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Leggete i nostri articoli per entrare e conoscere le ultime novità internazionali che riguardano i progressi della medicina.
Sarà affrontato anche il campo delle medicine alternative e della psicoanalisi.
Pubblicheremo inoltre interessanti articoli di storia della medicina.
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Pubblicheremo inoltre interessanti articoli di storia della medicina.
31 gen 2011
Applicata ad un bambino di 11 anni una protesi d'anca che cresce con l'aumento della sua statura
ROMA - Una protesi in titanio realizzata su misura e dotata di un dispositivo elettronico miniaturizzato è stata impiantata con successo per la prima volta nel Lazio in un bambino di 11 anni con un tumore che colpisce le ossa, l'osteosarcoma. La protesi intelligente 'cresce' con l'aumento di statura fisiologico del bambino, mantenendo così le due game della stessa lunghezza. La protesi è stata impiantata al femore della gamba destra, l'intervento, durato circa 5 ore, è stato condotto la scorsa settimana, da un'equipe di ortopedici e chirurghi vascolari guidata da Giulio Maccauro, responsabile dell'Unità operativa di Oncologia Ortopedica del Policlinico universitario Agostino Gemelli. In Italia sono state impiantate in tutto sette di queste protesi 'smart'.
La protesi si chiama 'Mutars Xpand' e, spiega Maccauro, "consente l'allungamento meccanico non invasivo dell'arto, attraverso una procedura eseguibile anche dal paziente o dai genitori istruiti dai medici". Il modulo di allungamento di Mutars Xpand è costituito da un dispositivo elettronico miniaturizzato (attuatore) interno alla protesi, attivato tramite un ricevitore sottocutaneo da un'unità di controllo esterna gestita dal medico o dallo stesso paziente. Con Mutars Xpand si risolve il problema della lunghezza differente degli arti durante la crescita del bambino, senza ulteriori interventi chirurgici.
Notevoli sono i vantaggi per il paziente rispetto alle altre soluzioni per il trattamento dei tumori ossei finora trattati con pratiche necessariamente demolitive o molto invasive. Mutars Xpand dà indubbi vantaggi anche rispetto alle protesi espandibili con meccanismo a vite oggi in uso.
30 gen 2011
163 sostanze chimiche
(molte vietate) individuate
nell'organismo di donne incinte
Nel corpo delle donne in stato di gravidanza sono presenti 163 sostanze chimiche diverse, molte delle quali vietate: è quanto emerge da uno studio - il primo a conteggiare una per una le sostanze identificate - pubblicato sulla rivista Environmental Health Perspectives dai ricercatori dell'University of California di San Francisco (Stati Uniti).
I ricercatori hanno analizzato 268 donne incinte tra il 2003 e il 2004, rilevando diverse sostanze presenti in prodotti comunemente utilizzati, come le pentole antiaderenti, prodotti alimentari trasformati e prodotti per la cura e l'igiene personale.
I ricercatori hanno rilevato, in una percentuale di donne incinte compresa tra il 99 e il 100%, i bifenili policlorurati (PCB), utilizzati - prima di essere vietati in molti Paesi - per la produzione di vernici, lacche e materiali sigillanti, i pesticidi organoclorurati come il famoso DDT (vietato negli Stati Uniti dal 1972), i composti perfluorinati (PFC) presenti nel teflon che riveste le padelle antiaderenti, gli ftalati utilizzati nella produzione della plastica, gli idrocarburi policiclici aromatici (IPA) che vengono immessi nell'atmosfera dalle combustioni industriali e degli autoveicoli, e il perclorato. Oltre, spiegano i ricercatori, agli eteri di difenile polibromurato (PBDE), composti usati come ritardanti di fiamma attualmente vietati in molti stati. Il bisfenolo A (BPA), poi, è stato identificato nel 96% delle donne intervistate (sostanza utilizzata nella produzione della plastica e dell'interno delle lattine di metallo per alimenti, la cui esposizione prenatale risulta connessa a problemi nello sviluppo cerebrale e a una maggiore predisposizione allo sviluppo del cancro). "Molte di queste sostanze chimiche presenti nelle donne in gravidanza hanno le stesse concentrazioni che, in altri studi, sono state associate a effetti negativi nei bambini - spiega Tracey Woodruf, primo autore dello studio -. L'esposizione a più sostanze chimiche può, inoltre, aumentare il rischio di risultati negativi per la salute e può avere un impatto maggiore di esposizione rispetto a una sola sostanza chimica".
