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4 lug 2010

Dall’oppio alla morfina


Capsule di

Papaver somniferum

sono state ritrovate negli scavi di palafitte a Bosnate (presso il lago

di Lagozza), appartenute all'uomo di Cro-Magnon e datate fra i 20.000 e i 30.000 anni fa, anche se

non è possibile stabilire se gli abitanti del sito conoscessero le proprietà di tali piante. Circa 4000

anni fa, gli antichi popoli della Mesopotamia rappresentavano il papavero da oppio mediante un

ideogramma. Su di una tavoletta d'argilla trovata a Nippour, capitale della civiltà sumera è

rappresentata con un ideogramma la pianta della gioia o Hu Gil.

I

Sumeri tramandarono l'uso del

papavero da oppio alle successive civiltà caldea e assiro-babilonese e questi, a loro volta, ne

introdussero l'uso in Egitto verso il 1500 a.C. Del 1552 a.C. è il papiro di Ebers conosciuto come il

"

Libro ermetico dei medicamenti"

, un antico documento egiziano che raccomanda l'uso del

papavero da oppio come sedativo: il succo veniva usato come calmante per i bambini e come

ingrediente del pharmakon nephentis. Sin dall'antichità, dunque, gli uomini ricorsero alle droghe

integrandole nelle proprie abitudini alimentari e rituali. Alcuni antropologi e etnologi sostengono

che l'uso di sostanze allucinogene contenute in certe piante e funghi possa essere stato complice, se

non proprio all'origine, dello sviluppo del pensiero pre-filosofico e di una primitiva forma di

spiritualità religiosa.

Ippocrate

(circa 460 - 377 a.C) nel IV secolo a.C., lo consigliava come rimedio per diverse

malattie. Ma già da allora, alcuni studiosi iniziavano a capire come funzionava infatti

Erasistrato

di Chio

(nato nel 330 a.C.), anatomista greco tra i fondatori della grande scuola medica di

Alessandria d'Egitto avvertiva dei pericoli insiti nel consumo dell'oppio.

In Grecia, il papavero e i relativi medicamenti furono introdotti dai Pelasgi che lo portarono dal

Medio Oriente. Nell'Odissea, Elena moglie di Menelao, versa nel vino, un preparato a base di oppio

giuntole dall'Egitto, durante il banchetto con Telemaco, venuto a cercare notizie del padre Ulisse.

Demetra, dea del grano e dell'agricoltura venne celebrata nei "Misteri Eleusini" in cui si faceva uso

di oppio e che lei stessa usava per alleviare il dolore provocatole dal rapimento della figlia

Persefone. Morfeo, dio dei sogni, viene spesso rappresentato con in mano un papavero, Hermes suo

messaggero, dio dei viaggiatori, dei commercianti e apportatore di sogni si presenta ai prescelti

tenendo in mano un papavero; Nyx, dea della notte, ne fa dono agli uomini.

Ippocrate (460-377 a.C), nel IV secolo a.C., consigliava l'oppio come rimedio per numerosi mali,

ma già un secolo dopo Erasistrato di Chio (330–nd a.C.) metteva in guardia i suoi allievi e i colleghi

medici contro l'uso frequente di questo medicinale, che poteva rivelarsi gravemente dannoso. La

letteratura scientifica della Grecia antica fa sporadici riferimenti a questa droga, sufficienti

comunque per dirci che veniva utilizzata sia per fini medici che per fini edonistici e che ben

raramente dava luogo a situazioni di abuso. Dioscoride, medico del I secolo dopo Cristo, scrisse

dell'oppio:

"Preso in piccole quantità è un sonnifero, facilita la digestione, cura la tosse e gli

intestini. Quantità maggiori di un seme stordiscono e conducono a uno stato di ebbrezza, fanno

sprofondare in un letargo profondo e infine uccidono"

.

L'oppio fece il suo ingresso nella civiltà romana all'epoca della conquista della Grecia avvenuta nel

146 a.C. Che questa droga nell'antichità fosse impor tante lo dimostra anche il fatto che era entrato a

far pare della famosissima "Teriaca"

(dal greco "Therios", usato per indicare la vipera o gli altri

animali velenosi in genere) un antichissimo rimedio polifunzionale che per ben 18 secoli veniva

preparato ed usato come rimedio per ogni male la cui invenzione si fa risalire a Crautea medico di

Mitridate, re di Ponto (132–63 a.C.) e autore di ben tre guerre contro Roma. Si racconta che la

ricetta sia stata ritrovata tra le cose di Mitridate da Pompeo (106-48 a.C.) che lo sconfisse

definitivamente e da qui il nome di Mitridatium o "elettuario di Mitridate" (l'elettuario è un

preparato farmaceutico semidenso formato da miscugli di farmaci impastati con miele e sciroppi).

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Ad un re tanto potente da sfidare ripetutamente la forza romana, probabilmente non dovevano

mancare timori e preoccupazioni. Uno di questi, sicuramente, dovette essere il timore di rimanere

avvelenato ad opera di un tradimento di corte, evento che puntualmente si verificò allorchè tradito

dal figlio Farnace, egli decise di togliersi la vita servendosi della lama e del braccio di un suo

fedele ufficiale. Al ribelle re del Ponto, infatti, era da tempo preclusa la pur dignitosa via dell'aspide

di Cleopatra e degli altri veleni, e ciò proprio in grazia dei servigi di quel Crautea di cui abbiamo

sopra appena accennato.

Fu il cretese Andromaco il Vecchio, medico di Nerone (37 – 68 d.C.), che perfezionò la ricetta cui

aggiunse nuove erbe e sostanze (in tutto alla fine erano 74) tra cui anche l'oppio che doveva

provenire rigorosamente da Tebe, in quanto considerato di qualità superiore rispetto a quello

Turco. La teriaca (o Triaca), in effetti, contiene solo pochi semplici in più del Mitridate, ma la

novità fondamentale introdotta da Andromaco, fu senz'altro l'adozione della carne di Vipera come

principale principio attivo.

