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9 ago 2010



 


 


C. Schroeder - 1882

La Storia del Forcipe

Se l'Ostetricia rimase per tanto tempo nelle mani di donne ignoranti e se per altrettanto tempo i medici furono chiamati intorno alle partorienti soltanto a feto morto o creduto morto, si deve dare la causa alla tarda scoperta del forcipe. Celso, dottissimo medico romano, parlò dell'Ostetricia operativa come di un ramo della Chirurgia, e le sue indicazioni riferì sempre soltanto ai casi di parto a feto morto.

Viceversa la consuetudine universale di chiamare l'ostetrico solo nei casi più tristi faceva, che le partorienti s'impaurissero di lui. E ne avevano motivo: perché, mancando egli di uno strumento innocuo e valevole ad estrarre la testa fissa nel bacino, giunto dall'ammalata non poteva altro, che provare il rivolgimento. Se questo non era più possibile, l'unica risorsa stava nel praticare la perforazione del cranio e nel fare l'estrazione cogli uncini acuti. "And this expedient" dice lo Smellie  "produced a general clamour among the women who observed, that when recourse was had to the assistance of a manmidwe, eiter the mother or child, or both, were lost." "Questo espediente - di chiamare il medico - incuteva paura a tutte le donne, perché sapevano che allora o la madre o il feto o tutti e due dovevano essere perduti" ed esse piuttosto mettevano sé e il prodotto del loro concepimento nelle mani di una levatrice, che almeno faceva niente.

Ma quando uomini di un'abilità incontestabile, cominciarono in Francia ad occuparsi in particolare d'Ostetricia così da farne una vera specialità, si sentì più forte ancora il bisogno di avere un mezzo inoffensivo e capace di estrarre la testa. Trovatolo, crebbe subito l'importanza dei medici: le levatrici cessarono di esser sole ad occuparsi dei parti, e si restrinsero ad assistere quelli che decorrevano normali.

Abbiamo già detto a pag. 191 come, perché mancava il forcipe, gli ostetrici più esperimentati preferissero in molti casi le presentazioni podaliche a quelle di vertice. Così il Peu (1694) dice chiaro, che le presentazioni di vertice, specialmente se durano a lungo, possono riuscire pericolosissime, e che in tali casi è da desiderarsi una presentazione anormale, in cui il parto si termina col rivolgimento. Nella stessa maniera si esprimono il Dionys (1719), in Olanda il Deventer (1701) ed in Germania Giustina Siegemund (1690). Questa dice: "Ich muss bekennen, ich gehe viel Iieber zu Hülffe, wo die Kinder unrecht zur Geburt stehen als auf solche verharrete Art. Denn wann die Kinder unrecht kommen, da man sie wenden muss, ist keines Hakens nöthig; aber solche rechtstehende, hartan- getriebene Kinder können mit meinem Wissen von der Mutter nicht anders, als mit Ziehung eines Hakens gebracht werden, wann die Mutter schon von Kräfften kommen und nicht weit mehr vom Tode ist." "Debbo confessare, che vado molto più volentieri quando sono chiamata per una presentazione anormale, che quando sono richiesta perché il feto rimase col capo primo arrestato per via. Imperciocchè, se si presenta male, siccome bisogna fare il rivolgimento, non si ha da ricorrere agli uncini. Quando si presenta bene e resta a mezza strada, io non conosco altra maniera che l'uso degli uncini per estrarlo, ma la madre allora è già sfinita e molto vicina a soccombere." Il de la Motte (1721) accentua ancora di più le cose: "cette situation (la presentazione di vertice) se rend la plus inquiétante et la pire de toutes, puisque je n'en connais aucune où un chirurgien experimenté dans la pratique ne puisse accoucher la mère d'un enfant vivant, au lieu qu'il se trouve alors souvent réduit à voir périr l'enfant et mème la mère dans cette situation si preconisée, les préceptes de la religion chrétienne liant alors les mains à l'accoucheur et l'empéchant de metter en usage les moyens que son art a pu jusqu' à présent lui suggérer en ces rencontres pour sauver la mère" "questa presentazione è la più inquietante e malaugurata, poiché, io non ne conosco alcuna, in cui un chirurgo destro e pratico non possa terminare il parto con un feto vivente, mentre in questa può trovarsi soventi volte ridotto a veder morire la creatura e perfino la madre, perché s'aggiunge ancora la religione cristiana a legargli le mani ed a vietargli di mettere in opera quei mezzi che fin ora l'arte ha potuto suggerire, per salvare in questi frangenti almeno la vita della partoriente."