di Miriam Cesta (19/01/2011)
29 gen 2011
Le infezioni al nido riducono
le assenze alle elementari
Il contatto con altri bambini favorisce le malattie respiratorie, ma non pregiudica la salute dei piccoli
MILANO - È vero che al nido ci si fa gli anticorpi? La risposta ai dubbi che si pongono tutte le mamme viene da una ricerca pubblicata su Archives of Pediatrics & Adolescent Medicine. Asilo nido o nonni e baby sitter? Ci sono fattori logistici ed economici, ma a far propendere per la scelta di tenere il piccolo fra le mura di casa è spesso la consapevolezza che i bambini, se inseriti in comunità fin da piccoli, si ammalano di più. Lo studio coordinato da un gruppo di ricercatori canadesi non nega questo dato di fatto. «Ma c'è anche il rovescio della medaglia - dice Sylvana Côté, specialista in medicina preventiva al Ste-Justine Hospital di Montreal -. I bimbi che frequentano molti coetanei prima dei due anni e mezzo, e quindi contraggono più infezioni in questa fascia di età, una volta giunti alle elementari diventano più resistenti».
LO STUDIO - I ricercatori hanno selezionato più di 1.200 famiglie del Quebec con bambini nati nel 1998, e li hanno seguiti fino al 2006, tenendo conto della frequenza con cui i piccoli soffrivano di infezioni gastrointestinali, respiratorie e dell'orecchio prima dei tre anni, durante la scuola materna e nei primi anni di quella elementare. E i dati raccolti non lasciano dubbi: i piccoli che sono stati accuditi in un asilo nido, invece che a casa o in una piccola struttura con al massimo otto bambini, si sono ammalati più spesso. «Le mamme però non devono temere, perché la loro salute non è stata in alcun modo compromessa. Anzi, ne è stata rafforzata - commenta l'esperta -. I piccoli che hanno frequentato gli asili nido sono infatti gli stessi che nei primi anni di scuola elementare hanno fatto registrare meno episodi infettivi». Lo svantaggio di ammalarsi più spesso è quindi solo apparente, perché per i bambini accuditi a casa i malanni non sono scongiurati, ma semplicemente rimandati. Almeno per quanto riguarda le infezioni dell'apparato respiratorio e dell'orecchio, mentre per quelle gastrointestinali non sono state registrate differenze significative.
IL PEDIATRA - «Gli anglosassoni la chiamano "sindrome da asilo" - spiega Roberto Albani, pediatra romano esperto di divulgazione -. Trascorrere molte ore insieme ad altri bambini aumenta le probabilità di venire a contatto con una grande varietà di virus, con la conseguenza di contrarre spesso infezioni, soprattutto delle prime vie respiratorie. Nell'arco di due anni però i bambini avranno prodotto una vasta gamma di anticorpi in grado di difenderli, e si ammaleranno di meno. È una sorta di tassa che tutti i piccoli, prima o poi, dovranno pagare con febbre, tosse e mal d'orecchio. E chi va all'asilo prima dei tre anni la pagherà semplicemente un po' prima». Ma c'è anche un altro dato che rassicurerà le famiglie che hanno optato per l'asilo nido: «Se un bambino lo inizia a 6 mesi invece che a 2 anni non significa che sarà maggiormente predisposto a particolari complicazioni, come otiti o bronchiti - prosegue il pediatra -. Anzi, è stato dimostrato che i bambini che si ammalano spesso prima dell'anno d'età avranno in futuro minori probabilità di sviluppare asma e allergie respiratorie».
Lisa Trisciuoglio
25 gennaio 2011
28 gen 2011
Storia della lebbra
La lebbra o morbo di Hansen è una malattia infettiva e cronica, causata dal batterio Mycobacterium leprae, che colpisce la pelle e i nervi periferici in vari modi e gradi, anche molto invalidanti. Un tempo considerata una maledizione di Dio e incurabile, in era moderna si è rivelata molto meno temibile e meglio curabile di quanto ritenuto in passato. Le dizioni "morbo di Hansen" o "Hanseniasi" vengono oggi privilegiate per evitare il marchio di infamia che la parola "lebbra" ancora reca con sé nell'opinione comune.
