaci di favorire la produzione d’ insulina da parte del pancreas e tenere sotto controllo, quindi, la glicemia, il livello cioè di zuccheri nel sangue. La loro presenza nel sangue,però, è transitoria, perché rapidamente attivata e degradata ad opera di un particolare enzima, dipeptil peptidasi 4. Proprio su questo agisce il saxagliptin, bloccando e favorendo così la persistenza in circolo dei due ormoni (GLP -1 e GIP). In tal modo l’insulina viene stimolata in maniera non artificiale, ma naturale,sfruttando l’azione di ormoni che fanno abitualmente tale lavoro.
Come si è detto in una conferenza stampa a Roma,promossa da Bristol-Myers Squibb ed Astra Zeneca, il candidato ideale per il trattamento è il paziente in fase ancora precoce della malattia ed in cura con il farmaco base,la metformina, che non riesce a raggiungere i target glicemici necessari a ridurre il rischio di complicazioni.
Ed è su questa prospettiva che hanno posto l’accento i proff. Stefano Del Prato di Pisa,Francesco Giorgino di Bari e Antonio Nicolucci del Consorzio “Mario Negri Sud”. Un paziente diabetico su due ha necessità di un ricovero annuale, le probabilità di avere complicazioni cerebro e cardiovascolari sono doppie, quadruple per quelle renali ed otto volte superiori per l’amputazione del piede.
Il trattamento deve essere avviato precocemente ( la diagnosi viene mediamente fatta soltanto dopo 6-9 mesi dall’inizio della malattia), non appena si manifesta,spesso senza disturbi, la perdita del controllo
glicemico. Lo scopo è l’attivazione del circolo vizioso del quadro clinico, con l’aumento della resistenza all’insulina e l’invitabile aggravamento.
Oltre infatti a permettere un controllo efficace dei valori, presenta un ottimo profilo di tollerabilità. Al contrario di altri farmaci, non provoca l’abbassamento della glicemia sotto la soglia della normalità perché stimola la produzione d’insulina solo nella misura strettamente necessaria,quando il tasso glicemico risulti alto. Inoltre non richiede il monitoraggio della funzionalità del fegato. E’ una compressa monodose giornaliera, a qualunque ora per scelta del paziente, comunque mantenendo l’intervallo delle 24 ore.
GIAN UGO BERTI
( riproduzione vietata)
18 set 2010
16 set 2010
- CFS - Sindrome da stanchezza cronica
Cosa è la Sindrome da stanchezza cronica?
Nel dicembre 1994, un gruppo internazionale di studio sulla Sindrome da stanchezza cronica, costituito dai Centers for Disease Control (CDC) di Atlanta - USA, tra i quali il Prof. Umberto Tirelli, unico rappresentante dell’Italia, ha pubblicato sugli Annals of Internal Medicine (15 Dicembre 1994, Fukuda et al.), una nuova definizione di caso di CFS che rimpiazzava la definizione pubblicata sei anni prima. Nella nuova definizione un caso di Sindrome da stanchezza cronica é definito dalla presenza delle seguenti condizioni: una stanchezza cronica persistente per almeno sei mesi che non é alleviata dal riposo, che si esecerba con piccoli sforzi, e che provoca una sostanziale riduzione dei livelli precedenti delle attività occupazionali, sociali o personali ed inoltre devono essere presenti quattro o più dei seguenti sintomi, anche questi presenti per almeno sei mesi: disturbi della memoria e della concentrazione così severi da ridurre sostanzialmente i livelli precedenti delle attività occupazionali e personali; faringite; dolori delle ghiandole linfonodali cervicali e ascellari; dolori muscolari e delle articolazioni senza infiammazione o rigonfiamento delle stesse; cefalea di un tipo diverso da quella eventualmente presente in passato; un sonno non ristoratore; debolezza post esercizio fisico che perdura per almeno 24 ore. Ovviamente devono essere escluse tutte le condizioni mediche che possono giustificare i sintomi del paziente, per esempio ipotiroidismo, epatite B o C cronica, tumori, depressione maggiore, schizofrenia, demenza, anoressia nervosa, abuso di sostanze alcoliche ed obesità.
La complessità della sindrome da stanchezza cronica e l'esistenza di diversi ostacoli alla sua comprensione rendono necessario un approccio integrato per lo studio di questa patologia e di patologie similari. Il concetto di fatica é di per sé non chiaro, e sviluppare una definizione operativa di fatica é stato un problema per gli autori. Comunque nella concezione degli autori, il sintomo fatica si riferisce a una spossatezza molto grave, sia mentale che fisica, che si determina anche con uno sforzo fisico minimo, oltreché ovviamente, per definizione, non dovuta ad una malattia nota, e che differisce dalla sonnolenza e dalla mancanza di motivazione.
