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31 ago 2010


SCOMPENSO CARDIACO: MOLECOLA ANTISCHEMICA SALVAVITA

È l'ivabradina. Novità dal congresso europeo di cardiologia a Stoccolma


 

STOCCOLMA – E' una molecola antischemica, capace di ridurre l'eccesiva frequenza cardiaca nello scompenso di cuore e dunque in grado di contribuire alla prevenzione degli eventi coronarici (in Italia, si ricoverano per questo motivo circa 200 mila persone ogni anno). I risultati positivi vengono da Stoccolma,dove è in corso il congresso europeo di cardiologia presieduto da Roberto Ferrari.

Lo stato di scompenso impedisce al cuore di lavorare correttamente e quindi insufficiente si dimostra la circolazione del sangue. Fra le principali cause, c'è l'infarto ( 170 mila casi all'anno nel nostro Paese),ma anche l'ipertensione trascurata(presenta la pressione alta un italiano su quattro).

Le cifre dello scompenso sono drammatiche, come è scaturito dall'incontro svedese, perché l'8% dei pazienti muore durante la prima degenza, il 15% dopo sei mesi ed il 16% dopo un anno.

La nota incoraggiante viene dallo studio SHIFT (Systolic Hearth Treatment with If inhibitor Ivabradine Trial),pubblicato sul Lancet e che ha coinvolto 6.500 persone in 37 nazioni.

In tema di prevenzione si parlato infine del valido supporto di una corretta alimentazione capace di privilegiare olio d'oliva,cereali,pesce azzurro,frutta e verdura), controllando anche le modalità di cottura,limitando al massimo la presenza di fritti. Alla base infatti di un futuro di malato cardiaco c'è al contempo l'obesità infantile che raggiunge i massimi livelli,per l'Italia, in Campania,Sicilia e Calabria.


 

GIAN UGO BERTI

(riproduzione vietata)

30 ago 2010


 

 

News

30/08/2010 - GENETICA

Scoperto un fattore di rischio genetico
per l'emicrania comune

Un allele sul cromosoma 8 potrebbe aumentare rischio malattia

PARIGI

Una piccola variazione del Dna potrebbe favorire l'insorgere dell'emicrania: è quanto hanno scoperto i ricercatori del britannico Trust Sanger Insitute, in uno studio pubblicato dalla rivista scientifica Nature Genetics.

Un legame genetico era già stato messo in luce per alcune forme rare di emicrania, ma non per quella ordinaria, che colpisce 300 milioni di persone nel mondo: l'allele in questione si trova sul cromosoma 8, è noto come "rs1835740" e regola il livello del glutammato, una delle sostanze chimiche che permette il collegamento fra i neuroni.

Il difetto genetico risiede sul cromosoma 8 tra due geni, PGCP e MTDH/AEG-1 e i ricercatori hanno scoperto che a questo difetto corrisponde il malfunzionamento del gene MTDH/AEG-1 e che ciò potrebbe causare l'"ingolfamento" delle sinapsi, cioè dei ponti di comunicazione tra neuroni, a causa dell'accumulo di un importante messaggero chimico del cervello, il glutammato.

L'emicrania si stima interessi una donna su sei e un uomo su 12 e che sia il problema neurologico più dispendioso sia in Europa sia in Usa. Generalmente ha il suo esordio dopo la pubertà, ma il disturbo è maggiormente frequente tra i 35 e i 45 anni. Spesso l'attacco emicranico, che si manifesta con un dolore forte e pulsante e che tipicamente affligge metà testa, è preceduto da sintomi premonitori come disturbi visivi o della sensibilità con formicolii, per cui si parla di emicrania con aura.

Il soggetto emicranico non di rado si adatta, ignaro delle conseguenze, alle sbagliate cure fai-da-te, "imbottendosi" di analgesici che però possono addirittura dare dipendenza, mentre è il neurologo che deve stabilire la cura adatta per ogni paziente. L'attacco di emicrania può essere scatenato da uno o più fattori, per esempio certi cibi, o addirittura le condizioni meteo, ma si ritiene che dietro vi sia una certa predisposizione ereditaria, tant'è vero che spesso il disturbo è caratterizzato da familiarità. Finora però non erano stati eseguiti studi estesi di genetica per scovare eventuali geni responsabili dell'emicrania, o per meglio dire della predisposizione al disturbo.

Ci hanno pensato i ricercatori del consorzio internazionale di genetica delle cefalee che hanno confrontato l'intero genoma di 3000 persone che soffrono di emicrania da Finlandia, Germania e Olanda, con il genoma di oltre 10.000 persone sane. Poi per conferma hanno ripetuto la stessa analisi genetica su altri 3000 pazienti e oltre 40.000 soggetti sani. È emerso che i pazienti con emicrania presentano spesso una mutazione a cavallo di due geni, PGCP e MTDH/AEG-1, stimando quindi che questo difetto genetico è associato a un rischio significativo di soffrire di emicrania.

I ricercatori si sono anche fatti un'idea di come questa mutazione sortisca il mal di testa: il difetto genetico, infatti, scompensa l'attività del gene MTDH/AEG-1 che è un importante regolatore di un altro gene, EAAT2, una molecola "spazzina" che ripulisce le sinapsi dal glutammato, cioè controlla lo smaltimento del neurotrasmettitore glutammato. Quindi, pensano i ricercatori, uno squilibrio nel funzionamento dei geni può portare all'accumulo del glutammato, da cui il mal di testa.

Ovviamente si tratta per ora solo di speculazioni, concludono i ricercatori, ma sta di fatto che aver individuato un fattore di rischio genetico dell'emicrania apre a tutta una serie di nuovi studi verso la scoperta di nuove terapia.


 

Nature Genetics


  • e si aprono nuovi interrogativi per le trasfusioni di sangue

    Stanchezza cronica: nuovi dati
    a favore dell'ipotesi virale

    Una ricerca dimostra un legame con i retrovirus.
    E intanto i pazienti si curano con farmaci anti-Aids

    e si aprono nuovi interrogativi per le trasfusioni di sangue

    Stanchezza cronica: nuovi dati
    a favore dell'ipotesi virale

    Una ricerca dimostra un legame con i retrovirus.
    E intanto i pazienti si curano con farmaci anti-Aids

     

    MILANO - Da tempo si sospetta un legame fra stanchezza cronica e virus, ma dimostrarlo non è per niente facile. La primavera scorsa la rivista Science ha pubblicato una ricerca che metteva in relazione la sindrome con un tipo di retrovirus chiamati XMRV (virus a loro volta correlati alla leucemia murina), ma altri quattro studi non lo avevano confermato. Adesso una nuova indagine dimostra una correlazione fra malattia e altri retrovirus della stessa classe, chiamati MRV.

    LO STUDIO - Più nel dettaglio, i ricercatori dell’Harvard Medical School di Boston, dei National Institutes of Health e della Fda, l’ente per il controllo dei farmaci, hanno trovato sequenze genetiche di MRV nel sangue di 32 pazienti, affetti dalla sindrome, sui 37 analizzati e solo in tre su 44 soggetti sani. Non hanno invece evidenziato tracce di XMRV. «Questa classe di retrovirus ha subito commentato Leonard Jason della De Paul University di Chicago, un esperto della malattia – sta per diventare un pezzo importante del puzzle». Puzzle appunto. Perché la sindrome da stanchezza cronica è una condizione di cui non si conoscono le cause e che non trova riscontri in test diagnostici, nonostante i pazienti presentino segni di anomalie immunologiche, neurologiche e endocrinologiche.

