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16 feb 2011


Usi terapeutici della Cannabis
di Marcello Pamio

Non dovevo occuparmene più!
Dopo aver scritto Cannabis connection, mi ero promesso di regalare alla pianta più boicottata dell’umanità un meritato e doveroso riposo. Invece…parlando con diverse persone ho potuto constatare quanto sia ancora radicata la disinformazione sulla canapa. Una disinformazione medica che mi ha costretto a riprendere in mano la questione e trattare una volta per tutte l’aspetto forse più importante della pianta: quello terapeutico.
A tal proposito esiste una documentazione faraonica: libri, articoli, antichissimi erbari, ricerche e pubblicazioni scientifiche, esperienze di volontari, ecc. Tutto testimonia a favore della cannabis nella cura di patologie che vanno dai dolori muscolo-scheletrici, al glaucoma, dall’anoressia e depressione a malattie tremende come epilessia e sclerosi multipla, per non parlare del validissimo aiuto nell’alleviamento degli effetti secondari dei trattamenti chemioterapici nel cancro, come nausea e vomito, e negli stati debilitanti della Sindrome da Immunodeficienza (AIDS).
I risultati sono così entusiasmanti che oggi sperimentazioni mediche controllate sono iniziate in Stati Uniti, Germania, Spagna, Inghilterra, Belgio, Israele, Olanda e Canada. In quest’ultimo paese addirittura, l’Associazione Medica che riunisce tutti i 52 mila medici canadesi vorrebbe rimuovere dal codice penale l’uso personale della cannabis e sostituirlo con una semplice ammenda[1]. Cosa dire poi del recentissimo studio sull’abuso della droga da parte di una Commissione governativa inglese la cui conclusione è a dir poco incredibile: “Lo spinello dà meno assuefazione delle sigarette e dell’alcol[2]”. Non solo, il gruppo di esperti incaricati dal Ministro dell’Interno britannico per valutare i pro e i contro di un alleggerimento della legge sulle sostanze illecite, sostiene che la cannabis potrebbe addirittura fare bene alla salute: “l’azione cardiovascolare – spiega il rapporto – è simile agli effetti dell’esercizio fisico”.
Ma cosa sta succedendo? Una delle piante più antiche viene prima messa al bando rendendola illegale per decine di anni - paragonata ad una droga tossica e pericolosa per la salute - per poi saltare agli onori delle cronache vivendo oggi un periodo di quasi religiosa redenzione.
Una redenzione ostacolata da pochi e osannata da molti per via delle altre numerose applicazioni pratiche da guinness dei primati. Dalla canapa infatti oltre a medicinali che funzionano, e questo basterebbe, si possono ottenere: carta indistruttibile, materiale tipo plastica, coloranti, solventi, tessuti resistentissimi, cordame e molto altro ancora. Per questo, molto probabilmente, è stata oggetto della più grande opera di boicottaggio mai realizzata nella storia a noi conosciuta. Una fitocospirazione da fantascienza, che se non lo avete ancora letto vi consiglio di farlo al più presto (Cannabis connection)
Questo recente riconoscimento è la presa di coscienza di un errore passato di proibizionismo gratuito - anche se di gratuito non ha proprio nulla - o la riabilitazione obbligatoria per via di un numero sempre maggiore di utilizzatori e di prove della sua efficacia, almeno in termini medici? La cosa certa è che oggi chi giova di tutto questo, tranne pochissime persone autorizzate dai rispettivi governi a fumarsi la “piantina”, sono le corporazioni chimico-farmaceutiche che approfittando della situazione stanno commercializzando prodotti di sintesi, i cosiddetti analoghi, che emulano il principio attivo della cannabis: il THC. Una emulazione che vedremo in seguito presenta qualche piccolo inconveniente.
Prima però osserviamo a livello fisiologico come agiscono questi cannabinoidi “colpevoli” degli eccezionali risultati terapeutici.
Il THC, come abbiamo detto è il principio attivo della cannabis, cioè quello che agisce direttamente sull’organismo. Per essere più precisi interagisce con un sistema detto cannabinoide[3] normalmente presente nel corpo umano, e produce i suoi effetti agendo sui recettori del sistema. I recettori sono delle proteine molto speciali che si trovano sulle superfici di determinate cellule. La droga, in soldoni, forma una specie di ponte, un legame con queste proteine e per così dire attiva delle funzioni cellulari interne molto precise. Sono stati identificati due tipi di recettore: il CB1 e il CB2.
I CB1 sono presenti sui neurociti encefalici e spinali come in certi tessuti periferici; i CB2 si trovano principalmente sulle cellule del sistema immunitario ma non nel cervello[4].