Si deve però a Galeno (131 – 201 d.C.), il più grande medico dell'antichità, la diffusione della

Teriaca fra i medici di Roma. Veniva usata ripetutamente per i sintomi di avvelenamento, cefalee,

problemi di vista, epilessia, febbre, sordità e lebbra e sembra che con questa pozione abbia curato

l'imperatore romano Marco Aurelio (121 – 180 d.C.) sino a farlo divenire oppiomane, come

testimoniano i resoconti clinici compilati dal medico.

Nell'impero romano, la teriaca arrivò a suprema popolarità, e la sua formula fu affidata dagli

scultori ai bronzi dei templi di Esculapio. Alcuni dei più noti medici dell'antichità scrissero della

teriaca, da Xenocrate di Afrodisia (I sec. D. C.) a Plinio il Vecchio, ma senz'alcun dubbio

l'attenzione maggiore la ritroviamo negli scritti di Galeno (138-201 D. C.) quali il

De Theriaca

e il

De Antidotis

.

Dopo la caduta dell'impero romano non vi sono quasi più notizie sul consumo di oppio in Europa,

mentre nella farmacologia araba venne introdotto da Avicenna (980 – 1037, medico, filosofo,

matematico e fisico persiano, una delle figure più note nel mondo islamico della sua epoca,

diventato famoso in Europa grazie alla Scuola Medica Salernitana) verso l'anno Mille: secondo il

suo discepolo e biografo Abu Al Guzani fu proprio questa sostanza la causa della morte del

maestro.

Durante il Medio Evo si assiste ad un mutamento di atteggiamento nei confronti dell'oppio. Le

conoscenze accumulate e l'uso comune fattone nell'antichità vengono tradotte nella farmacopea

ufficiale e nelle pratiche magiche medievali. Con la ripresa ed ulteriore diffusione dell'uso

dell'oppio si generalizzò anche la sua condanna e proibizione, che toccò anche molte altre sostanze

utilizzate per fini curativi o magico-rituali. Esse vennero assimilate ai concetti di male e di peccato

dalla religione cristiana che andava diffondendosi progressivamente in tutta Europa.

L'Inquisizione vietò la somministrazione dell'oppio in ambito chirurgico ritenendo del tutto

innaturali, e per questo motivo sospette, le sue virtù. Giovanni della Croce (medico del XVI sec.)

ebbe a scrivere: "

solo quando il dolore sarà insopportabile e molte cose senza profitto provate si

saranno, bisogna usar li Narcotici, li quali o rendono il sonno stupido, o del tutto lo levano

".

L'azione della Chiesa nei confronti di maghi, streghe, medici e in particolare, per quello che

c'interessa, delle droghe da essi somministrate, iniziò a farsi meno importante con lo sviluppo di

discipline scientifiche come la chimica, la farmacologia, la medicina.

La teriaca, con qualche non poco significativa variazione di composizione (ogni studioso vi

aggiungeva o sostituiva qualche componente al fine di migliorarne secondo le proprie conoscenze,

l'effetto, mentre ogni speziale vi toglieva o sostituiva qualche componente, al fine di migliorarne la

redditività secondo le proprie finanze….) continua comunque la sua ascesa di diffusione e

popolarità, attraversando indenne il medio evo nelle opere di Galeno, e giungendo in pieno XVI

secolo ancora al culmine della popolarità.

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Da sostanza conosciuta dal popolo, largamente utilizzata a fini rituali e terapeutici, a sostanza

proibita per ordine della Santa Inquisizione nella seconda metà del Medioevo, l'oppio venne

gradualmente riscoperto in ambito medico sino a divenire uno degli ingredienti più importanti delle

pratiche di cura, in particolare quelle destinate ai ricchi. Nello stesso periodo in Turchia ed in Egitto

l'uso di questa droga diventava sempre più diffuso a livello popolare.

Coltivato prevalentemente nell'area dei paesi mediterranei più caldi, Turchia in testa, l'oppio si

diffuse progressivamente in Asia attraverso corrieri portoghesi, olandesi, inglesi e veneziani. Nello

stesso periodo in Europa, paradossalmente, si perseguitarono periodicamente, in maniera tanto dura

quanto inefficace, le cosiddette "droghe coloniali": caffè, tè, cacao e tabacco. Nel XVI secolo in

Turchia e in Egitto l'uso di oppio era estremamente diffuso a livello popolare.

A partire dal Cinquecento l'oppio diveniva d'uso comune nel nostro continente, come testimonia il

fatto che tale sostanza si trasformava in una sorta di topos dell'immaginario occidentale, tanto che in

letteratura il riferimento all'oppio costituiva una sorta di pretesto narrativo, una chiave simbolica,

per l'analisi e la descrizione delle lotte umane contro le tristezze e le sofferenze, contro i ricordi

angosciosi, ma anche un elemento fondamentale nell'invenzione e nello sviluppo del racconto di

intrighi e illecite macchinazioni.

Se praticamente in tutta la penisola, la teriaca veniva prodotta e commercializzata (ovunque con la

pretesa, naturalmente, di essere la migliore e la più fedele all'originale ricetta) la teriaca senz'altro

più famosa, era quella veneziana. Il motivo di tale supremazia era legato alla evidente potenza

commerciale della repubblica, le cui navi solcavano i mari e visitavano i porti d'oriente ed

occidente. Centro di importazione dei più esotici semplici, Venezia era il luogo dove,effettivamente,

più facile doveva essere procurarsi gli ingredienti della famosa pozione.