    BLOG DI MALATI - La sindrome, così come è stata definita dai Centers for Diseases Control di Atlanta nel 1994, è caratterizzata da stanchezza (che dura da più di sei mesi e non è alleviata dal riposo) associata a quattro o più sintomi fra i quali: disturbi della memoria, dolori muscolari, mal di testa, sonno non ristoratore, dolore ai linfonodi, faringite. È una patologia che può essere molto debilitante e non ha ancora trovato una cura. Ecco perché si stanno studiando le cause, ecco perché si sono creati reti di pazienti, soprattutto negli Stati Uniti, che dialogano online e premono sul mondo scientifico perché finalmente la smetta di considerare questa malattia come psicosomatica o semplicemente legata allo stress, nonostante ci siano molte evidenze che a scatenarla è spesso una malattia virale acuta. Trovare una causa significherebbe anche studiare nuove cure. E il coinvolgimento dei retrovirus potrebbe far ipotizzare terapie anti-retrovirali, tipo quelle usate per combattere l’Hiv, il virus dell’Aids. Almeno tre farmaci di questo tipo hanno rivelato di essere attivi anche contro gli XMRV in laboratorio.

    FARMACI OFF-LABEL - Alcuni pazienti sono già in terapia con farmaci anti-Hiv prescritti off-label dai medici, al di fuori cioè dalle indicazioni per cui sono autorizzati dalle autorità sanitarie. E ne parlano in rete, come Jamie Deckoff-Jones, medico lui stesso che sul tema tiene un blog molto popolare negli Usa. I medici, compreso il coordinatore della ricerca appena pubblicata su Pnas, ribadiscono: «Non c’è prova definitiva che i retrovirus possano determina la sindrome da stanchezza cronica: l infezione potrebbe essere la conseguenza di un sistema immunitario alterato».

    ALLARME TRASFUSIONI - Il fatto che in alcuni pazienti i retrovirus vengano identificati e in altri no, potrebbe dipendere da differenti metodi di analisi ed è per questo che le ricerche vanno approfondite. Questi nuovi dati, però, mettono in luce un nuovo problema: se nel sangue dei pazienti si possono isolare virus correlati alla leucemia murina, è bene escluderli dalla donazione di sangue.

    Adriana Bazzi
    abazzi@corriere.it
    24 agosto 2010
    (ultima modifica: 26 agosto 2010

28 ago 2010



  •  


 


 

STRESS INTESTINALE: IL REGALO DELLE FERIE FINITE

Consigli utili su come smaltire in fretta le tossine del rientro


 


 

MILANO - Rientrare a casa almeno due giorni prima della scadenza delle ferie per riprendere il normale ritmo vita. Con le vacanze ridotte sempre di più, appare una forma di prevenzione troppo semplicistica. Certo che la sindrome da" stress del rientro" non è teoria. L'anello debole della catena biologica del nostro organismo è l'intestino. Si calcola che, in un caso mediamente su dieci, il suo malessere si tramuti in gonfiore, meteorismo e flatulenza,dolori acuti spesso sotto forma di crampo. Già a tavola, qualcosa si può fare. Secondo Attilio Giacosa,gastroenterologo al Policlinico di Monza, limitare gli alimenti in grado di favorire lo stress intestinale,come caffè,fritti,insaccati,cibi molto piccanti e latte (www.puraflor.it).

Ecco allora le regole per combattere il rientro al lavoro:introdurre molta frutta e verdura,bevendo in particolare molta acqua,limitando legumi,caffè,fritture,pizza e cibi piccanti. Preferibili sono piccoli pasti durante l'intero arco della giornata,composti da piatti semplici,poco elaborati e ben cotti.

Ruolo importante giocano i probiotici che limitano la produzione di gas intestinali e riequilibrano la flora batterica locale. Da qui il suggerimento:assumere integratori probiotici di fermenti lattici. In ordine di tempi logistici, comunque,non attendere proprio le ultime ore di vacanze per rientrare,magari sottoponendosi a massacranti code:è intuibile che lo stress,la mattina successiva sia una certezza voluta.

Ogni giorno,fare un po' di ginnastica come una lunga e tranquilla passeggiata per mantenersi fisicamente attivi e non interrompere di colpo i benefici apportati dalle nuotate al mare o dalle camminate in montagna.

Finchè sarà possibile provate a non strafare ed a riprendere le normali attività con calma,evitando un'immersione totale nel lavoro o nello studio,prefiggendosi di rispettare alcuni piccoli traguardi. Ricorrete,stante il caldo imperante, un abbigliamento casual – dove consentito – per aiutare a superare lo stress da rientro: l'organismo,infatti,potrebbe risentire del passaggio dall'abbigliamento informale delle vacanze alle uniformi lavorative o scolastiche.

Evitare,infine,le situazioni che provochino ansia professionale e privata,cercando di frequentare persone che consentano di sciogliere le tensioni e non alimentando lo stress,almeno nelle ore libere.


 

GIAN UGO BERTI

(riproduzione vietata)


 

27 ago 2010


Il sito Internet dell'Agenzia ANSA

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  • la Broccoli e banane contro infezioni

Allo stomaco e in particolare contro il morbo di Crohn

26 agosto, 14:22


 

(ANSA) - ROMA, 26 AGO - Broccoli e banane potrebbero presto diventare alleati importanti nella dieta per trattare le infezioni dello stomaco. In particolare contro il morbo di Crohn, una malattia cronica che provoca l'infiammazione del tratto gastrointestinale o digerente. Lo hanno stabilito alcuni ricercatori dell'universita' di Liverpool, in seguito ad uno studio, pubblicato sulla rivista Gut, effettuato su cellule coltivate in laboratorio o prelevate da pazienti sottoposti ad intervento.

24 ago 2010


  • LO STUDIO

    Stanchezza e dolori muscolari?
    Ecco la ginnastica dei 5 animali

    Il Tai Chi, la tecnica cinese cugina delle arti marziali, può essere utile per combattere la sindrome fibromialgica

  • NOTIZIE CORRELATE

    MILANO - Come si pratica il Tai Chi lo ha dimostrato anche il premier cinese Wen Jabao, in un parco di Tokio, durante una sua recente visita ufficiale in Giappone; che questa “ginnastica”, parente delle arti marziali, faccia bene alla salute lo testimoniano lo stesso uomo politico cinese, in perfetta forma con i suoi 68 anni, e una serie di studi scientifici, compresso l’ultimissimo appena pubblicato su uno dei più quotati giornali medici, l’americano New England. Il Tai Chi, in particolare quello praticato secondo il classico stile Yang, migliora i sintomi della fibromialgia, una sindrome piuttosto complessa, che si manifesta con dolori muscolari diffusi, disturbi del sonno, depressione, stanchezza.

    LO STRETCHING - I ricercatori del Tufts Medical Center di Boston hanno voluto confrontare l’efficacia della tecnica cinese con lo stretching e hanno sperimentato entrambe su 66 persone per dodici settimane. Tutti i pazienti erano stati catalogati come affetti da fibromialgia, secondo i criteri dell’American College of Reumathology del 1999. La fibromialgia, infatti, non è facile da riconoscere: la diagnosi si basa sui sintomi descritti dal paziente (in prevalenza di sesso femminile) e sulla presenza di alcuni punti sulla superficie del corpo dolorosi alla pressione, ma non esistono test diagnostici di verifica. I sintomi principali sono: dolori cronici muscolari che interessano la colonna, le spalle, il bacino, le braccia, le cosce e che migrano da una zona all’altra; disturbi dell’umore e in particolare del sonno; affaticamento cronico.