Questo è molto interessante: abbiamo recettori della cannabis sul cervello e addirittura nel sistema immunitario[5].
Per dover di cronaca è doveroso anche sottolineare che non esiste solo il THC, questo indubbiamente è il più famoso e il più presente nella pianta, ma esistono oltre 60 cannabinoidi diversi l’uno dall’altro. Al momento attuale non si sa molto sulle proprietà di questi cannabinoidi se non che sembrano essere privi di effetti psicoattivi e/o psicotropi sul cervello. Quindi l’ipotesi che anch’essi influenzino positivamente gli effetti terapeutici della cannabis senza però interferire sul comportamento umano non è da scartare.
In definitiva questi cannabinoidi di origine naturale interagiscono con parecchie funzioni organiche e sono in grado tra le altre cose di bloccare la liberazione dell’acido glutammico, il principale neurotrasmettitore implicato nella patogenesi dell’ictus[6]; liberare dopamina, un altro importantissimo neurotrasmettitore collegato alla capacità di controllare i movimenti, e tanti altri aspetti più sottili che sono in fase avanzata di studio. A proposito di studi: prima ho accennato alle numerose sperimentazioni che si stanno facendo in tutto il mondo. Bene. Le sperimentazioni per chi non lo sapesse sono sempre costosissime, e nessun istituto di ricerca si sognerebbe di spendere soldi senza la certezza matematica di un notevole tornaconto. Un tornaconto che si materializza molto spesso in un farmaco o una terapia. Nel caso della cannabis abbiamo, per il momento, due tornaconti sintetici: Dronabinolo e Nabilone. Ce ne sarebbero altri, come il Levonantradolo, l’HU-210, il SR141716A, ecc. ma per il momento sono disponibili solo per usi sperimentali. Per il momento però. Domani…è un altro giorno.
Il Dronabinolo, il cui nome commerciale è Marinol® è prodotto dalla Unimed Pharmaceuticals Inc., una compagnia della Solvay Pharmaceuticals Corporation. Il Nabilone detto anche Cesamet® è prodotto in Inghilterra dalla Cambridge Selfcare Diagnostics Ltd per conto della Eli Lilly & Corporation, quella del Prozac® per intendersi.[7]
Naturalmente a questo punto era d’obbligo spulciare i foglietti illustrativi di questi farmaci. Cosa secondo voi abbiamo trovato? Siamo sempre alle solite: svariati effetti collaterali! Fin qui nulla di strano, visto che non esistono medicinali di sintesi privi di controindicazioni. Però se vi dicessi che le reazioni avverse sono le stesse curate però dalla pianta naturale, come anoressia, depressione, astenia[8], la cosa non assume una aspetto tragicomico? Se uso per esempio la “cannabis sintesis” per aiutare un’astenia potrei vedere insorgere una depressione accompagnata pure da vertigini. Oppure, che ne so, per alleviare nausea e vomito provoco palpitazioni e/o ansietà. Interessante vero? Si cura da una parte e si pagano le conseguenze dall’altra! L’onnipresente rovescio della medaglia. Sicuramente il dritto sarà un basso costo di vendita al pubblico, giusto? Sbagliato. Una ventina di capsule di Cesamet® per esempio, costano 102 sterline circa[9]! E il Marinol è ancora più costoso[10]. Avete capito? Una singola pastiglia, per capirci, costa oltre 15mila di vecchie lire! Più che un dritto, mi sembra un altro rovescio! Il problema è che nessuno sta giocando a tennis, qui abbiamo a che fare con la vita e la salute, già precarie, di tantissime persone sofferenti.
Allo stato attuale quindi, abbiamo da una parte una pianta illegale a gratis che si potrebbe coltivare quasi ad ogni latitudine senza necessità di pesticidi e con un tempo di maturazione rapidissimo di pochi mesi, dall’altra dei prodotti sintetici che costano molto, richiedono diversi anni di studi e presentano inconvenienti secondari da non sottovalutare.