La CFS é stata riportata in tutto il mondo, compresa l'Europa, l'Australia, la Nuova Zelanda ed il Canada, l'Islanda, il Giappone, la Russia ed il Sudafrica.
Presso il Centro di Riferimento Oncologico di Aviano, sono stati compiuti una serie di studi, il primo dei quali con la descrizione della prima serie di pazienti italiani con le loro caratteristiche cliniche (U Tirelli et al., Arch Intern Med, 153, Jan 11, 1993, 116-120), la valutazione delle alterazioni immunologiche nei pazienti con CFS (U Tirelli et al., Scand. J. Immunol. 40, 601-608, 1994), la valutazione delle alterazioni cerebrali con una sofisticata metodologia di diagnosi radiologica, la PET (U Tirelli et al., The American Journal of Medicine, 105 (3A) 54S-58S, 1998), l'eventuale rapporto della CFS con i tumori maligni, lo studio di nuovi farmaci, in particolare immunoglobuline ad alte dosi, magnesio, acetilcarnitina, antivirali come amantadina e acyclovir ed immunomodulatori come timopentina. Complessivamente si può affermare che questa patologia debilitante perdura in molti pazienti per diversi anni, mentre in altri, spontaneamente o con l'intervento farmacologico, tende a migliorare nel tempo. Vi sono anche casi guariti ed altri che hanno avuto un notevole beneficio dai trattamenti adottati. I pazienti sono solitamente giovani e donne con un età media intorno ai 35-40 anni. La CFS é praticamente assente negli anziani (oltre i 65-70 anni), ma vi é qualche caso pediatrico. Presso l'unità CFS della Divisione di Oncologia Medica e AIDS del Centro di Riferimento Oncologico (CRO) di Aviano sono stati osservati ad oggi oltre 500 casi di CFS con i criteri dei CDC di Atlanta.
Recentemente l'Istituto Nazionale delle Allergie e delle Malattie Infettive dei National Institutes of Health statunitensi ha prodotto un volumetto dal titolo "Chronic Fatigue Syndrome. Informazione per i medici". L'autorevolezza della fonte dovrebbe fugare dubbi, se ancora ve ne fossero, sulla esistenza della sindrome.
Vi sono oggigiorno diverse terapie per la CFS, molte delle quali possono alleviare i sintomi e la sintomatologia generale, ma non esiste ancora un trattamento definitivo. Nuove speranze provengono da un nuovo farmaco l'Ampligen, che è un modificatore della risposta biologica, precisamente e' l'acido ribonucleico a doppia elica, "mismatched" cioe' spaiato, che esercita attivita' tra di loro correlate: attivita' immunomodulatoria, attivita' antivirale contro virus sia RNA che DNA e attività antitumorale. L'Ampligen regola l'espressione e l'azione di varie citochine, tra le quali l'interferone, l'interleuchina e il tumor necrosis factor ed altri componenti del sistema immunitario quali macrofagi, linfociti natural killers, linfociti T e B. Inoltre l'Ampligen interviene direttamente nell'attivazione antivirale e immunitaria modulando specifici enzimi importanti per questi processi. Per queste attivita' biologiche l'Ampligen e' stato testato in diversi studi su pazienti con CFS, dimostrando attraverso test obbiettivi ed analisi statistiche la propria attivita'. Infatti e' in grado di ridurre significativamente i sintomi ed aumentare il performance status del paziente. Inoltre e' stato in grado, in uno studio randomizzato a doppio cieco, di aumentare la capacita' di svolgere attivita' giornaliere di lavoro riducendo pertanto il livello di supporto richiesto.
In tutti i trials nei quali e' stato testato, l'Ampligen e' stato molto ben tollerato e non si sono evidenziati effetti collaterali importanti. L’Ampligen è stato già valutato sia in USA dalla Food and Drug Administration che in Europa dall’EMEA. Entrambe le Agenzie hanno richiesto ulteriori indagini scientifiche per l’approvazione dell’Ampligen, che attualmente sono in atto.
Unità CFS c/o Divisione di Oncologia Medica A, Istituto Nazionale Tumori, Via Pedemontana Occidentale n.12, 33081 Aviano (Pordenone) Segreteria CFS ASSOCIAZIONE ITALIANA (tel.: 0434-660277 lun-mer-ven 09.00-11.00).