    CAUSE SCONOSCIUTE - La causa non è nota e non esiste una terapia efficace scientificamente provata (c’è addirittura chi mette in discussione l’esistenza stessa di questa sindrome, imparentata con quella da stanchezza cronica e con quella da multi sensibilità chimica, dal momento che hanno in comune molti sintomi): i medici prescrivono miorilassanti, antidepressivi, integratori alimentari, non sempre con successo. Ecco perché si cercano altre strade, anche nell’ambito delle medicine complementari, compresa quella cinese. E il Tai Chi ha dimostrato di funzionare meglio dello stretching, riducendo il dolore, la stanchezza, l‘insonnia e migliorando le prestazioni fisiche. «Questi risultati – ha commentato la coordinatrice dello studio, la reumatologa Chenchen Wang – sono probabilmente da attribuire al fatto che la fibromialgia è una sindrome complessa e che il Tai Chi fa leva su molte componenti, fisiche, psicologiche, sociali e spirituali, il cui equilibrio è importante per la salute». Non solo: il fatto che una rivista autorevole come il New England abbia pubblicato lo studio sdogana in qualche modo sia la fibromialgia sia una tecnica di medicina alternativa che, come tante altre, è spesso oggetto di ostruzionismo da parte di certa classe medica.

    LO STILE CLASSICO - Gli esercizi di Tai Chi, utilizzati nello studio, sono quelli classici dello stile Yang, uno dei tanti derivati dalle arti marziali cinesi, che è stato elaborato fra il 1800 e il 1900 dalla famiglia Yang. Oggi è uno dei più diffusi, anche perché non è difficile da apprendere. Intanto prevede la posizione eretta, facile da mantenere anche per persone di una certa età, poi si basa su movimenti lenti e continui: il passaggio da una posizione all’altra avviene gradualmente in un continuum armonioso che corrisponde alla ricerca dell’equilibrio fra il corpo e la mente, fra la persona e mondo esterno. Infatti queste ginnastiche si basano sul principio dell’armonia dei cinque elementi, ai quali si rifà tutta la medicina tradizionale cinese: legno, fuoco, terra, metallo, acqua, cui sono simbolicamente legati non solo gli organi dell’organismo, ma anche cinque animali: drago verde, fagiano rosso, fenice gialla, tigre bianca, tartaruga blu.

    Adriana Bazzi
    abazzi@corriere.it
    20 agosto 2010(ultima modifica: 22 agosto 2010

    PAGINEGIALLE.it

Quotidiano Net - Usa, cellule staminali adulte se 'istruite' riparano i danni dell'infarto


Quotidiano Net - Usa, cellule staminali adulte se 'istruite' riparano i danni dell'infarto

23 ago 2010

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July 27, 2010


Home - Dolentium Hominum - Atti della XVIII Conferenza Internazionale - 1. La storia della depressione


 

 

Segunda Sessione: La luce della fede nel mondo della depressione

1. La storia della depressione

Pare che il medico greco Ippocrate, vissuto tra il V ed il IV secolo a.C., si sia recato un giorno a casa del filosofo Democrito i cui amici ritenevano che stesse dando prova di squilibrio mentale. Lo trovò intento a compiere dissezioni sugli animali e a contemplarne i visceri. In tale occasione il filosofo greco, quasi volesse giustificare il suo comportamento, avrebbe detto al medico che anch'egli nutriva un certo interesse circa la natura e le cause della pazzia; avrebbe inoltre aggiunto che volendo scrivere sull'argomento aveva sezionato quegli animali non in dispregio agli dèi, ma per ricercare la sede e la natura della bile al cui eccesso si attribuiva comunemente la causa della pazzia.

All'epoca di Ippocrate la bile, sia gialla che nera, era ritenuta strettamente collegata alle anomalie del comportamento, potendosi distinguere ad esempio temperamenti collerici e temperamenti melanconici a seconda che fosse prevalente l'uno o l'altro fluido. Del resto la bile gialla e la bile nera erano allora considerati, insieme al sangue e al flemma, gli umori fondamentali dell'organismo umano, capaci di assicurare, fin quando si mantenevano fra di loro in perfetto equilibrio ed armonia, la salute fisica e psichica dell'individuo.

In particolare la bile nera o atrabile (in greco: melagkolia) era descritta come un fluido denso, freddo, scuro e irritante; si pensava che avesse sede nella milza e che potesse prodursi anche per evaporazione della componente acquosa degli altri umori. Essa era considerata affine alla terra, anch'essa secca e fredda; era inoltre collegata all'autunno e all'età presenile. La bile nera, qualora avesse preso il sopravvento sugli altri fluidi, poteva fuoriuscire dalla sua sede naturale, infiammarsi, corrompersi e infine ottenebrare la mente. La malinconia, così prodottasi per eccesso e alterazione di un umore corporeo, presentava soprattutto sintomi psichici quali: tristezza, timore, inappetenza, turbe del sonno, allucinazioni e deliri.

Per Ippocrate la terapia della malinconia consisteva nel riportare l'umore sovrabbondante in armonico equilibrio con gli altri tre; a tal fine consigliava un regime igienico-dietetico adeguato non disgiunto, soprattutto nel caso di pazienti poco collaboranti, dall'assunzione di farmaci (come l'elleboro e la mandragola) che per le loro proprietà purgative ed emetiche potessero eliminare l'eccesso di atrabile. Tali erbe erano di solito raccolte dai rizotomoi con particolari precauzioni e rituali, per le valenze simboliche che venivano unanimemente loro attribuite.

Comunque, in epoca postippocratica anche altre sostanze vegetali venivano utilizzate nella cura della melanconia; così, ad esempio, Crisippo di Cnido raccomandava il cavolfiore, Filistione e Plistonico consigliavano il basilico, Filagrio prescriveva una pozione a base di zenzero, pepe, epitema e miele.

Discepolo di Platone (427-347 a.C.), che aveva considerato alcuni tipi di follia come un dono degli dei, Aristotele (384-322 a.C.) associò la melanconia alla genialità, sostenendo che un eccesso di atrabile poteva aiutare artisti, filosofi e anche politici a eccellere nel loro campo. Per Aristotele inoltre il cuore, principale centro vitale e sede del sensorium commune, mandava i vapori caldissimi prodotti al suo interno verso il cervello, il quale provvedeva a raffreddarli e condensarli; in tal modo l'attività del cuore poteva a sua volta essere rinfrescata e calmata.

Ad Alessandria, in epoca ellenistica, Erofilo ed Erasistrato, esperti di anatomia, rivalutarono il cervello localizzandovi le funzioni intellettive. Erasistrato in particolare si sarebbe occupato anche di melanconia, diagnosticandone con successo una forma "amorosa" nel principe Antioco, innamorato della seconda moglie di suo padre; la cura sarebbe stata in questo caso il raggiungimento dell'oggetto d'amore, come in affetti avvenne col consenso del padre a ciò consigliato dal medico.

A Roma, nel I secolo a.C., Asclepiade di Bitinia, contrario alla dottrina umorale e seguace della teoria solidistica, prescriveva ai melanconici vari tipi di bagni, dieta, ambienti bene illuminati; consigliava inoltre di tenere nei confronti di tali pazienti un atteggiamento rassicurante e incoraggiante. Nella stessa epoca l'enciclopedista Aulo Cornelio Celso descrisse nel De Medicina alcune cure in uso contro l'insonnia dei melanconici: applicazione sulla testa di unguento a base di zafferano e di giaggiolo, posizionamento sotto le orecchie di frutti di mandragola, somministrazione di decotto di papavero o di giusquiamo, applicazione di ventose scarificanti alla nuca.