Gli ostetrici non si limitarono a vane querele sulla loro impotenza, ma si dettero a studiare un mezzo di estrazione che fosse inoffensivo. Il merito di avere per il primo tentato di estrarre dolcemente la testa con uno strumento introdotto in vagina spetta a Pietro Franco (1561), ma tanto il suo ferro (speculum a tre valve) come il suo procedimento erano ben poco atti allo scopo. l tentativi si moltiplicarono, quando nel mondo scientifico si sparse la notizia, che nella famiglia Chamberlen d'Inghilterra si conosceva un mezzo siffatto, e che lo si teneva segreto. Fra gli altri Giovanni von Hoorn (1715), nella nota 27 e 28 della sua opera "Wehemutter" descrisse varie operazioni, che in parte erano destinate a respingere le parti materne sulla testa quando questa si presentava, in parte ad esercitare sulla testa una debole trazione e crede che dovessero essere le manualità, a cui accennava il dott. Ugo Chamberlen nella prefazione che fece alla traduzione inglese del libro del Mauriceau. Altri, come p. es. il Deventer, si servivano di bende o di lacci di tela, che portavano a fatica dietro la testa per trarla in basso; anzi lo Smellie descrisse insieme col suo forcipe anche questi "fillets" e nel suo Atlante alla tav. 38 dà il disegno di uno più in uso. Anche, il De Lamotte (1721) si lodava di aver trovato un mezzo diverso da quelli, già stati proposti per questi casi gravi. Era poi il rivolgimento, che nelle sue mani abili riuscì anche essendo la testa allo stretto inferiore. Egli poté col rivolgimento terminare il parto sopra una donna in travaglio da 10 giorni e 10 notti, ed estrarne un bambino maschio, asfittico, il quale si riebbe. Finalmente nel 1723 il Palfyn, Chirurgo di Gand, presentò all'Accademia di Medicina di Parigi, il primo istrumento ufficialmente conosciuto, istrumento analogo ad un forcipe e destinato all'estrazione inoffensiva della testa.

Sembra impossibile, che ci sia andato tanto a trovare un ferro a prima vista così semplice. Ma la spiegazione si ha nelle idee false, che dominavano sul cosiddetto inchiodamento della testa. P. es. Lo stesso De Lamotte dice a proposito dello strumento del Palfyn "… que le chose étoit autant impossible que celle de faire passer un cable par la trou d'une aiguille, en effet comment un instrument d'acier ou autre pourroit-il ètre porté à l'androit où cette tete est arrètée ou enclavée de telle manière qu'on ne put introduire une sonde pour procurer l'évacuation de l'urine retenue depuis plusieurs jours, non plus qu'une canule pour un lavement, pas mème une feuille de myrthe, comment, dis-je, pourroit-on passer cet instrument et lui faire jouer son jeu si à propos que l'enfant fut tiré du peril auquel l'étroitesse des parties l'ont exposé ? " "…la cosa deve essere tanto impossibile, quanto il far passare una gomena per la cruna di un ago. Difatti, come si potrebbe portare un istrumento d'acciaio o d'altra materia, là dove la testa si trova arrestata ed inchiodata, se talvolta non si può né introdurre un catetere in vescica per estrarre l'orina di parecchi giorni, né far passare una cannula per dare un clistere, né una fogliolina di morteIla fra la testa e le parti d'intorno ? Come, chiamo io, si potrebbe applicare quivi un istrumento di tal genere, con speranza che faccia buona presa e liberi la testa dalla stretta, in cui la tengono le parti materne ? " e poi soggiunge, convinto dell'importanza di una scoperta simile: "si la chose était vraye autant qu'elle est fausse, que cet homme, morrut sans rendre cet instrument public, il mériterait qu'un ver lui devorast ses entrailles pendant l'éternité, par rapport au crime qu'il feroit de ne pas donner un moyen de sauver Ia vie à un nombre infini de pauvres enfans qui la perdent par le défaut d'un tal secours ; toute la science humaine n'ayant pu le trouver jusqu'à présent" "se con somma fortuna la cosa fosse vera, come con altrettanta disgrazia è falsa, e quegli fosso morto senza far conoscere pubblicamente questo istrumento, egli meriterebbe che un verme gli rodesse le interiora per tutta l'eternità, per il delitto di non aver procurato un mezzo capace di salvare la vita ad un numero infinito di povere creature, che se ne vanno per mancanza di soccorso, chè fin ora nessuna scienza l'ha potuto trovare" e non gli passava per il pensiero quanto colpissero giusto le suo parole.