Storia
La parola lebbra deriva dal greco leprós, scaglioso, scabro, aspro, dal verbo lépø = togliere la pelle o la scorza, sbucciare, pelare. Benché la lebbra sia generalmente considerata la malattia più antica del mondo, non si conosce con certezza l'epoca precisa della sua comparsa. Quasi certamente quella che nell'Antico Testamento, nel Levitico, è chiamata impropriamente lebbra (in ebraico Tzaraath) non è la stessa malattia che noi conosciamo. Si pensa che la malattia abbia avuto origine in India o in Africa.
Nelle leggi di Manu, nei Veda indiani (inizio del XV secolo aC), sono riportate istruzioni per la prevenzione della lebbra. Intorno al 400 aC la lebbra fece la sua comparsa in Cina: Da Feng nel "Nei Jing" intorno al 190 aC segnalava le tipiche lesioni cutanee anestesiche della lebbra.
Negli scritti di Ippocrate (IV secolo aC) non c'è menzione di quadri clinici riconducibili alla lebbra; la malattia probabilmente è stata portata in Europa dai soldati di Alessandro il Grande di ritorno dall'India (326 aC). Il reperto più remoto di resti umani con segni indubbi di lebbra risale al VI secolo (due mummie copte dell'Alto Egitto). La prima descrizione completa di una malattia che corrisponda alla nostra nozione di lebbra viene dall'India e risale al VII secolo dell'era cristiana.
Nel XIII secolo si ebbe la maggiore diffusione della lebbra in Europa, dove diventò endemica. Nel Medioevo i lebbrosi erano considerati impuri dalla Chiesa cattolica e dalla Società, pertanto erano costretti a vivere al di fuori delle città, nei lebbrosari. Il loro aspetto era tale da renderli oggetto di vere e proprie persecuzioni basate su improbabili accuse e che si concludevano in certi casi con imprigionamenti, reclusioni nelle loro abitazioni ma anche esecuzioni sul rogo. Emblematica la persecuzione francese del 1321 autorizzata direttamente dal Re Filippo V detto il Lungo con l'editto di Poitiers.
Nel 1953 Vilh Möller-Christensen trovò uno scheletro in un antico lebbrosario medievale in Danimarca che presentava alcune tipiche alterazioni della forma lepromatosa avanzata: la distruzione del processo alveolare della mascella e delle ossa nasali. L’endemia di lebbra in Europa si ridusse dal XV secolo.
Nel XVI secolo, venne esportata nell’America Latina, prima dai conquistatori spagnoli e portoghesi, poi dagli schiavi africani. Fino al XIX secolo si è creduto che la lebbra fosse una malattia ereditaria e dai più era considerata una punizione divina. Nel 1847 i dermatologi norvegesi Danielsen e Boeck offrirono la prima descrizione clinica lebbra tubercoloide. Nel 1852, in Messico, Rafael Lucio e Ignacio Alvarado descrissero clinicamente la lebbra lepromatosa diffusa, poi riconosciuta come forma lebbrosa da Fernando Latapì nel 1936.
Nel 1863 Rudolph Virchow (Schivelbein, Pomerania, 1821-Berlino 1902) descrisse per primo il reperto istopatologico della lebbra lepromatosa. Nel 1873 il medico norvegese Gerhard Hansen (Bergen 1841-1912) ne dimostrò l’eziologia batterica, evidenziando la presenza di bacilli in un nodulo cutaneo di un lebbroso. Il Mycobacterium leprae o bacillo di Hansen (BH) fu il primo batterio descritto come patogeno per l’uomo, una decina d’anni prima delle scoperte del medico tedesco Robert Koch (Clausthal, Hannover, 1843 - Baden-Baden 1910) relative al del bacillo della tubercolosi (1882).
Nel 1919 il medico giapponese Mitsuda descrisse l'intradermoreazione alla lepromina. Nel 1959 Piero Sensi, ricercatore della Lepetit, scoprì le rifamicine e da queste nel 1969 sviluppò la rifampicina, antibiotico attivo contro le micobatteriosi.
Giornata internazionale della lebbra
LEBBRA o Malattia di HANSEN
Eziologia: Mycobacterium leprae.
Vettore: umano, insetti.