Lucio Anneo Seneca, filosofo vissuto tra il I secolo a.C. ed il I secolo d.C., diede un'accurata descrizione della melanconia e fornì a coloro che ne erano affetti suggerimenti sotto forma di esortazioni e consolazioni.

Rufo d'Efeso nel I secolo d.C. si interessò alla melanconia che descrisse e suddivise in vari tipi caratterizzati dalla diversa localizzazione e azione dell'atrabile, descrivendone anche alcune forme deliranti Per quanto riguarda le terapie prescriveva norme igieniche e dietetiche, il salasso, un purgante a base di cuscuta, epitimo e aloe.

Sorano d'Efeso, vissuto tra il I e il II secolo d.C., si occupò anch'esso di melanconia che, seguendo la dottrina solidistica, attribuiva ad uno stato di costrizione delle fibre costituenti il corpo umano. Descrisse i sintomi principali della malattia: tristezza silenziosa con pianto immotivato, ansietà, prostrazione, disturbi gastrici, animosità verso i parenti. Come cura consigliava soprattutto dei cataplasmi da applicare in regione epigastrica o sul dorso a livello delle scapole; non trascurava neppure le prescrizioni di tipo psicologico-comportamentale, raccomandando ai parenti di far assistere il paziente a commedie allegre, occuparlo in passatempi che tengano sveglia la sua mente, di mostrare interesse e ammirazione per quanto riesce a fare.

Areteo di Cappadocia, vissuto nel II secolo d.C., si interessò in più occasioni della melanconia per la cui cura prescrisse farmaci purganti e colagoghi, consigliando anche bagni in acque che contenessero tra le altre sostanze: bitume, zolfo e allume. Areteo considerò la possibilità che ci fosse una predisposizione costituzionale alla melanconia e che lo stato malinconico costituisse l'estensione patologica di una normale condizione psicologica; affermò inoltre che tale malattia poteva guarire completamente oppure ripresentarsi ancora dopo diversi anni.

Claudio Galeno (130-200 d.C.), tenace assertore della dottrina umoralista, attribuì la malinconia all'eccesso di bile nera, distinguendone tre differenti tipi. Il primo era dovuto alla localizzazione prevalentemente encefalica dell'atrabile; il secondo era invece causato dalla diffusione di tale umore mediante il sangue a tutto l'organismo, encefalo compreso; il terzo infine era provocato dall'ingorgo del medesimo umore nella regione ipocondriaca con produzione di esalazioni tossiche capaci di salire fino all'encefalo e di influenzarlo. Descrisse la tristezza, l'ansietà ed anche i pensieri deliranti dei melanconici (un paziente, ad esempio, immaginava di essere costituito da conchiglie e aveva paura che i passanti le frantumassero; un altro temeva che Atlante, stanco di reggere il mondo sulle spalle, se lo scrollasse di dosso facendo così perire tutti). Consigliava ai pazienti un regime igienico-dietetico; dovevano ad esempio evitare gli alimenti che richiamassero il nero e l'acre dell'atrabile. Prescriveva però anche farmaci come, ad esempio, una miscela di piantaggine, mandragola, fiori di tiglio, oppio e rucola.

Gli autori vissuti in epoca immediatamente successiva a quella di Galeno (come Oribasio di Pergamo, Alessandro di Tralles o Paolo d'Egina) non si discostarono dall'impostazione generale di stampo ippocratico-galenico nell'interpretazione e nel trattamento della disturbi melanconici.

I padri della Chiesa, pur accettando in linea generale il sistema galenico, manifestarono frequentemente la tendenza a considerare la sintomatologia depressiva non come una malattia (la melanconia, imputabile a cause organiche e debellabile con un trattamento medico), ma come un peccato (l'accidia, imputabile a tentazioni diaboliche e debellabile con delle pratiche religiose). San Cassiano, ad esempio, descrisse nei monaci una condizione, favorita dall'esistenza solitaria, caratterizzata da tristezza e inquietudine che li rendeva oziosi e incapaci di assolvere ai loro doveri. In questi casi la cura più adatta poteva essere un atto di penitenza o una punizione correttiva. Comunque, per prevenire il peccato di accidia si consigliava di scacciare l'ozio con l'attività lavorativa, soprattutto quella richiedente un certo grado di impegno e fatica. Del resto il malinconico, che frequentemente dava l'impressione di avere in odio la vita stessa e di nutrire sfiducia nella misericordia divina, manifestava un atteggiamento certamente riprovevole per ogni buon cristiano. Il depresso poi, assorbito dai suoi timori e dalle suoi deliri, sembrava talvolta aver perso del tutto la ragione, il dono divino che differenziava l'uomo dalle bestie; tale situazione poteva essere facilmente interpretata come un segno della riprovazione divina nei suoi confronti, strettamente connessa alla condizione di peccatore.

I medici arabi, all'epoca del massimo splendore di tale civiltà (ultimi secoli del primo millennio e primi secoli del secondo millennio d.C.), si occuparono anch'essi della depressione, influenzati in genere dalle dottrine ippocratico-galeniche. Najab ud din Unhammad (vissuto tra il IX ed il X secolo) descrisse in particolare una forma caratterizzata dal comportamento taciturno e agitato con insonnia e antipatia verso i suoi simili; descrisse inoltre una seconda forma contraddistinta dalla tristezza e dall'ansietà; in entrambi i casi prescriveva norme igienico-dietetiche, bagni e talvolta salassi. Avicenna (vissuto tra il X e l'XI secolo) contrastò l'opinione che la sintomatologia depressiva derivasse dall'influsso di demoni, ritenendola una malattia curabile con cure mediche (prescrisse ad esempio l'iperico a tali pazienti). Del resto lo storico arabo Usama ibn Munqidh, vissuto nel XIII secolo, narrò della disputa tra un medico franco e un medico arabo circa il caso di una donna affetta da "consunzione"; il primo ne avrebbe dato un'interpretazione puramente organica ricorrendo a prescrizioni dietetiche, il secondo ne avrebbe dato invece un'interpretazione demoniaca ricorrendo a pratiche esorcistiche.

Costantino l'Africano, vissuto nell'XI secolo tra il nord-Africa e l'Italia, fu autore del trattato De melanconia, uno dei primi testi medici interamente dedicati alla depressione, nel quale la tradizione greco-romana si fondeva con gli apporti degli autori arabi. Della malattia erano accuratamente descritte la sintomatologia, le differenti forme cliniche e le varie cause; si passava poi ad illustrare il trattamento, prevalentemente di tipo igienico-dietetico (riguardante: la situazione climatico-ambientale, l'alimentazione, il bilancio tra ritenzione e espulsione delle materie organiche, l'attività fisica, il ritmo sonno-veglia, la sfera emotivo-passionale). Venivano comunque considerate anche le terapie farmacologiche, in genere a base di purganti o diaforetici, per espellere rapidamente e in maggior quantità possibile l'atrabile responsabile del quadro morboso; tra i rimedi vegetali erano citati: elleboro, scamonea, cassia, coloquintide, rabarbaro, timo, zafferano, mandorle e pistacchi.

Santa Ildegarda, badessa del monastero di Bingen in Germania, vissuta nel XII secolo, riteneva che la melanconia fosse strettamente collegata al peccato originale e direttamente provocata dal diavolo; contro tale condizione consigliava dei rimedi, considerati espressione della benevolenza divina, tratti dai tre regni della natura (ad esempio, un preparato in cui erano mescolati: sangue, malva, olio d'oliva e aceto).