Imperocchè erano già quasi 75 anni, che questo strumento così bramato, renduto quasi perfetto, andava celatamente fra le mani dei Chamberlen. Si era cercato di indovinare in che cosa consistesse il segreto (secondo l'Exton sarebbe stato una varietà particolare di rivolgimento, secondo altri un preparato d'oppio, secondo altri uno speculum uterino, secondo altri ancora una semplice leva) quando nel 1815 lo si trovò casualmente nella casa occupata una volta dalla famiglia Chamberlen. In Woodham ad Essex in un armadio chiuso si trovarono alcune lettere del Chamberlen, alcune leve, vari forcipi che, senza avere la curvatura pelvica, si distinguevano per la loro marcata curvatura cefalica. Le cucchiaia erano fenestrate, le branche si incrociavano, l'articolazione ed il manico erano quelli delle cesoie ordinarie (v. fig. 101).

 
 

In qual anno sia stato costrutto il primo forcipe (probabilmente già nella prima metà del secolo XVII) non si può più sapere: egli è sicuro che l'inventore ne fu Pietro Chamberlen - nato nel 1601 e morto nel 1683. - Dei Chamberlen ce n'è una fila. Questa famiglia ha dato per parecchie generazioni dei medici, che fecero tutti da ostetrico a Londra, e molti ebbero lo stesso nome di battesimo. Così il padre ed il nonno dell'inventore del forcipe si chiamavano anche Pietro. L'inventore dovette essere un grande ingegno ed ottenne moltissimi diplomi per scoperte le più differenti; ebbe 14 figliuoli, dei quali Ugo e Paolo furono ostetrici ricercati. Paolo era un ciarlatano, Ugo cercò di far rendere il più possibile l'eredità del padre, il forcipe.

 
 

 
 

 
 

Per questo nel 1670 andò a Parigi per venderlo al prezzo di oltre 30.000 lire. Disgraziatamente capitò a farne la prova sopra un bacino disadatto, cioè sopra un bacino molto ristretto e dopo che il Mauriceau aveva già tentato in tutte le maniere di terminare il parto. La donna morì, senza essersi sgravata, per le lesioni che aveva riportato all'utero. Ritornò a Londra, senza aver fatto il contratto, e si mise a tradurre in Inglese l'opera del Mauriceau. La sola clientela londinese gli rendeva 30.000 lire. Nelle note al libro parlò del suo segreto, dicendo che suo padre, i suoi fratelli e lui avevano un mezzo per estrarre senza uncini e senza rivolgimento la testa in presentazione di vertice, e che se non lo rende pubblico è perché non dipende tutto da lui. Nel 1688 Ugo Chamberlen, essendo partigiano di Giacomo II, dovette emigrare e si rifugiò in Olanda, dove vendette il suo segreto al Roonhuysen. Se sopra la famiglia Chamberlen pesa l'onta di avere per sordido egoismo celata per tanti anni una scoperta così utile alla umanità, la storia del forcipe in Olanda è ancora più vergognosa. Quasi non bastasse che il segreto si trasmettesse a contanti dall'uno all'altro, ad Amsterdam nel 1746 comparve un decreto del Collegio medico-farmaceutico, che vietava di assistere i parti a coloro i quali non provassero di conoscere questa scoperta e la scoperta si pagava agli esaminatori con una grossa somma di danaro. Si aggiunse, a mettere il colmo al traffico turpe, che Jacopo di Wisscher ed Ugo di Poll la comprassero, la pubblicassero ma che fossero ingannati nel contratto: cioè non era stato loro venduto il forcipe, di cui si servivano con profitto il Roonhuysen e i suoi allievi, ma soltanto una delle cucchiaia, la leva.