All'inizio del XIV secolo iniziarono i viaggi verso l'estremo Oriente e grazie a questi, nuove spezie

furono introdotte in Europa; si sentì quindi il bisogno di creare figure che fossero esperte di queste

"droghe", utilizzate anche nell'alimentazione umana. Nacque così il Collegio degli Speziali, che

ebbe il riconoscimento ufficiale nel 1429. Che la teriaca rappresentasse un affare di discreto valore

commerciale per il governo veneziano, è testimoniato dai grandi pubblici festeggiamenti indetti (tra

il XVI ed il XVII secolo) nella città in occasione della annuale fabbricazione della teriaca,

festeggiamenti popolari che si affiancavano alla cerimonia ufficiale che voleva la presenza dei

rappresentanti del governo cittadino, delle massime autorità sanitarie (il protomedico ed i suoi

assistenti) e della corporazione degli speziali (col compito di sorvegliare la buona preparazione del

composto e la eccellente qualità degli ingredienti). La teriaca era il rimedio sovrano per un'infinità

di malattie che spaziavano dalle coliche addominali alle febbri maligne, dall'emicr ania all'insonnia,

dall'angina ai morsi delle vipere e dei cani, dall'ipoacusia alla tosse. Veniva utilizzata per frenare la

pazzia e per risvegliare gli appetiti sessuali, per ridare vigore ad un corpo indebolito, nonché per

preservare dalla lebbra e dalla peste. Con il trascorrere dei secoli l'interesse per questo polifarmaco

a poco a poco scemò, e nonostante non lo si utilizzasse più, a fine Ottocento lo si trovava ancora

iscritto in farmacopee di numerosi paesi, compreso il nostro, tanto che fino al 1850 lo si preparava

ancora a Venezia e a Napoli venne prodotto fino al 1906.

Paracelo (Philippus Aureolus Theophrastus Bombastus von Hohenheim detto Paracelsus o

Paracelso, 1493 – 1541), l'illustre medico svizzero vissuto nel XVI secolo, usava vantarsi di aver

salvato, grazie al laudano, una tintura o soluzione d'oppio di sua invenzione, la vita di molti re e

principi.

Thomas Dover (1660-1742), nel 1710 elaborò un preparato contro la gotta a base d'oppio, liquirizia,

salnitro e ipecacuana: la famosa "Polvere di Dover" che divenne uno dei farmaci più usati della sua

epoca per curare la gotta.

Nonostante la crescente diffusione dell'oppio, tuttavia, l'uso di tale droga non assunse mai livelli

endemici. Esistevano consumatori occasionali e sporadici, individui farmaco- dipendenti, ma

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socialmente accettati e capaci di mantenere una vita di relazione nei canoni della normalità ed infine

gruppi significativamente piccoli di tossicomani completamente dipendenti ed asserviti alla droga,

ma che non rappresentavano un reale pericolo sociale.

Questa condizione doveva mutare con l'avviarsi della Rivoluzione industriale, quando l'oppio,

ormai prodotto in larga scala, diveniva una mer ce acquistabile a basso prezzo. In Inghilterra, ad

esempio, l'oppio veniva venduto a prezzi dalle cinque alle dieci volte più bassi di quelli della birra e

dell'alcool. Gli inglesi disponevano delle enormi piantagioni d'oppio dell'India, la cui produzione,

data la quantità e dato il basso costo della manodopera, poteva essere commercializzata a prezzi

estremamente concorrenziali. La grande disponibilità d'oppio a basso prezzo determinava,

soprattutto nella classe operaia, l'instaurarsi di un'epidemia d'abuso ancora più grave di quella

dell'alcoolismo. Riguardo all'oppio, Friedrich Engels rilevava nel suo scritto

"La condizione della

classe operaia in Inghilterra"

che ai lavoratori mancavano i mezzi e il tempo per provvedere ai loro

figli e per nutrirli in modo conveniente

,"ne viene quindi il costume molto diffuso di dare ai ragazzi

acquavite o anche oppio. Da ciò, assieme alle altre condizioni di esistenza nocive allo sviluppo

fisico, derivano le più diverse malattie dell'organo della digestione, malattie che lasciano la loro

traccia per tutta la vita".

In Inghilterra l'oppio arrivò a costare pochissimo, addirittura meno degli

alcolici, divenendo così una droga alla portata dei poveri.

Gli interessi commerciali e l'avvio della produzione di farmaci a livello industriale favorirono allo

stesso tempo un'impressionante proliferazione di rimedi a base d'oppio, largamente pubblicizzati e

distribuiti capillarmente.

Sciroppi, cordiali e polveri dai nomi familiari ed accattivanti (lo sciroppo dolce della signora

Winslow, l'elisir all'oppio di McMunn, il Cordiale Godfrey, lo Cherry di Ayer e così via) e dalle

confezioni appariscenti venivano reclamizzati su giornali e riviste, venduti per posta o direttamente

dai medici, mentre nelle farmacie i preparati a base d'oppio rappresentavano il prodotto più

acquistato.

Questa convergenza di interessi determinava quindi una rapida estensione del consumo dell'oppio e

dei suoi derivati anche ai ceti sociali privilegiati. Negli Stati Uniti l'oppio diventava una sostanza

d'abuso tipica della borghesia e soprattutto del sesso femminile.

Stime ufficiali dell'Amministrazione Sanitaria della confederazione americana indicavano un

rapporto variabile da uno a venti a uno a cento tra individui dipendenti da oppiacei e popolazione

totale, laddove oggi tale rapporto negli Stati Uniti va da uno a duecento a uno a cinquecento.

L'abitudine di fare uso dell'oppio si diffuse anche tra gli intellettuali e tra i letterati, soprattutto

inglesi: George Byron, Percy Shelley, Walter Scott, John Keats, Wilkie Collins e Charles Dickens

facevano ricorso, saltuario o sistematico, al laudano per curare i mal di capo, l'insonnia, l'ansia. I

casi più famosi però sono quelli di Samuel T. Coleridge e soprattutto di Thomas De Quincey.