Nell'Europa medioevale furono a lungo in auge nella cura delle malattie psichiche come di quelle organiche ricette che vantavano prodigiose virtù salutari derivate dalla rarità o preziosità degli ingredienti. Venivano spesso adoperati rimedi o pratiche terapeutiche che traevano la loro buona fama poiché si rifacevano a celebri medici del passato o a santi protettori di una particolare malattia; talvolta poi i farmaci erano prescritti in base a credenze magiche o a supposte influenze astrologiche.

Durante il Rinascimento la condizione depressiva cominciò ad essere considerata in modo diverso rispetto al Medioevo. In particolare il filosofo Marsilio Ficino (1433-1499), come del resto aveva già sostenuto Aristotele, definì il temperamento melanconico e gli accessi di malinconia una caratteristica dell'uomo di genio, versato nelle arti, nelle scienze e nella politica. Secondo il Ficino e il circolo neoplatonico a lui collegato, il malinconico era associato fin dalla nascita a Saturno, pianeta ambivalente capace sia di assicurare genialità e creatività che di causare inerzia ed ebetudine. Già da tempo l'astrologia aveva sostenuto che i vari astri influenzavano la vita di coloro che nascevano sotto il loro segno; così i nati sotto Giove erano sanguigni, i nati sotto Marte collerici, i nati sotto Saturno melanconici. Fino al Rinascimento tuttavia gli artisti e letterati erano associati a Mercurio, pianeta dal moto veloce oltre che divinità protettrice dei traffici, dei commerci e delle scienze; i nati sotto il suo segno erano considerati industriosi e dediti allo studio. A partire da quest'epoca invece il temperamento saturnino soppiantò gradatamente il temperamento mercuriale come prerogativa del genio creatore ed innovatore; contemporaneamente gli artisti cominciarono ad evidenziare o ad enfatizzare gli aspetti melanconici del loro carattere che costituivano una specie di garanzia della loro genialità. Il Ficino, in una sorta di manuale igienico ad uso dei letterati (De vita triplici, 1489), fu prodigo di consigli per superare gli effetti maligni di Saturno: seguire regole igienico-dietetiche, coltivare la musica, ingraziarsi il pianeta Giove così da aggiungere "giovialità" alla malinconia di fondo dell'artista.

Il medico francese Jean Fernel (1486-1557) nella sua classificazione delle malattie mentali distinse tre tipi di melanconia: una forma triste, una forma con licantropia e una forma con eccitazione (mania); fece rientrare nelle melanconia, che imputava ad un danno della sostanza cerebrale, anche i deliri di persecuzione senza febbre e senza agitazione.

Joahnnes Weyer (1515-1588) originario del Brabante, considerò la melanconia la principale affezione di cui soffrivano le persone accusate di stregoneria. Per tale medico molte delle esperienze che le cosiddette streghe raccontavano erano probabilmente frutto della loro immaginazione disturbata più che dell'effettivo intervento del demonio; era perciò raccomandabile farle visitare prima dal medico che dal sacerdote.

André Du Laurens, vissuto dalla metà del secolo XVI al primo decennio del secolo XVII, scrisse un Discours des maladies mélancoliques (1599) e prescrisse ai pazienti prevalentemente regole igienico-dietetiche. Consigliò in particolare l'inalazione di varie essenze odorose e anche la visione di colori vivaci; raccomandò inoltre compagnie e occupazioni piacevoli; non trascurò neppure i farmaci, di solito di origine vegetale.

Timothy Bright (1551-1617) pubblicò nel 1586 A Treatise of Melancholie nel quale sostenne la separazione tra una forma organica imputabile all'atrabile e una forma psichica imputabile ad ansie spirituali; per la prima consigliava per lo più trattamenti dietetici e farmacologici, per la seconda pratiche religiose e psicologiche.

Robert Burton (1577-1640) pubblicò nel 1621 il celebre trattato Anatomy of Melancholie nel quale rifacendosi alla letteratura precedente sull'argomento ne descrisse sintomatologia, tipologia e terapia. In particolare nel libro venne sottolineato il possibile comportamento suicidario dei melanconici e furono illustrate numerose idee deliranti a sfondo depressivo (ad esempio, la convinzione di essere fragile come vetro, pesante come piombo, leggero come piuma, infiammabile come paglia, ecc.). Tra le sostanze di origine vegetale consigliate dal Burton vi furono: il tarassaco, il frassino, il salice, la tamerice, il papavero e l'iperico; non mancarono le prescrizioni di tipo magico come quella di portare un anello ricavato dalla zampa anteriore destra di un asino.

A mostrare l'interesse degli autori e del pubblico colto dell'epoca per l'ampia varietà dei sintomi collegabili alla depressione si possono citare anche le opere: Maladie d'amour ou mélancolie erotique (1612) del frances Jacques Ferrand, Dignotio et cura affectuum melancholicorum (1622) della spagnolo Alphonso de Santa Cruz ed infine Dissertatio medica de nostalgia (1688) dell'elvetico Johannes Hofer.

Tra il XVII e il XVIII comparvero alcune interpretazioni della sintomatologia depressiva che si discostavano dalla tradizionale attribuzione di responsabilità alla bile nera. Thomas Willis (1621-1675), sotto l'influenza delle teorie iatrochimiche, chiamava in causa nella genesi della melanconia un eccesso di salinità del sangue capace di alterare la conformazione stessa del cervello. Thomas Sydenham (1624-1689) sottolineava nell'ipocondria la debolezza del sangue che andava rinforzato con farmaci corroboranti, soprattutto a base di ferro. Hermann Boerhaave (1668-1738), sulla scia delle teorie iatromeccaniche, chiamava in causa un aumento delle componenti oleose del sangue con riduzione dell'apporto ematico al cervello e impoverimento dei secreti nervosi. Frederic Hoffmann (1660-1742) attribuiva la melanconia ad uno spasmo della dura madre con difficoltà per la circolazione del sangue nel cervello. George Cheyne (1671-1743) nel libro The English Malady si soffermava invece sulle cause ambientali dell'ipocondria depressiva (in particolare: il clima delle isole britanniche, umido e pesante, e anche il ritmo di vita delle sue grandi città).

Tuttavia, verso la fine del secolo XVIII, la bile nera manteneva ancora una certa rilevanza nell'interpretazione della sintomatologia depressiva. Così ad esempio Anne-Charles Lorry (1726-1783) distingueva la "melanconia umorale" (caratterizzata dai disturbi digestivi, dovuta all'eccesso di atrabile e trattabile con evacuanti) dalla "melanconia nervosa" (caratterizzata dai fenomeni convulsivi, dovuta alla tensione delle fibre costituenti l'organismo e trattabile con tonici antispastici) e Pierre-Jean-Georges Cabanis (1757-1808) sosteneva l'esistenza di un "temperamento melanconico", incentrato sul sistema epatico, terreno favorevole per l'instaurarsi della malattia depressiva.

Philippe Pinel (1745-1826) considerò la melanconia come un'idea esclusiva (monomania) consistente in un falso giudizio del malato sulla condizione del suo corpo per cui credeva a torto di essere in pericolo. Jean-Etienne-Dominique Esquirolle (1772-1840) coniò per la depressione il termine "lipemania", definita una "monomania caratterizzata da un delirio parziale e da una passione triste ed oppressiva", allontanando così dalla malattia ogni riferimento alla bile nera.