In questo frattempo in Inghilterra il forcipe era venuto a mano di altri ostetrici. Così, p. es., l'usava il Drinkwater, che dal 1668-1728 esercitò l'Ostetricia a Brentford. Il Chapman scriveva già nel 1733: "That the secret mentioned by Dr. Chamberlen was the use of forceps, now well known by all the principal men of the profession both in town and country" "il segreto del Dott. Chamberlen consisteva nell'uso del forcipe, ora conosciuto quasi da tutti quelli, che esercitano la medicina tanto nelle città come nelle campagne" ma intanto diede la figura del suo solamente nella seconda edizione (1735) della sua Opera. Edoardo Hody nel 1735 pubblicò una raccolta di casi tolti dalla pratica di William Giffard, morto nel 1731, il quale molte volte si era servito del così detto "Extractor" strumento similissimo al forcipe del Chapman. In questa pubblicazione è raffigurato ancora un altro forcipe, quello del Freke.

Come abbiamo detto più avanti, nel 1723 il Palfyn anatomico e Chirurgo a Gand, senza sapere, benché se ne parlasse, del trovato dei Charnberlen (altrimenti avrebbe fatto di meglio) presentò all'Accademia di Medicina di Parigi una specie di forcipe consistente in branche parallele, colle cucchiaia non finestrate e con una forte curvatura cefalica (v. fig. 102). Siccome se ne trova già la figura nella seconda edizione della Chirurgia dell'Heister pubblicata nel 1724 ad Helmstädt, così il Palfyn deve essere riguardato come il primo che disinteressatamente abbia fatto conoscere un forcipe a due cucchiaia. Il forcipe del Palfyn fu migliorato di molto da un ostetrico francese, dal Dussé, e più tardi dai due Grégoire - padre e figlio.

In Francia e in Inghilterra il forcipe non entrò universalmente nella pratica che quando il Levret e lo Smellie, ciascuno in una maniera differentissima, l'ebbero grandemente perfezionato. Il Levret lo fece fare molto lungo, colla curvatura pelvica (1751) e con un'articolazione molto semplice (1760), articolazione a perno: vi fece fare i manici sottili di ferro terminanti ad uncino (v. fig. 103). Quello dello Smellie (1752), cortissimo, ha per contro i manici grossi e in legno; l'articolazione è ad incastro semplice, tutto il forcipe è coperto di cuoio (v. fig. 104). Gli Inglesi ed i Francesi, stettero a queste due forme - il Johnson nel 1769 vi aggiunse ancora una terza curvatura, la perineale, ma fu presto abbandonata, ed i Tedeschi, per quanto tardi si sia il forcipe generalizzato fra loro, vi recarono ancora dei miglioramenti importanti.

La Germania era rimasta indietro rispetto allo slancio, che l'Ostetricia aveva preso in Francia ed in Inghilterra fra le mani di uomini pieni d'ingegno e d'entusiasmo. Qui per un buon tratto del secolo XVIII rimase ancora esclusivamente alle levatrici, le quali, al solito, chiamavano i medici quando non sapevano più come sbrigarsi. L'Heister, celebre chirurgo, aveva già nel 1724 fatto conoscere in Germania le cucchiaia del Palfyn, ed il Boemer nel 1746 il forcipe Grégoire in una Monografia del Manningham, facente parte della pubblicazione a cui egli attendeva. Il forcipe Grégoire fu anche raccomandato dal Thebesius, allievo del Fried il seniore di Strasburgo alla importanza della cui scuola l'Ostetricia tedesca deve la sua riforma. Ma fu Stein il seniore che per il primo nel 1767 consigliò caldamente e generalizzò colla sua autorità l'uso del forcipe Levret cogli ultimi perfezionamenti. Modificazioni importanti aggiunsero ancora J.D. Busch nel 1796 che al principio dei manici fece mettere due alette ad uncino per facilitare lo trazioni ed il Brünninghausen (1802), che conservò le due alette e introdosse un altro modo d'articolazione eccellente. F. C. Naegele più tardi rendette il forcipe del Brünninghausen più leggero e più elegante, cosicché soddisfa a quasi tutte le esigenze.

Oltre quelli di cui abbiamo parlato, se ne costruirono una infinità di altri, dei quali alcuni presentano una certa utilità altri sono sbagliati nel concetto ed inservibili nella pratica. Subito dopo che il forcipe fu conosciuto, gli ostetrici tanto si arrovellarono per perfezionarlo, che già nel 1767 Stein il seniore diceva non esservi alcun istrumento di chirurgia che avesse subito tante modificazioni. Dai tempi dello Stein di forcipi se ne videro ancora molti e molti altri: il Kilian nel 1840 affermava di conoscerne 130 e adesso sorpassano i 200. L'anno più fecondo fu il 1833 in cui ne furono descritti 15 nuovi.