Quest'ultimo ci ha lasciato un mirabile racconto autobiografico della sua esperienza di tossicomane:

"Le confessioni di un mangiatore d'oppio"

, iniziato a pubblicare nel 1821 sul

London Magazine

.

Anche la cultura francese produsse originali posizioni sul problema dell'oppiomania, come quelle

illustrate da Honorè de Balzac nel racconto

"Massimilla Doni"

e quelle discusse da Charles

Baudelaire in

"Storia di un mangiatore d'oppio"

, inserito nei famosi saggi dal titolo "I paradisi

artificiali".

Anni dopo, durante una cura disintossicante in clinica, Jean Cocteau (1889-1963), oppiomane,

scrive e disegna, due attività che per lui appartengono allo stesso atto creativo: "Scrivere per me è

disegnare, unire le linee in modo che diventino scrittura, o disunirle in modo che la scrittura diventi

disegno". Nasce così "Oppio", un libro in cui i commenti sulla letteratura, sulla poesia, sull'arte e

sul cinema fanno da contrappunto al tema principale che è, ovviamente, il fascino e la maledizione

della droga. "Fumare l'oppio" scrive Cocteau "è abbandonare il treno in marcia, e occuparsi d'altro

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che della vita, è occuparsi della morte". Non sfuggirono al fascino o alla necessità delle droghe

neppure artisti come Modigliani e ricasso, né in tempi moderni musicisti del calibro di Ray Charles.

Si calcola che nella Parigi di inizio secolo esistessero circa 1200 fumerie clandestine.

L'oppiomania della Rivoluzione industriale è un esempio eloquente di come sia l'offerta delle

droghe a creare la domanda, e non viceversa.

La facile disponibilità di tale droga, sia in termini di diffusione al minuto che in termini di prezzo,

contribuì in maniera determinante all'origine dell'epidemia d'abuso del secolo scorso. La gran

diffusione dell'uso dell'oppio nella società di quel periodo, infine, rendeva il dominio della

normalità sociale molto diverso da quello che vige nella cultura attuale. La gente considerava, l'uso

dell'oppio e l'oppiomania, comportamenti non devianti e i governi continuavano a sancire la piena

legittimità di tali abitudini. La grave epidemia d'abuso dell'oppio dell'Ottocento trasformava la

produzione e il commercio di tale sostanza in un colossale affare. Ciò è testimoniato

eloquentemente dal fatto che, proprio in quegli anni, l'Inghilterra si decideva a scatenare una guerra

contro la Cina per costringerla a ripristinare la legalità dell'oppio, revocata nel lontano 1729

dall'imperator e Yung Chiang.

L'espandersi dell'uso dell'oppio incitò a nuovi studi sulla sostanza. Nel 1803, a Parigi, il farmacista

Louis Charles Derosne preparava un estratto dell'oppio contenete morfina e narcotina,ad Hannover

il garzone di farmacia Wilhelm Setürner, un giovane speziale tedesco di soli vent'anni, metteva a

punto un efficace ed economico metodo di isolamento e produzione della morfina. A lui si

attribuisce la scoperta ed il nome della sostanza, in onore di Morfeo, dio del sonno.

Altre tradizioni invece fanno risalire la scoperta ad Armand Séquin, medico dell'armata di

Napoleone, nel 1806. Verso il 1836, il medico Lafargue iniziò a farne un uso sottocutaneo mediante

una lancetta che utilizzava per introdurre la sostanza. Nel 1850 Charles Gabriel Pravaz (oppure

secondo altre scuole Alexander Wood nel 1853) inventava la siringa ipodermica, rendendo così

possibile l'assunzione di droghe in forma pura direttamente nel circolo sanguigno.

Il successo dell'accoppiata morfina-siringa diveniva ben presto tale che su di essa cominciava a

svilupparsi una terapeutica dalla casistica praticamente sterminata. La morfina non era soltanto un

rimedio alle patologie organiche, ma diventava anche un farmaco per le malattie sociali.

L'alcaloide dell'oppio doveva servire, secondo teorie mediche accreditate nella seconda metà

dell'Ottocento, a sconfiggere la piaga dell'alcolismo e a risolvere così tutti i problemi sociali

conseguenti a tale abuso. Non si doveva attendere molto per assistere alle prime dimostrazioni della

pericolosità dell'uso irrazionale della morfina iniettabile. Durante la guerra di secessione americana

(1861-1865) e con il conflitto franco-prussiano (1870-1871) decine di migliaia di militari divennero

assuefatti alla morfina, tanto che la dipendenza a questa droga venne significativamente chiamata

"malattia del soldato". Gli ufficiali medici avevano purtroppo imparato a somministrare la morfina

non soltanto come anestetico per le operazioni sui soldati feriti, ma anche per dare sollievo ai più

piccoli malanni fisici e al disagio psicologico provocato dalla tensioni delle battaglie. La guerra

franco-prussiana diffondeva la pratica della morfina anche tra lo stato maggiore dell'esercito

tedesco e quindi tra le classi più agiate del Secondo Reich, sino al cuore dell'intellighenzia.

Il musicista ufficiale del regime, Richard Wagner, e l'artefice dell'unificazione nazionale, paladino

del militarismo prussiano e cancelliere del Reich Otto von Bismarck, erano consumatori abituali di

morfina.

La moda della morfina si radicava anche in Francia, soprattutto tra i ceti medio alti. Il derivato

dell'oppio faceva adepti tra intellettuali, scienziati, uomini di stato. Il generale Georges Boulanger,

ministro della guerra della Terza Repubblica francese e capo del movimento nazionalista e

autoritario del boulangismo, era stato visto varie volte iniettarsi morfina in pubblico. Guy de

Maupassant usava la morfina a scopo voluttuario e per stimolare la creatività. Negli ultimi anni

della sua vita, il grande neuropatologo e maestro di Sigmund Freud, Jean-Martin Charcot, si

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iniettava una dose di morfina al giorno per trovare sollievo da una lombaggine cronica. Jules Verne

ricorreva alla morfina per ridurre il dolore che gli provocava una pallottola conficcata nel piede che

non poteva estrarre a causa del diabete che lo affliggeva.