Modalità di contagio: la modalità di trasmissione rimane incerta potendo essere multipla : è probabile che avvenga da persona a persona per esposizione a goccioline (droplets) emesse con tosse, starnuti, saliva o lepromi ulcerati, ma anche il contatto con terreno infetto, nonché vettori quali insetti sono stati considerati i principali meccanismi. Il contatto tra superfici cutanee non è generalmente considerata un'importante modalità di trasmissione. La porta d’ingresso sono le soluzioni di continuo cutanee o mucose.
Periodo d’incubazione: in genere 3-5 anni, ma può estendersi da 6 mesi sino a diversi decenni.
Sintomi: esistono due forme cliniche:
La lebbra tubercoloide: comprende la malattia tubercoloide polare e borderline. E' caratterizzata da sintomi confinati alla cute e ai nervi periferici prevalenza delle manifestazioni nervose, con evoluzione lenta e relativamente benigna, non è contagiosa. Le manifestazioni cutanee possono essere o di tipo eritemato-pigmentario, con chiazze eritematose di colore cupo, infiltrate, tumide e pastose, elevate a contorni sfumati, hanno aspetto "a fiamma", o di tipo nodulare. Le manifestazioni nervose sono costanti e caratteristiche, con interessamento bilaterale dei grossi nervi periferici che appaiono ingrossati e cordoniformi; la nevrite si manifesta con disturbi della sensibilità, quali anestesia termo-dolorifica e tattile e disturbi trofici.
All'estremità più grave dello spettro clinico vi è la lebbra lepromatosa, che comprende le varianti borderline e polare: caratterizzata da prevalenti lesioni cutanee, è contagiosa, la lesione elementare è il leproma, un nodulo sostenuto da una flogosi cronica granulomatosa che si presenta non tanto rilevata, di consistenza molle o pastosa,di colorito rosso scuro, di notevoli dimensioni, con contorno circolare circondato da un alone giallastro, non dolente; le lesioni possono essere molteplici e simmetriche, indipendenti o confluenti in piastre irregolari; si localizza al volto e alle orecchie, alla superficie estensoria dei segmenti distali degli arti, alla mucosa nasale, agli occhi, ai testicoli, ai nervi periferici ai linfonodi e alla milza. Può evolvere con esiti pigmentari bruni, esiti cicatriziali biancastri con alone pigmentato, oppure verso un approfondimento e distruzione dei tessuti, fino alla mutilazione, o più raramente verso un’ulcerazione con fuoriuscita di liquido denso e giallo. Clinicamente può verificarsi cronicizzazione con riacutizzazioni febbrili, eruttive, con artralgie, recrudescenza delle lesioni in atto e comparsa di nuove.
Prognosi: in tutto il mondo vi sono probabilmente 10-20 milioni di persone colpite dalla lebbra. Circa 1-2 milioni presentano reliquati. Tuttavia coloro che, fra i contagiati, hanno effettuato una terapia antibiotica efficace si possono considerare guariti.
27 gen 2011
Vuoi perdere peso? Spegni il termosifoneRiscaldamenti centralizzati stanno contribuendo all'epidemia di obesita'
Adnkronos Salute) - Vuoi perdere peso? Batti i denti e spegni il termosifone. E quanto sembra suggerire uno studio del londinese University College, che mette sotto accusa i riscaldamenti centralizzati: avrebbero dato un contribuito sostanzioso, a detta dei ricercatori, alla dilagante epidemia di obesità che ha investito i Paesi ricchi a partire dagli States.