15 set 2010
14 set 2010
Dopo il parto cala il desiderio: 6 mesi per ritrovare il piacere
Dopo il parto cala il desiderio: 6 mesi per ritrovare il piacere
Uno studio pubblicato sul Journal of Sexual Medicine sostiene che a distanza di 90 giorni dalla nascita del bebè l'83% delle donne afferma di non av
Roma, 3 settembre 2010 - Per ritrovare il piacere sotto le lenzuola, le neomamme devono aspettare dai 3 ai 6 mesi dopo il parto. Lo sostiene uno studio pubblicato sul Journal of Sexual Medicine secondo il quale a distanza di 90 giorni dalla nascita del bebè l'83% delle donne afferma di non avvertire alcun desiderio sessuale.
La situazione è destinata a tornare alla normalità entro sei mesi, quando 9 donne su 10 dicono di aver recuperato un'attività sessuale paragonabile a quella che precedeva la nascita del bambino. Lo studio ha esaminato 50 ricerche sull'argomento scoprendo che i sintomi che tengono più comunemente lontane le neomamme dal sesso sono secchezza vaginale, sanguinamenti, dolore durante i rapporti sessuali, difficoltà a raggiungere l'orgasmo e i cambiamenti ormonali legati all'allattamento al seno.
Secondo Irwin Goldstein, esperto di medicina della sessualità all'Alvarado Hospital di San Diego, in California, le donne che continuano a sperimentare la caduta della libido dopo sei mesi dovrebbero parlarne con il proprio medico personale.
13 set 2010
ACQUA E MEMORIA: UN BICCHIERE AL MATTINO PRIMA DELLA SCUOLA
Studio all'Università di Bologna, la disidratazione ha effetti negativi
sul cervello dei bambini
MILANO – Un bel bicchier d'acqua al mattino,prima di far colazione ed andare a scuola. E' il semplice segreto per evitare il rischio di una disidratazione. Lo sostiene il prof. Alessandro Zanasi dell'Università di Bologna, spiegando come bere poca acqua possa alterare le capacità di memorizzazione sia quella uditiva,a breve termine e visiva. Da qui, trattandosi di bambini, il riflesso sul rendimento è palese.
I disturbi,se il problema persistesse, non sono pochi:insonnia,bocca secca,affaticamento,debolezza muscolare,mal di testa,vertigini o capogiri. Uno studio realizzato in Sardegna, ha rivelato in particolare che l'83% dei bambini presenta un'osmolarità urinaria al mattino ( la concentrazione di sostanze disciolte nelle urine è indice del livello d'idratazione) superiore ai livelli normali.
Suggerimento: è importante abituare i bambini ,sin dalla tenera età,a rispondere al bisogno d'idratarsi bevendo regolarmente piccole quantità di acqua prima che si manifesti il senso della sete. Una buona consuetudine potrebbe anche essere quella di portare con sé una bottiglietta d'acqua.
Negli adulti, prosegue lo studio bolognese, è stato dimostrato che la disidratazione può compromettere negli adulti in modo significativo le funzioni cognitive come l'attenzione,la concentrazione e la memoria a breve termine. Nei bambini,la condizione può influenzare le prestazioni intellettive. Una prova indiretta: far bere acqua un po' prima di svolgere dei test cognitivi esercita un effetto particolarmente positivo.
Quanta acqua bere? La cifra cambia a seconda dell'età,sesso,grado di temperatura ambientale ed attività fisica. Un bimbo fra i 4 e gli 8 anni che vive in un clima temperato dovrebbe bere ogni giorno 1,1 litri
d'acqua, mentre i,5 ed i,1,3 dovrebbe essere la quantità media per ragazzi e ragazze,rispettivamente,far i nove ed i tredici anni.
Riflesso positivo,se trattasi di acqua minerale calcica,anche sulla strutturazione dello scheletro nella delicata fase di crescita. Se i prodotti lattiero – caseari sono la principale fonte di calcio,le acque minerali naturali possono fornire una preziosa integrazione. La quantità di assorbimento di calcio a livello intestinale è pari fra latte ed acqua minerali calciche.
GIAN UGO BERTI
(riproduzione vietata)
SESSO ESTIVO PIU' SICURO
Un'indagine dei ginecologi italiani rivela un aumento dell'uso di contraccettivi. Cala l'aborto, ma non sotto i 24 anni
ROMA - Un'estate positiva è quella che si conclude sul fronte dell'uso dei contraccettivi fra i giovani. Lo rivela un'indagine della SIGO ( Società Italiana Ginecologia ed Ostetricia), secondo cui sei ragazzi su dieci in vacanza hanno avuto più rapporti sessuali,ma il 72% ha usato contraccettivi,il 20% ne ha portati una buona scorta in valigia ed il 28% si è protetto di più. Esattamente dodici mesi fa, da un'analoga ricerca,ben il 58% delle ragazze ammetteva di non utilizzare alcun metodo anticoncezionale. Tutto ciò fa ben sperare i ginecologi che,di questi tempi, vedono il picco degli accessi per gravidanze indesiderate ed infezioni contratte nei mesi più caldi.