Tra fine Ottocento e inizio Novecento, la morf ina assurgeva a simbolo caratterizzante la cerchia

elitaria d'esteti e raffinati decadenti e per estensione degli intellettuali in genere. Si fabbricavano

astucci d'argento ornati da emblemi, incisioni, stemmi e iniziali di famiglia, contenenti il necessaire

per la somministrazione della droga: una siringa d'oro ed un grazioso flacone di vetro intarsiato. I

morfinomani della buona società si regalavano l'un l'altro questi preziosi strumenti scegliendoli con

grande cura ed attenzione. Non era difficile incontrare nei caffè, al teatro, negli angoli dei salotti

alla moda, dame e signori del bel mondo che si iniettavano con fare disinvolto la morfina in una

coscia, anche attraverso gli indumenti. Si crearono veri e propri club della morfina, analoghi a quelli

della cocaina dove ci si ritrovava per consumare la sostanza in compagnia. Anche lo stigma della

società era brillantemente superato adducendo un alibi terapeutico: l'uso per contrastare forti dolori.

La morfinomania fu definita il "male del secolo", Alexander Dumas figlio paragonava l'uso

dell'assenzio per gli uomini all'uso che le donne facevano della morfina.

Occorreva pertanto trovare un far maco parimenti efficace contro il dolore, che non provocasse però

la dipendenza. Questa ricerca rappresentava un nuovo colossale affare commerciale e le maggiori

industrie chimico-farmaceutiche dell'epoca investirono su di essa ingenti quantità di denaro. Nel

1871 Wright preparò un diacetilato della morfina così come, nel 1874, Dreser chimico dell'industria

farmaceutica Bayer. Non è chiaro chi dei due in realtà inventò il metodo di produzione, comunque,

nel 1898, la Bayer annunciava al mondo di essere finalmente pronta a commercializzare questo

farmaco miracoloso. Il lancio del nuovo prodotto veniva preparato con una massiccia e capillare

campagna pubblicitaria. Foglietti illustrativi, depliant e campioni gratuiti della sostanza vennero

inviati praticamente a tutti i medici e a tutte le farmacie dei paesi industrializzati. "Contro tutti i

dolori, sedativa della tosse, per la cura dei tossicomani", così recitava il foglietto inviato con il

campione. Era la diacetilmorf ina, il cui nome commerciale, Eroina, derivava dalla parola tedesca

heroisch, energico, eroico, che più caratterizzava, secondo la Bayer, questo farmaco potente e

apparentemente privo di controindicazioni. La supposta cura per la dipendenza da morfina

costituiva ovviamente un'eresia scientifica. Già nel 1905 si diffusero le voci di un allarme

tossicologico e tossicomanico riguardo all'eroina.

Nel primo decennio del secolo nella sola New York si consumavano 2 tonnellate di eroina, mentre

in Egitto su 14 milioni di persone si calcolavano circa 500.000 eroinomani.

In Cina nel 1906 venne proibito l'uso dell'oppio che rimase comunque sostanza largamente

utilizzata e nel 1927 si procedette all'introduzione del monopolio statale per quanto riguardava il

suo commercio. L'eroina intanto aveva sostituito la morfina le pastiglie commercializzate con nomi

accattivanti e poetici quali dragone d'oro, cavallo magico, regina di fiori, venivano fumate come

l'oppio. Nel 1941 il generale Chang Kai Shek ordinava la distruzione di tutte le coltivazioni, ma nel

1946 i fumatori di oppio in Cina erano ancora 40 milioni. La rivoluzione di Mao Zedong sembra

aver sradicato con successo quest'abitudine.

In Italia, la morfina venne introdotta su larga scala con le pastiglie di Peshawa (dalla cittadina di

Peshawar in Pakistan), intorno agli anni '60, mentre il boom dell'eroina iniziò particolarmente negli

anni dal 1971 al 1973.

Dalla fine dell'Ottocento, la stampa americana iniziava un processo di radicale riformulazione

dell'immagine dell'oppio, da farmaco miracoloso a droga distruttiva. Questa revisione era legata al

difficile processo di inserimento sociale e lavorativo della grande comunità cinese all'epoca appena

immigrata negli USA.

Dopo la guerra civile statunitense, la dipendenza da oppio era un problema di primo piano. Uno

studio ha stimato che, nel 1880, negli Stati Uniti un adulto su 400 fosse soggetto a dipendenza. I

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lavoratori cinesi erano stati portati negli Usa in seguito alla guerra civile per costruire la ferrovia

transcontinentale e, in California, per trasportare pietre nelle miniere d'oro nelle Sierre. Migliaia di

cinesi furono anche condotti al Sud, per rimpiazzare la manodopera degli schiavi nelle piantagioni

di cotone e riso. I cinesi si portarono dietro droga da fumare, dato che durante le guerre dell'oppio la

loro dipendenza era stata attivamente incoraggiata dai britannici, che avevano contrastato con

successo i tentativi del governo cinese di porre un freno a tale abitudine.

Poi arrivò la recessione degli anni '70 dell'Ottocento, durante la quale i cinesi vennero visti come

concorrenti, dato il sempre più esiguo numero di lavori disponibili. Nel 1875, San Francisco

divenne la prima città a dichiarare fuorilegge il consumo di oppio con provvedimenti legislativi

chiaramente diretti ai cinesi, che fumavano questa sostanza, in contrapposizione al gruppo

principale di consumatori (donne e uomini bianchi) che l'assumevano in forma liquida. Questa era

infatti l'epoca in cui l'uso di medicine a base di oppio era molto diffuso: le donne se ne servivano

nei "tonici" che alleviavano il dolore del parto e anche per "calmarsi" i nervi. A differenza dei

"demoni gialli drogati", tuttavia, i consumatori bianchi venivano educatamente definiti "habitués".