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Vuoi perdere peso? Spegni il termosifone, lo studio
Riscaldamenti centralizzati stanno contribuendo all'epidemia di obesita'
Adnkronos Salute) - Vuoi perdere peso? Batti i denti e spegni il termosifone. E quanto sembra suggerire uno studio del londinese University College, che mette sotto accusa i riscaldamenti centralizzati: avrebbero dato un contribuito sostanzioso, a detta dei ricercatori, alla dilagante epidemia di obesità che ha investito i Paesi ricchi a partire dagli States. Genetica e stravizi a tavola, dunque, non sarebbero gli unici responsabili dei chili di troppo: anche il calduccio che ci accoglie a casa mentre fuori imperversa il maltempo e le temperature continuano a scendere finisce sul banco degli imputati. La ricerca, pubblicata sulla rivista 'Obesity Reviews', ha infatti analizzato il 'link' tra esposizione al freddo e impennata di obesità nel Regno Unito e negli Usa. Scoprendo così che se l'organismo è tenuto al caldo non ha bisogno di bruciare il cosiddetto grasso bruno, ovvero il tessuto adiposo che ci consente di disperdere più calorie quando siamo assediati da temperature gelide. In altre parole, se il corpo è tenuto costantemente in un clima caraibico o quasi, riduce in modo permanente la sua capacità di convertire il tessuto adiposo bruno in energia e calore, disperdendo calorie e contrastando i 'rotoli' che minano la nostra linea. Secondo gli studenti londinesi, dunque, i confortevoli doppi vetri alle finestre e i termosifoni tenuti 'a palla' sono complici, prove scientifiche alla mano, dei chili di troppo accumulati negli ultimi decenni dalla popolazione statunitense e dai cittadini di 'Sua Maestà'. A peggiorare la situazione, assicurano, il fatto che, tra casa e ufficio, trascorriamo sempre più tempo al chiuso, al riparo da temperature che portano giù la colonnina di mercurio. E anche quando decidiamo di sfidare il freddo e uscire di casa, il più delle volte ci rintaniamo in auto e mezzi pubblici riscaldati a dovere. "L'aumento del tempo trascorso in casa - spiega Fiona Johnson, autore principale dello studio - l'accesso diffuso a riscaldamento centralizzato e aria condizionata, il miglioramento del comfort termico, contribuiscono a limitare il range di temperature che sperimentiamo nella vita quotidiana, riducendo così il tempo in cui i nostri organismo sono sottoposti a stress termico. Ciò significa che stiamo bruciando meno energia e quindi mettiamo su peso". "La ricerca sui fattori ambientali che causano l'obesità - prosegue la studiosa - si è concentrata su dieta e esercizio fisico, che sono indubbiamente i maggiori fattori. Tuttavia è possibile che altre cause ambientali, quali le temperature invernali domestiche, possano avere un ruolo rilevante". "I risultati registrati - sottolinea la co-autrice Marcella Ucci - sembrerebbero suggerire alla autorità pubbliche di sposare una strategia anti-chili di troppo che abbassi le temperature dei riscaldamenti negli edifici. Così, oltre a risparmiare energia, si contrasterà l'impennata di obesità che ormai ha assunto le dimensioni di una vera e propria epidemia".
25 gen 2011
Narcisismo troppo diffuso, non è più malattia
Ma solo un 'tratto' di un problema mentale più grande, secondo gli esperti Usa
ROMA - Il narcisismo è ormai così diffuso nella società che potrebbe non essere più considerato una malattia a sé, ma solo un 'tratto' di un problema mentale più grande. Al 'declassamento' stanno lavorando gli esperti che in Usa preparano la nuova edizione del Dsm (Diagnostic Statistical Manual), il manuale che definisce i principali problemi psichiatrici.
La decisione, precisa il quotidiano Boston Globe, non è ancora stata presa, ma la maggioranza del comitato dell'American Psychiatric Association che sta studiando il problema è a favore dell'inserimento del narcisismo all'interno di un quadro più ampio, in cui diventerebbe uno di una serie di sintomi: "Un narcisista è qualcuno che ha un irrealistico senso di superiorità, accompagnato da una totale mancanza di empatia - spiega John Oldham, uno dei membri della commissione - le compagnie americane sono piene di persone con questo problema".
Nei prossimi mesi dovrebbero partire le prime sperimentazioni della nuova classificazione, in cui il problema viene descritto come un tratto della personalità che può avere diversi gradi di gravità: "La necessità di riclassificazione viene dal fatto che molte persone possono essere narcisiste e comunque vivere tranquillamente in società - conclude un altro membro, Carl Bell dell'università dell'Illinois - questo potrebbe essere tranquillamente considerato come una tendenza della personalità".
25/01/2011 -
Raffreddare il cervello potrebbe
ridurre i danni dell'ictus
roma
Ridurre i danni dell'ictus con il freddo. È la prospettiva contenuta in un progetto di ricerca europeo che include 11 ospedali italiani e team di lavoro in Germania, Francia e Regno Unito. I dettagli sono stati rivelati a Bruxelles dal gruppo di lavoro capofila dell'università di Edimburgo.
La tecnica messa a punto, già utilizzata nei pazienti con problemi cardiaci, abbassa la temperatura corporea a 35 gradi, appena un paio sotto quella normale, applicando delle piastre fredde sulla pelle e iniettando liquidi per via endovenosa.