Cosa fare a questo punto? Legalizzare la pianta proibita per antonomasia, catalogata fin dagli anni ’60 nel campo delle “droghe senza alcun effetto terapeutico”[11], oppure continuare a non vederne i risultati in ambito terapeutico puntando esclusivamente nella chimica di sintesi? Secondo voi cosa opteranno i governi democratici dell’unione europea indirizzati magari dalle potenti corporazioni transnazionali della chimica e della farmaceutica? Una vaga idea io ce l’ho, non so voi…
Nessuno certamente vorrebbe una società in cui persone sane si spacciano per malati immaginari inventandosi patologie o peggio ancora falsificando esami per farsi prescrivere dal proprio medico una sigarettina farcita, o peggio ancora vedere malati che soffrono realmente di gravose patologie debilitanti che non possono utilizzare i derivati della cannabis se non da degenti ospedalieri, come sta succedendo oggi nel nostro paese. La farmacia del Policlinico Umberto I per esempio, ma questo è valido per tutti gli ospedali, può somministrare il farmaco derivato dal THC solo dopo il ricovero[12]. Non è questa una burocratica assurdità all’italiana? Una persona in grado tranquillamente di seguire la terapia nella comodità del focolare domestico, magari con la vicinanza dei propri cari, si vede costretta a entrare nell’ambiente asettico e freddo di un nosocomio.
Speriamo allora che passi il recente Disegno di Legge che introdurrebbe l’uso terapeutico della cannabis. Questo almeno permetterebbe di trovare i fitofarmaci sintetici direttamente in farmacia, previa naturalmente ricetta di un medico del servizio sanitario.
Nell’attesa di questo Disegno concludiamo con una comparazione dal punto di vista pratico e farmacologico tra la pillola sintetica e la sempreverde pianta plurimillennaria.
Apro una parentesi doverosa perché i fattori influenzanti nel caso della cannabis naturale sono numerosissimi: stati d’animo della persona, quanto e come il fumo viene aspirato, quanta cannabis contiene la sigaretta, quanto THC è presente nella pianta, dal tipo di pianta, ecc.
Chiudiamo la parentesi e prepariamoci ad entrare in campo.
Il fumo di una sigaretta di cannabis rilascia in circolo oltre il 30% del THC totale, mentre per via orale, la pillola, è di 2 o 3 volte inferiore perché dopo essere stata assorbita attraverso l’intestino viene metabolizzata dal fegato prima di raggiungere il grande circolo[13].
Uno a zero per la cannabis e palla al centro. Per essere onesti ci sarebbe una punizione per la chimica se consideriamo le supposte rettali che bypassando il fegato permettono un maggior assorbimento del THC in circolo.
Una volta entrato nel torrente circolatorio il THC si distribuisce in tutto il corpo principalmente nel tessuto adiposo perché essendo liposolubile si scioglie solo nel grasso. Questa proprietà intrinseca della cannabis è un grosso limite per la formulazione dei preparati cannabinoidi, oltre a rallentare il loro assorbimento intestinale[14].
Due a zero e di nuovo palla al centro.
Per quanto riguarda gli effetti farmacologici della cannabis documentati finora sono relativi alle vie respiratorie. Uno studio del Western Journal of Medicine del 9 giugno 1993[15] afferma che chi fuma cannabis rischia malattie alle vie respiratorie per il 19% in più di chi non fuma, e che nessuna dipendenza e/o assuefazione fisica è stata dimostrata se non una sporadica dipendenza psicologica in alcuni soggetti. Dall’altra abbiamo gli effetti secondari del Marinol® e del Cesamet® visti prima.
Diamo un punto alla sintesi chimica perché non tutte le persone sarebbero disposte a utilizzare la pianta attraverso la sigaretta. Se però consideriamo che dei sessanta cannabinoidi naturali contenuti nella canapa, i prodotti farmacologici attualmente in commercio sono basati quasi esclusivamente nel Tetraidrocannabinolo (THC), l’unico con effetti psicotropi, tralasciando gli altri cinquantanove privi di attività sul cervello, è lecito pensare che al momento attuale la pianta potrebbe essere almeno sessanta volte più completa di qualsivoglia prodotto uscito da un laboratorio di ricerca. Calcolando infine i costi rispettivi decisamente incomparabili il risultato finale è di quattro a uno per la cannabis! Avrete capito che questa è una gara surreale perché se avvenisse realmente l’arbrito, rappresentato dalle lobby del farmaco, fischierebbe almeno due o tre rigori per la chimica espellendo magari qualche cannabinoide per “intervento” troppo deciso. Non ci resta che sperare quindi in una invasione di campo che metta fine una volta per tutte a questa assurda e controproducente rivalità. Un “invasione pacifica” da parte di una maggiore consapevolezza che dia, anzi ri-dia, al malato il suo ruolo principale di essere vivente e che santifichi una volta per tutte uno dei diritti più importanti: quello della libera scelta terapeutica. Una scelta che spetta esclusivamente ai singoli individui e non alle organizzazioni sanitarie, tanto meno alle corporazioni; perché…una volta imboccata la strada terapeutica siamo noi a pagarne le conseguenze e/o goderne i benefici. Nessun altro!

Marcello Pamio

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