Nel 1887, il Congresso statunitense si fece sentire con il Chinese Exclusion Act (Legge per

l'Esclusione dei Cinesi) che, tra le altre cose, permetteva che gli oppiomani potessero essere

arrestati ed espulsi.

I cinesi erano accusati di lavorare sottocosto, senza tutele e coperture sanitarie, senza orari. C osì gli

imprenditori denunciavano la concorrenza sleale degli asiatici e le organizzazioni sindacali il

pericolo della sottrazione di lavoro agli americani, il peggioramento delle condizioni lavorative e

dei pochi diritti acquisiti. La campagna anticinese si concentrava quindi su questa pratica e il

razzismo contro una popolazione diventava razzismo farmacologico. Numerose pubblicazioni

descrivevano storie di criminali cinesi specializzati nell'adescare ragazzini e ragazzine bianche per

renderli oppiomani e schiavi. Così il Congresso emanava nel 1887 un bizzarro provvedimento con

cui si proibiva l'importazione dell'oppio ai cinesi ma non agli americani, un fulgido esempio di

discriminazione legale.

Nel 1912, la letteratura di consumo popolare partoriva addirittura un personaggio che incarnava la

mitologia del razzismo anticinese, il

Dottor Fu Manchu

dei romanzi di Sax Rohmer, di cui fu fatta

la trasposizione cinematografica, che aveva progettato di conquistare il mondo dei bianchi usando le

droghe.

Il freddo cinismo dimostrato dalle potenze europee nelle Guerre dell'oppio focalizzava l'attenzione

dell'opinione pubblica sulla dimensione etica del commercio di tale narcotico e dell'uso. La lente

morale in tal modo applicata, tuttavia, finiva per mettere a fuoco e quindi stigmatizzare, soltanto

l'oppio, contingente elemento catalizzatore di nuovi ed enormi interessi economico-politici, nel cui

uso sembravano esaudirsi i pressanti bisogni sociali imposti agli uomini del mondo ottocentesco.

Un cieco feticismo della sostanza, atteggiamento caratterizzante di ogni moderna lotta alle droghe,

esauriva le cause dell'oppiomania nelle proprietà farmacologiche dell'oppio, negando l'orizzonte

storico e sociale entro cui questa aveva preso corpo. Così, ignorando proprio la lezione della storia

dell'oppio in Cina, a livello internazionale e dei singoli stati veniva intravista un'unica soluzione:

controllo e proibizione.

Il primo stato a muoversi in tal senso erano gli USA, che nel 1905 avevano varato il

Pure Food and

Drug Act

, col quale si regolamentava la vendita dei preparati a base d'oppio, obbligando i

fabbricanti a specificare la composizione dei prodotti sulle confezioni. Anche dietro questa legge a

tutela dell'igiene pubblica si nascondevano interessi corporativi ed economici molto forti.

In questa occasione il governo statunitense fu pesantemente appoggiato dai farmacisti e dai medici,

che da circa un secolo traevano dalla vendita dell'oppio ingenti guadagni, e che quindi avevano

interesse ad impedire il tradizionale libero commercio delle cosiddette

patent medicines

, preparati la

cui composizione restava ignota e la cui vendita avveniva quindi senza mediazione istituzionale.

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Nel 1909, gli USA vietavano l'importazione e l'uso dell'oppio per impieghi che non fossero quelli

medico-scientifici.

Lo stesso anno, per iniziativa del presidente Roosevelt si svolgeva la conferenza mondiale di

Shangai che, per una serie di contrasti di natura economica tra gli stati partecipanti, non riuscì ad

andare oltre inutili compromessi e all'accordo di una maggiore collaborazione internazionale per le

limitazioni del consumo di oppiacei.

In conseguenza delle accanite lotte tra Inghilterra e Germania, quest'ultima prima produttrice

mondiale dei derivati dell'oppio, si svolse annualmente, dal 1912 al 1914, la Conferenza

internazionale sull'Oppio dell'Aja. In tale ambito veniva ratificata la Convenzione internazionale

sull'oppio con la quale si sottoponeva l'uso dell'oppio e degli oppiacei al controllo medico,

rendendone obbligatoria la prescrizione. Sebbene i risultati concreti di questi incontri furono scarsi

e i paesi firmatari non andarono oltre una formale e non vincolante dichiarazione di principi

generali, ad essi s'ispirarono tutti gli accordi internazionali siglati in seguito in materia.

Conformandosi alle direttive della Convenzione dell'Aja, gli USA adottavano nel 1914 l'

Harrison

Narcotic Act

, che prevedeva la registrazione e il pagamento di un'imposta per tutti coloro,

produttori, venditori e medici, che trattavano le sostanze incluse nella tabella.

Nello stesso periodo, leggi di impianto proibizionistico o volte al controllo venivano

progressivamente emanate da tutti gli stati europei.

Dopo la prima guerra mondiale, la neonata Società delle Nazioni nominava un

Permanent Central

Narcotics Board

. Questo organo internazionale di controllo del traffico di droga, PCB nella sigla

abbreviata, fu immediatamente sedotto dal vorticoso giro finanziario attivo intorno alle droghe,

tanto che sull'acronimo venne coniato un nome moralmente più appropriato:

Perfect Corruption

Board

.