Circa la prevenzione, confortante - stando alla SIGO - è il risultato del progetto "Scegli tu" (www.sceglitu.it) ,anche se non sono ben conosciuti rischi e limiti del coito interrotto (23%),ma che non viene considerato un metodo contraccettivo. Occorre sensibilizzare poi quel 50% che dichiara di non essere sempre attento.
I due terzi delle malattie sessualmente trasmesse si presentano sotto i 25 anni d'età. Inesperienza e disattenzione rendono le ragazze più facili vittime di gravidanze indesiderate: nel 2008,secondo il Ministero della Salute, sono stati oltre 4 mila gli aborti fra minorenni. Dal 1983, il tasso d'abortività è diminuito, ma meno nelle donne sotto i 24 anni. Abbiamo però ampie possibilità di miglioramento nell'educazione sessuale,dove siamo invece in netto ritardo rispetto al resto del continente. Vanno inoltre potenziati e sostenuti i consultori, un
fondamentale presidio sul territorio ( sono 0,7 ogni 20 mila abitanti,il 30% in meno di quanto previsto dalla legge).
GIAN UGO BERTI
(riproduzione vietata)
11 set 2010
Salute, niente colazione per 64% alunni
Nutrizionisti e pediatri chiedono secondo intervallo
Salute, niente colazione per 64% alunni
Ripartire le calorie da assumere durante l'intero arco della giornata dedicando alla prima colazione circa il 20%, il 30% al pranzo ed alla cena e il 10%
Roma, 10 set. (Adnkronos Salute) - L'inizio dell'anno scolastico è alle porte per oltre 6 milioni di bambini italiani che, pur avendo bisogno di essere in piena forma psicofisica per poter iniziare l'anno al meglio, saltano in blocco la prima colazione. Nonostante i nutrizionisti ribadiscano l'importanza fondamentale del primo pasto mattutino, che dovrebbe rappresentare circa il 20% delle calorie ripartite nell'arco delle 24 ore, il 64% di bimbi e ragazzi dai 6 ai 16 anni, per cattive abitudini dei genitori o mancanza di tempo, salta del tutto o quasi la prima colazione. E' quanto emerge da una ricerca commissionata da uno storico marchio di merendine, condotta su 180 famiglie per monitorare come sta cambiando tra gli italiani l'approccio alla prima colazione.
Nutrizionisti e pediatri concordano nel consigliare, in particolare ai più giovani, il cui organismo in crescita necessita di un rifornimento energetico più articolato nel tempo, di ripartire le calorie da assumere durante l'intero arco della giornata dedicando alla prima colazione circa il 20%, il 30% al pranzo ed alla cena e il 10% ai due intervalli di metà mattina e metà pomeriggio. Solo il 22% degli scolari viene infatti abituato dai propri genitori a fare abitualmente un'abbondante colazione prima di uscire di casa, mentre il restante 14% lo fa solo saltuariamente o non assimilando le giuste calorie necessarie a iniziare al meglio la giornata.
Gli esperti nutrizionisti lanciano una quindi proposta al mondo della scuola: introdurre un secondo intervallo in mattinata almeno per gli alunni della primaria, per sopperire alla scarsa attenzione riservata dai genitori, distratti e frettolosi, alla prima colazione e per insegnare così ai più giovani una corretta educazione alimentare.
"Concedere agli studenti due pause in mattinata li aiuterebbe a mantenere costante il livello di attenzione ed il tono dell'umore, migliorando le prestazioni scolastiche", spiega Pietro Antonio Migliaccio, presidente della Società italiana di scienza dell'alimentazione.
"E oltre ad arrivare meno affamati a pranzo evitando così le 'abbuffate' - aggiunge lo specialista - gestendo con maggiore controllo ciò che si mangia durante i pasti principali, si ottiene anche una significativa riduzione dei rischi obesità".
Poiché anche stare seduti sui banchi di scuola comporta un certo dispendio energetico, soprattutto quando bisogna studiare, è fondamentale immagazzinare le risorse energetiche e nutrizionali necessarie per potersi concentrare. Ecco perché una corretta alimentazione suddivisa in due pause, a distanza di due ore l'una dall'altra, secondo gli esperti, può aiutare a migliorare l'apprendimento e la memorizzazione e consentire di tornare sui libri più concentrati ed efficienti.