Ultimamente il Tarnier colla invenzione del suo forcipe ha dato motivo a che si costruissero una quantità di istrumenti, nei quali la forza traente agisce non sui manici ma direttamente sopra le cucchiaia.

Il forcipe è uno strumento tanto importante che la pratica ostetrica delle campagne si impronta dal suo uso. Per questo riguardo lo sviluppo della ostetricia in Germania è direttamente opposto a quello dell'Inghilterra, mentre in Francia hanno allargate sempre di più le indicazioni del forcipe. Nella Gran Brettagna dove la scuola di Dublino ha sempre dettato fin ora le norme per l'uso del forcipe, il forcipe veniva prima applicato rarissimamente e soltanto quando la testa si trovava al distretto inferiore. Ma in questi ultimi anni si è compiuto un grande rivolgimento e mentre una volta all'ospedale Rotunda lying-in si aveva una applicazione di forcipe sopra 700 parti, da qualche tempo se ne ha una sopra 11,8. In Germania invece si terminavano prima una grande quantità di parti in bacini ristretti colle più difficili e pericolose operazioni di forcipe, anzi era già entrato in usanza di giudicare del grado di ristringimento dalla difficoltà che si incontrava nel praticare la estrazione col forcipe. Io ho parlato contro questo stato di cose nel 1867. Dopo di allora nei bacini ristretti fu quasi interamente abbandonato ed è riservato ai tempi presenti di determinare i casi nei quali debba essere applicato quando la presentazione sia di vertice e la testa debba confrontare i diametri suoi coi diametri ristretti del distretto superiore.

 
 

Per la storia sul forcipe v. G.F. Danz, Brevis forc. obst. hist. Giess. 1790. - J. Mulder, Hist. lit. et crit. forc. et vert. obst. Lugd. Bat. 1794, trad. di J. W. Schlegel, Leipzig 1798, con incisioni in rame. - J. Lunsingh Kymmel, Hist. lit. et crit. forc. obst. ab anno 1794 ad nostra usque tempora, Groning. 1838, con fig. (è una continuazione dell'opera del Mulder). - Ed. v. Siebold, Abhandl. aus dem Gesammtgebiete der Geb. 2.e ediz. Berlino 1835, pag. 243, e Versuch einer Gesch. der Geburtshülfe vol. 2.° Berlino 1845. pag. 267 e seg.

 
 

v. Medico-Chirur. Transact. London 1818, vol. IX, pag. 181; Edinb. med, and surg. J. vol. XL, 1833, pag. 339, e Siebold's, J. f. Geb. vol. XIII. pag. 540, con figure

v Obst. J. of Gr. Britain. September 1873, pag. 395, e January 1875, pag. 641.

v. Obs sur la grossese. Osservazione 26.a pag. 23.

 
 


 
 

1 commento:

  1. con il suo stile schietto e asciutto, assolutamente adeguato all'argomento trattato, l'articolo qui sopra esposto afferra chi legge e, mentre lo informa sulle fasi significative del processo di invenzione e di introduzione all'uso dello strumento,desta in lui una serie di riflessioni e di domande sull'atto del venire al mondo. Quante anomalie si inseriscono nel ritmico perpetuarsi dei fenomeni di nascita!L'essere che nasce e la donna, la madre,che si fa strumento della sua nascita, accogliendo ed elaborando in sè tutte le forze che provenendo dal mondo esterno concorrono alla formazione del nuovo corpo fisico di un nuovo nato affidano entrambi, nel momento della loro separazione, la propria vita alle mani sapienti di un assistente ( ostetrica o medico)all'intelligenza all'onestà alle capacità tecnico-professionali di chi , in staordinarie situazioni di anomalia o di patologia, sa vedere decidere agire con perizia e non solo.... anche a chi ha studiato e studia i processi fisiologici patologici e difformi al naturale corso della vita per individuare i mezzi di soluzione delle difficoltà e porgere le auspicate soluzioni.
    Quante donne, quanti bambini sono morti in questa fase di vita che, generatrice di vita, finisce alle volte per produrre morte!
    E quanti progressi compiuti fino ad oggi nel campo in questione!

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