I risultati delle scelte operate nelle sedi nazionali ed internazionali erano chiaramente leggibili nei

dati sul problema. A livello mondiale la produzione e il consumo di oppio continuava a crescere in

maniera irrefrenabile. Louis Lewin, ad esempio, rendeva noto che in Germania, dal 1920, anno di

introduzione del proibizionismo, al 1925, l'importazione dell'oppio era raddoppiata. La

regolamentazione e la proibizione dell'oppio avevano fatto nascere la burocrazia e gli apparati

preposti alla prevenzione, al controllo e alla lotta alle droghe. Si sottovaluta costantemente la parte

svolta nell'evoluzione del problema delle tossicomanie da questi apparati, come quella che abbiamo

sopra brevemente descritto nel caso dell'inasprimento dell'Harrison Act.

La Svizzera non firmò la convenzione internazionale sull'oppio del 1912. Non subito per lo meno.

Firmò il protocollo di adesione alla Convenzione nel 1913 e sottoscrisse la Convenzione stessa nel

1924. L'industria farmaceutica svizzera figurava, in quegli anni, tra i primi produttori mondiali di

eroina, cocaina e morfina, destinate quasi esclusivamente all'esportazione. Nel periodo 1925-29 la

Svizzera divenne il primo produttore mondiale di eroina, esportandone più di 10 tonnellate, vale a

dire un terzo della produzione mondiale. Naturalmente il fatto che la Svizzera fosse l'unico paese in

cui l'importazione e soprattutto l'esportazione di droga non era soggetta a nessun controllo

particolare, divenne il fulcro di un accesissimo dibattito pubblico, in cui si scontrarono

liberoscambisti ad oltranza, appoggiati da una batteria di celebri professori di diritto, e un blocco

compatto formato da: sinistra anticapitalista, conservatori antimodernisti e liberali progressisti.

Questi denunciarono lo scandaloso commercio di stupefacenti, che avvelenava popoli di tutto il

mondo per il bene delle tasche di una ristrettissima categoria di industriali. Alla fine prevalsero

questi argomenti contro quelli del libero scambio e si giunse così, in ritardo rispetto agli altri Paesi,

alla prima legge sugli stupefacenti del 1924, seguita da due importanti revisioni nel 1951 e nel

1975. Da quel momento il commercio di stupefacenti venne sottoposto ad uno stretto controllo e la

detenzione di droga venne criminalizzata esplicitamente.

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Nel 1921 l'Ufficio Superiore di Igiene comunicava che gli USA impor tavano circa 1700 tonnellate

di oppio per un consumo pro capite di 2,5 grammi. I provvedimenti per il controllo avevano

trasformato in criminali quell'1% della popolazione avviato alla dipendenza da oppiacei dall'uso

indiscriminato e dalla promozione dell'oppio e dei suoi derivati fatta dalla classe medica per tutto

l'Ottocento. Ad esempio, dal 1918 al 1921 il numero dei prigionieri imputati di uso illegale d'oppio

nella prigione governativa di New York cresceva del 789%. Decine di migliaia di medici e di

farmacisti vengono citati in giudizio e condannati per aver prescritto e venduto oppiacei a

eroinomani.

Tuttavia, già nel 1915, si erano levate rare voci di protesta contro l'

Harrison Act

. In un editoriale, la

rivista

American Medicine

denunciava:

"Il problema dei narcotici è un problema medico molto

serio. La nuova legge invece che migliorarlo, l'ha peggiorato. I medici hanno trovato pericoli così

gravi nelle varie norme [...] che hanno deciso di stare il più lontano possibile da ogni tossicomane

e dai suoi bisogni di cura. Di conseguenza i tossicomani sono costretti a procurarsi i narcotici di

cui hanno bisogno nel mondo della malavita [...] Il mercato illegale sta crescendo [...] Abbiamo

ottenuto il risultato di gettare dei cittadini bisognosi di assistenza medica nelle mani dei criminali

[...] Giovani donne e ragazze assuefatte ai narcotici senza loro colpa, sono costrette a frequentare

case di malaffare dove rifornirsi di droga".

Dello stesso tono era un famoso articolo del 1925 di

Robert Schless: "

Ritengo che la maggior parte dei casi di tossicomania siano oggi dovuti

all'Harrison Narcotics Act, che proibisce la vendita di stupefacenti senza una ricetta medica [...] I

drogati che si trovano al verde si comportano da agenti provocatori degli spacciatori (

dealers

), e

vengono ricompensati con il regalo di un po' d'eroina o con la promessa di venirne riforniti.

L'Harrison Act ha creato lo spacciatore e lo spacciatore crea i tossicomani"

.

Anche il Congresso notava l'insuccesso dell'Harrison Act e nel 1918 costituiva una commissione di

inchiesta presieduta dal direttore del Servizio Sanitario Pubblico. La relazione, frutto di un anno di

lavoro, evidenziava il mancato calo dei consumatori, attestato costantemente sul milione di persone,

e rimarcava l'ampliamento del mercato illegale e la creazione di complesse organizzazioni criminali

per il traffico. I risultati illustrati dalla commissione di inchiesta ridavano voce alle istanze liberali

ed antiproibizioniste.

La reazione di alcuni parlamentari e soprattutto dei burocrati dell'ufficio narcotici del Dipartimento

del Tesoro fu però dura e sostenuta da un vasto consenso popolare, tanto da riuscire non solo a

contrastare gli antiproibizionisti ma ottenere anche un inasprimento del discusso Harrison Act, con

la proibizione della produzione, importazione e uso di eroina nel 1925.

Sempre nel 1925, a Ginevra, si affrontarono in una nuova conferenza i paesi favorevoli a una

regolamentazione del commercio dell'oppio e quelli favorevoli invece ad una sua totale proibizione.

Tra questi, vi erano ovviamente gli Stati Uniti, i cui rappresentanti abbandonarono anzitempo e per

protesta i lavori congressuali, quando si resero conto che il confronto era perso. Al termine del

secondo conflitto mondiale, con la vittoria della guerra da parte degli Stati Uniti, le sorti

s'invertirono e contro il commercio delle droghe e il loro consumo venne avviata una lotta senza

precedenti che dura ancora oggi. Nel 1925, gli Stati Uniti proibirono la produzione, l'importazione

e l'uso di eroina.