Gli alienisti dei primi decenni del secolo XIX, sotto l'influenza dalla "psichiatria romantica" che imputava ad uno squilibrio dell'anima tutte le malattie mentali, fecero ricorso anche nella cura della depressione al cosiddetto "trattamento morale", consistente nel tentativo di contrastare e far scomparire il nucleo delirante individuato nel paziente con un atteggiamento pedagogico. Si ricorreva ad esempio al metodo della "frode pietosa" (il terapeuta cioè carpiva la fiducia del paziente, fingendo inizialmente di condividerne le convinzioni per poi correggerle più tardi); altrimenti si procuravano ai malati delle sensazioni piacevoli, talora alternate a sensazioni spiacevoli, così che le prime fossero esaltate dalle seconde, oppure si cercava di suscitare nei medesimi delle emozioni improvvise, cogliendoli di sorpresa con stimoli sonori o visivi.

Comunque, ancora nella prima metà dell'Ottocento per la melanconia e per l'ipocondria, nonostante il cambiamento dell'interpretazione patogenetica, si continuavano a prescrivere ai pazienti alcuni farmaci avvalorati da una lunga tradizione quali purganti, fluidificanti e digestivi; erano inoltre impiegate con una certa frequenza le terapie fisiche come l'immersione in acqua, la doccia o la sedia rotatoria.

Verso la metà del secolo XIX, in corrispondenza del progressivo spostamento della psichiatria dal campo delle speculazioni filosofiche a quello della ricerca scientifica (soprattutto in ambito neuroanatomico e neurofisiologico), si cominciò a interpretare la malattia depressiva come un disturbo organico del cervello. Così, ad esempio, Théodore Hermann Meynert (1833-1892) ipotizzò nella melanconia un deficit di energia cerebrale collegato di solito all'ischemia. Altri autori della stessa epoca chiamarono invece in causa, basandosi su reperti autoptici in pazienti affetti da depressione, differenti cause di alterata funzione del cervello quali anemia, iperemia o edema.

Jean-Pierre Falret (1794-1870) notò nei pazienti il frequente passaggio dalla depressione alla mania, indicando col termine "follia circolare" la malattia caratterizzata dalla successione delle due polarità opposte dell'umore; per quanto riguarda il comportamento depressivo si interessò anche del suicidio. Simili osservazioni sull'alternanza depressione-mania compirono anche Jules Baillarger (1809-1890) che descrisse una "follia a doppia forma" e Karl Ludwig Kalbaum (1828-1892) che parlò nei suoi scritti di Vesania typica circularis.

Nella seconda metà dell'Ottocento per quanto riguarda il trattamento della depressione non si evidenziarono particolari progressi rispetto all'epoca immediatamente precedente. Venivano usati in terapia accanto a medicamenti già noti (come arsenico, stricnina, strofanto, ecc.) anche nuovi farmaci, come gli anestetici o i primi ipnotici prodotti sul finire del secolo dall'industria farmaceutica. Vennero utilizzate anche alcune tecniche apparse nel frattempo in medicina quali: il magnetismo animale, l'ipnotismo e l'elettroterapia. Molti alienisti tuttavia tenevano ancora nella cura di depressi e ipocondriaci un atteggiamento attendistico, limitandosi spesso a norme preventive o coadiuvanti e prescrivendo ai pazienti più agiati viaggi di piacere oppure soggiorni nelle stazioni termali.

Emil Kraepelin (1856-1926) nella sua classificazione delle malattie mentali associò mania e depressione nella "psicosi maniaco-depressiva", suddivisibile in tre espressioni sintomatologiche (bipolare, unipolare e mista); considerò invece a parte la "melanconia evolutiva", a prognosi più sfavorevole. In seguito Ernst Kretschmer (1888-1964) definì col termine "personalità cicloide" i vari temperamenti affettivi che predisponevano alla psicosi maniaco-depressiva. Il profilo psicologico del cosiddetto "tipus melancholicus" venne descritto qualche decennio più tardi dal Tellembach.

Sigmund Freud (1856-1939) elaborò un'interpretazione psicodinamica della depressione; in Lutto e Melanconia (1917) sottolineò come tali due condizioni fossero accomunate dalla perdita di un oggetto a forte risonanza emotiva con introiezione di irrisolti sentimenti negativi. Melanie Klein (1882-1960) considerò l'esperienza depressiva come una fase fondamentale nello sviluppo del bambino.

La psicoterapia (dalla psicoanalisi alla terapia comportamentale) si propose nella prima metà del Novecento come un trattamento innovativo nella cura della depressione considerando anche gli scarsi risultati ottenuti dalla contemporanea psichiatria biologica.

Attorno alla metà del secolo XX cominciarono ad essere usati due trattamenti che si rilevarono particolarmente efficaci nei confronti della depressione: la terapia elettroconvulsivante e gli psicofarmaci. La prima venne introdotta in psichiatria nel 1938 da Ugo Cerletti (1877-1963) diffondendosi ben presto nei principali paesi occidentali. Per quanto riguarda i secondi, verso la fine degli anni '50 vennero introdotti in terapia gli "antidepressivi triciclici" e i cosiddetti "anti-MAO" (inibitori delle amino-ossidasi); seguirono la scoperta delle benzodiazepine, indicati nella depressione ansiosa, l'utilizzo del litio nella prevenzione della psicosi maniaco-depressiva e infine, in anni più recenti, la comparsa degli antidepressivi di seconda generazione ("atipici" e "serotoninergici"). Accanto alle terapie psicofarmacologiche si svilupparono negli ultimi decenni del Novecento varie teorie biochimiche sulla genesi della depressione che evidenziavano il ruolo determinante dei neurotrasmettitori.

La melanconia passava così nel giro di qualche migliaio d'anni dall'influenza della nefasta bile nera, a quella del sinistro pianeta Saturno a quella infine delle, tuttora in parte oscure, leggi della neuroscienza.

Prof. Massimo Aliverti
Neuropsichiatra,
Professore di Storia della Medicina
 all'Università degli Studi di Milano-Bicocca,
Docente di Storia della Psichiatria all'Università degli Studi di Milano.


Riferimenti bibliografici

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Roccatagliata G., History of Ancient Psychiatry, Greenwood, Westport, 1986.

Schaller J.P., Soccorsi della grazia e soccorsi della medicina, Roma. Ed. Paoline, 1956.

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Solomon A., Il demone del mezzogiorno, Milano, Mondadori, 2002.

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22 ago 2010


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Erbe e farmaci, l'estate
dell'amore in pillole

Afrodisiaci venduti illegalmente sulle spiagge. E in vacanza aumenta l'uso di Cialis e Viagra

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    MILANO Persino la questura di Savona ha deciso di vederci chiaro. Perché un conto è vendere sulla spiaggia tappeti, asciugamani, magliette e articoli di bigiotteria. Un'altro è smerciare finto-viagra. Senegalese. Sia pure su richiesta dei bagnanti. Che nei giorni scorsi con 10 euro hanno acquistato dai venditori ambulanti il «Sa-ma-na»: una pallina di erbe pressate, roba vegetale, che una volta ingoiata dovrebbe assicurare virilità. Il fatto potrebbe essere considerato alla stregua di una notizia di colore, estiva. Se non fosse che la domanda di «viagra senegalese» a buon mercato sulle spiagge di Savona conferma un fenomeno, un poco più serio: la Liguria è tra le regioni che d'estate fa registrare un sensibile aumento del consumo dei veri medicinali anti-impotenza, quelli che si comprano in farmacia solo su ricetta medica: Viagra, Cialis e Levitra. Le vendite di confezione di Cialis nei posti di villeggiatura lo dimostrano: Liguria (+11), Emilia Romagna (+2), Abruzzo e Molise (+5), Marche (+3), Calabria (+4) e Sardegna (+8). Un esperto di vendite di prodotti farmaceutici (si occupa della distribuzione di più di 1.500 farmacie) Giambattista Neri, dice che nei mesi estivi si vende almeno un 30 per cento di più. E che al momento è il Cialis a dominare il mercato. «Sono loro che sono protagonisti nell'informazione, più comunicativi e aggressivi». Fanno così bene informazione che non solo i maschi si vergognano di meno rispetto a qualche anno fa a chiedere la pillola in farmacia, ma s'è allargata pure la fascia d'età del consumo. «I giovani. Sono loro che contribuisce all'aumento delle vendite estive. Anche se non ne avrebbero necessità», dice Neri. Un trentenne, o anche un ventenne, che va in discoteca «armato» di Cialis, lo fa per timidezza, per paura di fare cilecca o per compensare l'assunzione di droghe e alcolici che tendono a deprimere la potenza sessuale.

