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28 giu 2011
evoluzione
Quando l'uomo perse le spine (del pene)
La monogamia e un pezzo di Dna perduto: i genitali umani si sono differenziati da quelli degli altri animali
MILANO- L’argomento è piuttosto spinoso. Il pene dei maschi della specie umana millenni addietro era dotato di “spine”, piccole escrescenze che è ancora possibile trovare in numerosi primati, come gli scimpanzé, ma anche nei gatti. Spine che a un certo punto della nostra storia evolutiva sono sparite. Un recente studio pubblicato su Nature fa luce su questo evento. «Una piccola, ma affascinante parte del grande quadro che è l’evoluzione dei tratti specifici dell’uomo» ha commentato Gill Bejerano, uno degli autori della ricerca che ha fornito una lettura molecolare a una discussione che si trascinava da decenni.
BENEDETTA MONOGAMIA - Quella delle spine del pene umano, infatti, non è una faccenda nuova. Sul perché nel tempo il nostro organo sessuale maschile si sia differenziato da quello di altri primati si accavallano da tempo diverse ipotesi. La più accreditata vuole che nelle altre specie, il pene “spinoso” sia un tratto emerso nei millenni perché conveniente per un preciso scopo: in un ambiente in cui le femmine erano solite accoppiarsi con più partner, le spine erano in grado di rimuovere lo sperma degli altri maschi dal canale vaginale della femmina garantendo maggiori probabilità di essere il responsabile della fecondazione. Una caratteristica divenuta superflua (e forse anche controproducente) quando la specie umana adottò una strategia riproduttiva monogama. Tuttavia, come avvenne questo cambiamento fino a oggi non era noto.
LA SOTTRAZIONE CHE CI FA UMANI - Ed è questo che hanno cercato di spiegare i ricercatori americani indagando in modo insolito e sfatando il luogo comune che vede l’uomo come il vertice della catena evolutiva e l’evoluzione come l’aggiunta progressiva dei tasselli che ci hanno fornito le nostre peculiarità. Il team, dunque, piuttosto che cercare quel che l’uomo ha in più rispetto alle altre specie strettamente imparentate, ha ricercato quei pezzi di Dna che nel percorso evolutivo la specie umana aveva perso rispetto allo scimpanzé. «Come spesso avviene con le buone idee, con il senno di poi la conclusione sembra quasi ovvia» ha affermato Svante Pääbo del Max Planck Institute for Evolutionary Anthropology di Leipzig in Germania. «Qualcosa che ci ricorda come nel corso dell’evoluzione l’informazione può essere sia guadagnata sia persa» ha aggiunto Sean Carroll, un esperto di genetica animale della University of Wisconsin di Madison.
SPINE, PELI E CERVELLO - Nel corso della ricerca sono state individuate più di 500 particolari mancanti, ma due porzioni di Dna, in particolare, hanno suscitato l’interesse degli scienziati. La difficoltà stava tutta nel capire quali fossero le loro funzioni. Per questo hanno inserito queste due sequenze di Dna nel genoma di embrioni di topi di laboratorio, scoprendo che una di esse era responsabile proprio della crescita delle spine del pene, oltre che di vibrisse (quei peli presenti in alcuni animali e che funzionano come recettori tattili). «Tutte le coppie possono essere grate a questo pezzo di Dna andato perduto» ha commentato non senza ironia David Haussler, dell’University of California di Santa Cruz. Ma non meno interessante è risultata la funzione della seconda sequenza di Dna identificata: impedisce la crescita di alcune aree del cervello, probabilmente corrispondenti a funzioni divenute superflue per l’uomo. E non è da escludere che proprio questo spazio vuoto nella nostra scatola cranica abbia consentito lo sviluppo di altre parti del cervello che ci danno invece caratteristiche tipicamente umane.
Antonino Michienzi
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