L'oppio in Asia fu oggetto di un'interessante, forse unica, esperienza di monopolio di Stato,

introdotto dalle autorità coloniali olandesi nei territori delle Indie Orientali loro sottomessi con

l'intento di controllarne il commercio ed il consumo. Tale monopolio durò dal 1893 fino al 1944.

Furono essenzialmente motivi di ordine politico, economico e morale (in Olanda protestanti e

socialisti accusavano i governanti di "oppiare la gente") a suggerire l'introduzione di un sistema di

divieti ed autorizzazioni, differenziati e modellati in manier a flessibile secondo i bisogni e le

necessità di ogni singola regione. Esso rappresentò, insieme ad un'intelligente politica di controllo

dei prezzi, la struttura su cui poggiò il buon funzionamento del monopolio.

Tutto ciò portò in breve tempo alla stabilizzazione del consumo di oppio e sull'arco di un decennio

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alla sua generale e drastica riduzione. Ridusse inoltre ai minimi termini il potere sino allora

detenuto dai trafficanti fuori legge ed estinse quasi completamente il sistema di corruzione e di

violenza da essi introdotto. Furono di molto ridotti anche i rischi per la salute. La presenza di un

controllo statale garantiva infatti la vendita di un prodotto di costante qualità e purezza.

La struttura del monopolio di Stato, adottata nei confronti dell'oppio nelle Indie Orientali olandesi,

garantì in buona sostanza la possibilità di condizionare, intervenendo sui meccanismi di regolazione

del mercato, il comportamento dei consumatori. Gli effetti prodotti da questa esperienza furono, in

un primo momento, un aumento importante del consumo. E' stata questa la fase di emersione del

fenomeno che ha dato l'idea esatta delle reali dimensioni da lui assunte in presenza di un mercato

nascosto. Estinto o ridotto ai minimi termini il mercato illegale, il consumo di oppio passò,

malgrado il notevole aumento di popolazione che segnò quel periodo, dai 65.358 kg del 1890 ai

9.204 kg del 1940.

L'esperienza del monopolio sull'oppio terminò nel 1944. L'intervento degli Stati Uniti per liberare i

territori occupati dai giapponesi e la condizione di debolezza in cui venne a trovarsi il governo

olandese, in esilio a Londra a causa dell'occupazione tedesca, deter minò il sopravvento di una

politica delle droghe orientata prevalentemente alla repressione del mercato e del consumo ed

impostata sin dall'inizio del secolo dagli Stati Uniti stessi.

In Italia, al pari degli Stati Uniti, la produzione di eroina fu proibita nel 1925, definendolo "farmaco

non necessario né utile", in Cecoslovacchia nel 1960 e in Portogallo nel 1962.

L'uso illegale andava però aumentando e per soddisfare la richiesta sorsero decine di laboratori

clandestini, localizzati in prevalenza attorno all'area di Marsiglia, in Francia, e controllati dalla

malavita locale. La morfina base, di provenienza turca, faceva tappa a Marsiglia e dopo essere stata

trasformato in eroina partiva alla volta del maggior consumatore, gli Stati Uniti.

Una vasta operazione di polizia portata avanti con la supervisione dell'Ufficio Centrale Narcotici

delle nazioni unite (CNB-Central Narcotics Board, ex

Permanent Central Narcotics Board

).

Marsiglia ha un'antica tradizione di traffici internazionali, è un posto di vasta immigrazione,

soprattutto italiana, ma sono stati i clan corsi a spadroneggiare da sempre nel vecchio porto.

I marsigliesi non hanno pregiudizi ideologici. Vendono armi alla Spagna repubblicana durante la

guerra civile e riforniscono l'Italia di generi alimentari durante le sanzioni, nel 1935, per

l'aggressione all'Etiopia. Il clan dei Guerini, famiglia corsa di grande peso, partecipa alla

Resistenza. Arriverà all'apice della potenza - locali notturni, bar, alberghi, prostituzione - negli anni

Cinquanta. Comincerà allora il suo declino nonostante i legami con i socialisti di Defferre. Nel 1967

quando sarà assassinato il leader, Antoine, finirà la tolleranza istituzionale e l'egemonia corsa. I

trafficanti sono legati allora in maggioranza al partito gaullista che offre più degli altri protezioni e

aperture internazionali. Francois Spirito e Paul Venture Carbone, il primo di origine calabrese, il

secondo corsa, hanno un percorso differente: legati a Simon Sabiani, leader politico che passera dal

comunismo al collaborazionismo con i nazisti, fanno affari d'oro come tenutari del feudo elettorale

di Sabiani, vicesindaco della città, definito "deputo gangster". Governano il fronte del porto, tra un

sindacato corrotto e squadre delinquenziali usate contro i lavoratori. Lo scambio tra consenso

elettorale e impunità è documentato. I clan marsigliesi godono del consenso degli strati più poveri

della popolazione. Consenso che finirà nel 1947 quando i marsigliesi, con una grande

manifestazione popolare, rifiuteranno clamorosamente l'avallo dell'elite illegale che il traffico della

droga ha reso miliardario.

In Persia, coltivazione ed uso vennero proibiti nel 1955, ma nel 1969 la legge fu abrogata e si

dispose che venisse distribuito gratuitamente una dose giornaliera di oppio a 120.000 persone,

molte anziane, nelle farmacie del paese. Dopo la caduta dello Sha e l'avvento di Khomeini nel

1979, l'oppio e tutte le altre droghe furono bandite introducendo, peraltro, pene severissime.

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In Turchia il divieto di coltivazione è stato emanato nel 1971, con lo scopo di ottenere un

riconoscimento della comunità internazionale ed ha determinato l'enorme aumento delle

coltivazioni nel cosiddetto Triangolo d'Oro.

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