    IN ESTATE CRESCE IL DESIDERIO - Un esperto come Ciro Basile Fasolo, sessuologo, professore aggregato al dipartimento di psichiatria dell'Università di Pisa, spiega la crescita delle vendite con la resurrezione del desiderio estivo. In pratica: si consuma di più perché si fa più sesso e facendo più sesso si ricorre al farmacista. «La luce solare della bella stagione agisce positivamente sugli ormoni sessuali. Ma soprattutto è il venir meno dello stress la causa principale della liberazione. Con il riposo si riducono gli ormoni che sviluppano d'inverno lo stress in funzione difensiva sul lavoro; mentre si potenziano quelli che stimolano il testosterone». Tradotto: nonostante la tecnologia e il progresso, il corpo degli uomini e delle donne si comporta ancora come quello dei nostri antenati. Del resto, aggiunge il sessuologo «nei mesi estivi in tutti i paesi Occidentali aumentano le nascite a nove mesi di distanza (particolare molto francese), le vendite di profilattici, le richieste di test per HIV e le malattie sessualmente trasmesse».

    PILLOLE PER CHI NON NE HA BISOGNO - Il consumo di pillole maschili anche tra chi non avrebbe bisogno è confermato dai farmacisti. A Palau (farmacia Nicolai) l'aumento è di circa il 60 per cento. «Molti sono giovani». Idem nella farmacia Dell'Alba di Riccione: «Vendiamo molto, siamo in una posizione di passaggio, l'ideale». Molti giovani non sanno che per chi ha una normale erezione la pillola non serve: non moltiplica la prestazione. Il costo medio di una pillola è di 13 euro. Di recente il Levitra ha dimezzato il prezzo. Ma solo delle confezioni di basso dosaggio, somministrate per lunghi periodi, per esempio, a chi è stato operato alla prostata. Non quelle che invece vengono prese prima di un rapporto per avere uno sprint immediato. Levitra spiega la riduzione allo scopo di combattere il mercato nero su Internet. In realtà tra poco scadranno i brevetti. Il principio attivo dei vari Cialis, Viagra e Levitra potrà essere commercializzato come farmaco generico. E venduto a molto meno. Con probabile crescita di vendite. Estive.

    Agostino Gramigna dal Corriere della Sera

21 ago 2010




 



 

Salute


 


 

Il divorzio li fa belli, ritocco dopo rottura per un separato su 5


 

Roma,.(Adnkronos Salute) - Ti lascio e mi rifaccio. Sono sempre di più le italiane (ma anche gli italiani) che al momento della separazione, dopo essere passate dallo studio dell'avvocato, passano da quello del chirurgo plastico. Un neo separato su cinque decide di ricorrere al bisturi per un intervento estetico proprio nel primo periodo della separazione, e le percentuali crescono se si considerano solo le donne tra i 40 e i 50 anni, che dopo la rottura si rifanno soprattutto il seno e ringiovaniscono lo sguardo. A spiegare il fenomeno è Maurizio Valeriani, chirurgo plastico dell'ospedale San Filippo Neri di Roma, mentre l'avvocato matrimonialista Chiara Fagioli mette in guardia sui rischi delle esagerazioni che, in qualche caso, hanno influito sulle cifre degli assegni di mantenimento. "Non è una novità l'attitudine delle donne a rifarsi il look quando si lasciano alle spalle una storia d'amore - spiega Valeriani all'Adnkronos Salute - Ma se una volta l'inizio della nuova vita passava, almeno simbolicamente, attraverso il salone del parrucchiere, dove ci si limitava ad nuovo taglio di capelli, oggi i cambiamenti sono più decisi e radicali e spesso passano per il bisturi del chirurgo". Con risultati che non sono solo estetici, assicura il chirurgo basandosi sulla sua esperienza clinica: "Migliorare o correggere un difetto aiuta a riconciliarsi con il proprio corpo, a riprendere fiducia in se stessi e instaurare più facilmente relazioni con gli altri, soprattutto d'estate che si sa essere la stagione che favorisce nuovi incontri", aggiunge. E le donne tornate single dopo un legame puntano soprattutto a valorizzare il proprio corpo e la propria femminilità. "La chirurgia del seno la fa da padrone - continua Valeriani - con inserimento di protesi mammarie o con interventi di risollevamento della ghiandola per cancellare il fisiologico rilassamento dovuto al trascorrere del tempo". Molto richiesti sono anche interventi per ridurre i cuscinetti di grasso come la liposuzione, e "gli interventi per ringiovanire il volto, per cancellare rughe e segni con ritocchi non troppo invasivi come sedute di laserterapia e l'iniezione di filler (acido ialuronico). Più rara la richiesta di lifting tradizionale". Anche per gli uomini la separazione è sempre più sinonimo di cambiamento e 'ringiovanimento'. Se la maggioranza dei neo separati, infatti, tende ancora a deprimersi e trascurarsi, comincia ad essere più consistente la schiera di quelli che vivono la rottura con lo spirito della 'svolta', e lo mostrano anche nell'aspetto. "Il 10% degli uomini che hanno scelto di separarsi tra i 40 e i 60 anni - spiega Valeriani - ricorrono al bisturi, per interventi, ovviamente, assai diversi". I maschi, infatti, chiedono soprattutto "di cancellare la pancetta e le 'maniglie dell'amore' . Ma anche di ringiovanire lo sguardo con la bleferoplastica", aggiunge il chirurgo. Il ritocco dopo la rottura del matrimonio può sicuramente far bene allo spirito. Ma non è esente da rischi in tribunale. Come nel caso di una quarantenne romana, molto attenta al suo aspetto, che si è vista respingere dal giudice la richiesta di un aumento dell'assegno di mantenimento versato dal marito proprio per le troppe spese sostenute per 'rifarsi', come spiega all'Adnkronos Salute l'avvocato romano Chiara Fagioli. "In questo caso la difesa - precisa l'avvocato - aveva obiettato indicando i notevoli costi sostenuti dalla donna per rifarsi il seno, i glutei, gli zigomi e le labbra e per frequentare una delle più esclusive palestre della Capitale. Spese che presupponevano sufficienza di risorse economiche. In questo caso la donna è stata condannata anche al pagamento delle spese processuali". In generale, però, aggiunge l'avvocato, "i cambiamenti che notiamo nei nostri studi, tra un appuntamento e l'altro dopo la decisione di separarsi, sono meno drastici. Inizialmente notiamo subito, in particolare nelle donne, un cambio della pettinatura, nel modo di vestire più giovanile. Negli ultimi anni sono sicuramente aumentate, in modo assai evidente, le donne che ricorrono al bisturi, in particolare per rifarsi il seno, e spesso ostentano il cambiamento. Gli uomini, invece, fanno più fatica ad accettare i cambiamenti, anche se desiderano la separazione, e mostrano meno la volontà di svolta anche nell'aspetto".

 
 

Le malattie cutanee nell’ospedale di San Bonifazio


 

Una particolare tipologia di degenti era quella degli affetti da malattie cutanee. Il Rescritto del 17 aprile 1788 aveva stabilito che alcune stanze dell'ospedale di S. Bonifazio fossero destinate al ricovero dei malati di lebbra, di tigna e di rogna: "Per ciascheduna di queste tre classi vi sarà una stanza separata con un sufficiente numero di letti e più altra stanza contigua per la convalescenza o per l'esperimento della rispettiva guarigione, e ciò all'effetto principalmente che simili Individui siano ristabiliti al commercio e alla società senza rischio della pubblica salute." Una notificazione di poco successiva (10 ottobre 1788) precisava che erano ammessi al ricovero soltanto i malati di tigna o rogna "inveterata [...], trascurata a segno da essere caratterizzata come grave, [...] o complicata da altra malattia veramente curabile". I malati di tigna o rogna "semplice", invece, venivano ammessi alle cure in determinati orari "senza ricevere né vitto né alloggio". Ai rognosi, in particolare, veniva somministrata (gratuitamente per i miserabili) una pomata composta da zolfo, calce viva, sale comune e lardo. Nell'ottobre del 1818, per arginare la diffusione della rogna "nella classe indigente", il granduca, sollecitato da una commissione provvisoria dell'ospedale di S. Maria Nuova, permise che quaranta letti gratuiti dell'ospedale di S. Bonifazio fossero destinati, per la durata di tre mesi (da ottobre a dicembre), ai malati affetti da rogna semplice, i quali oltre ai certificati regolarmente richiesti, dovevano presentare anche una "lettera di indirizzo del Gonfaloniere della città". L'ammissione straordinaria di questi malati venne poi prorogata fino a tutto il mese di gennaio del 1819. Talora, inoltre, venivano accolti in S. Bonifazio persone non gravemente affette da rogna o tigna, ma appartenenti a famiglie particolarmente disastrate. Tuttavia il mantenimento dei malati cutanei rimase per molti anni un problema spinoso e nel 1838 venne "reputato conveniente rinnovare gli ordini sovrani in proposito emenati": nessuna ammissione per malati "semplici", somministrazione dell'unguento "così detto pomata per la rogna", ammissione dei tignosi nei primi tre giorni dei mesi da aprile a settembre.

 
 

Notizie tratte dall'Archivio di Stato di Firenze

20 ago 2010



 

HELICOBACTER:ULCERA GASTRICA AD UNA SVOLTA

Una nuova molecola (n-acetilcisteina)scioglierebbe la membrana difensiva prodotta dallo stesso batterio. In Italia,oltre un milione di persone presentano ulcera gastro-duodenale. Uno studio al Gemelli di Roma


 

ROMA – E' forse ad una svolta la cura dell'ulcera dello stomaco legata all'azione dell'helicobacter pylori (un batterio che si trasmette attraverso il respiro e che provoca l'infiammazione gastrica, con calo delle difese immunitarie). La notizia viene dal'università Cattolica di Roma.

Noto fin dagli anni '80 ( i suoi scopritori, Barry Marshall e Robin Warren ricevettero il premio Nobel nel 2005),l'helicobacter (chiamato così perché la forma delle sue ali assomiglia a quella di un elicottero) è presente in circa il 15% dei casi di ulcera (in Italia sono complessivamente circa un milione e duecentomila, con un rapporto di tre ad uno per gli uomini,mentre nel 10% dei casi si aggiunge anche quella duodenale).

La terapia antibiotica tradizionale non sempre funziona – precisano gli esperti del Gemelli –e questo a livello ipotetico fa pensare a più forme di batterio. Ma la novità dello studio pubblicato su Clinical Gastroenterology and Hepatology, riguarda la ricerca di un'altra motivazione degli insuccessi terapeutici. Il batterio sarebbe infatti capace di creare attorno a sé una barriera difensiva,una specie di membrana biologica.

Da qui,il percorso operativo:l'identificazione di una molecola mucolitica, come l' n-acetilcisteina, in grado d'inibire la sua formulazione. La riprova, poi, nello studio comparato su due gruppi di pazienti resistenti alle cure tradizionali:quello che aveva impiegato la n-acetilcisteina presentava l'eradicazione del batterio nel triplo dei malati.

Circa le prospettive, si fa notare come siano necessarie ulteriori conferme se aumentare il dosaggio del farmaco oppure l'esposizione al mucolitico per rendere la terapia più efficace. Un'altra possibilità è quella di studiare altre sostanze per inibire la formazione della membrana o renderla instabile.

GIAN UGO BERTI

(riproduzione vietata)

19 ago 2010


LA GESTIONE DEGLI SPEDALI A FIRENZE PRIMA DELLE AZIENDE SANITARIE

Di fondamentale importanza, per la gestione ed amministrazione degli ospedali del granducato, fu il Motuproprio del 17 febbraio 1818, con il quale vennero stabiliti alcuni criteri precisi ed omogenei. Fino a quel momento, infatti, l'esecuzione delle disposizioni vigenti era stata affidata "all'arbitrio dei [vari] rettori e spedalinghi [...] ed alla sorveglianza di Dicasteri diversi". Grazie al contributo della Deputazione centrale sugli ospedali si giunse, invece, alla definizione di disposizioni più chiare, alle quali obbedirono anche i rettori degli stabilimenti fiorentini. In ogni ospedale dovevano trovarsi, in numero variabile in base alla capacità recettiva delle strutture e allo stato economico delle stesse, alcuni "letti paganti", per i quali l'ospedale riceveva da parte del malato o da altri per esso, una tassa "corrispondente alla spesa giornaliera del letto occupato", alcuni "letti a mezza paga", per i quali era richiesta la metà della tassa predetta, e alcuni "letti gratuiti". Per essere ammessi nei letti paganti occorrevano "i requisiti di malattia curabile, di causa giusta ed urgente, per cui debba accordarsi asilo nel pubblico Spedale a preferenza della casa particolare del malato, e di solvibilità, ossia potenza a pagare"; per l'ammissione ai letti semipaganti erano richiesti i requisiti di "malattia curabile e povertà"; per quelli gratuiti, infine, i requisiti di "malattia curabile e miserabilità". I malati miserabili avevano diritto di priorità nell'essere ammessi negli ospedali, fino all'esaurimento dei posti nei letti gratuiti; una volta esauriti i letti gratuiti i malati miserabili venivano ammessi negli ospedali delle loro Comunità, ma a carico delle medesime, che dovevano poi reintegrare i pii stabilimenti della spesa di spedalità. Quanto ai requisiti per l'ammissione negli stabilimenti, quello di malattia curabile doveva esser riconosciuto da appositi "medici revisori" o dai medici di servizio dell'ospedale, quello di "causa giusta ed urgente" era riconosciuto dal commissario dell'ospedale, quello di povertà o di miserabilità doveva esser giustificato con un certificato del parroco e "visto" dal Gonfaloniere e dal Giusdicente, quello di solvibilità veniva "posto in essere dall'anticipazione o deposito della retribuzione di un mese e dalla dazione di un idoneo mallevadore, o dal certificato del Gonfaloniere". Ogni anno i rettori e commissari degli ospedali dovevano presentare, all'Ufficio della Deputazione centrale, un bilancio preventivo delle spese per l'anno seguente e rendere conto della loro amministrazione coerentemente al bilancio presentato l'anno precedente.

 
  
  
 
  
  
 


 

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