L’obiettivo è un'ibernazione artificiale che blocca l'afflusso di sangue al cervello permettendo ai chirurghi di intervenire sui vasi sanguigni chiusi o danneggiati.
« L'ipotermia ci permetterà di migliorare le condizione di oltre 40.000 pazienti ogni anno» ha detto Malcolm Macleod, neuroscienziato del Centre for Clinical Brain Sciences dell'università di Edimburgo.
Ogni giorno circa 1.000 europei muoiono colpiti dall'infarto cerebrale, altri 2.000 sopravvivono, ma con lesioni invalidanti.
24 gen 2011
Il fegato nel Medioevo: le acquisizioni raggiunte e l’inquadramento dottrinario della medicina salernitana
di Giuseppe Lauriello
Nei primi secoli dopo il Mille tra i centri di cultura che brillano in Europa v’è Salerno con la sua celebre Scuola di medicina. In questa città, nonostante l’età altomedievale abbia imbarbarito l’Europa, la tradizione classica non è mai tramontata: si studiano gli antichi codici, Costantino Africano con le sue celebri traduzioni dall’arabo, dal greco, dall’ebraico, condotte nel ritiro di Montecassino, accosta il mondo occidentale ad opere e ad acquisizioni fino a questo momento sconosciute, si segue l’indirizzo pratico e sostanziale delle scuole bizantine, eredi della migliore classicità scientifica. In questi secoli la Scuola medica raggiunge l’apogeo della sua grandezza e della sua fama. L’osservazione obiettiva e razionale si impone all’empirismo; si dà assetto ad una metodologia scientifica impostata sullo studio oculato dei segni clinici e su un rigoroso controllo della tecnica semeiologica ed anamnestica.
La quotidiana pratica con i malati e con gli studenti sono stimolo per la redazione di opere di medicina, che oggi rappresentano veri monumenti di storia per la medicina stessa. In esse sono raccolte preziose esperienze di etiologia e di diagnosi nonché una vasta conoscenza farmacologica desunta da erbari e confortata dal diuturno lavoro, su cui schiere di allievi e generazioni di medici apprendono l’arte, corroborandola con il proprio talento e con i propri successi professionali.
Alla luce di tali premesse rivolgiamo la nostra attenzione al fegato.
Cultori di studi anatomici, e quindi descrittori degli aspetti morfologici del fegato, a Salerno, sono maestro Cofone e un anonimo autore di una Demonstratio anatomica di scuola salernitana.
Magister Cofone è un esponente di un’illustre famiglia di medici, fiorita intorno al 1100. Il suo trattato di anatomia ha goduto di larga fama nei secoli scorsi, anche se i rilievi sono desunti da dissezioni praticate sul maiale ed il titolo infatti è illuminante: Anatomia porci. Tale procedura rappresenta una via obbligata, essendo all’epoca vietata o comunque ritenuta riprovevole l’autopsia su cadavere ed essendo il maiale l’animale anatomicamente più affine all’uomo.
La prima pubblicazione a stampa del manoscritto è curata da un valente chirurgo napoletano, Marco Aurelio Severino (1580-1656), che la inserisce in una sua opera anatomica di successo, la Zootomia democritea, apparsa nel 1645. L’opera peraltro viene reinserita dallo storico medico (anche egli napoletano) Salvatore De Renzi nella Collectio Salernitana, una raccolta di scritti di medicina salernitana pubblicata nel 1852.
La Demonstratio anatomica, opera di autore ignoto, è frutto di un ritrovamento d’archivio, essendo stata rinvenuta dal medico erudito, prof Teodoro Henschel nella biblioteca Maria Maddalena di Breslavia in Germania, oggi in Polonia con il nome di Wroclaw.
Questi due anatomisti descrivono il fegato di forma lunare, allocato a destra sotto il diaframma, la cui parte superiore convessa chiamano gibbus, mentre la parte inferiore concava è indicata come “porta del fegato”, che è poi l’ilo. Osservano che l’organo è rivestito di due tuniche, una, verosimilmente la glissoniana, è chiamata spinach, e l’altra, esterna, a forma di rete, che appellano zirbus, evidentemente l’epiploon (così detto in quanto gli antichi dissettori lo vedevano quasi navigare sugli organi addominali: epì-pleo = navigo sopra), che aggancia il viscere al diaframma e s’interseca con lo spinach. Ritengono inoltre il fegato costituito da cinque lobi, ma non sempre separati fra loro.
Dice Cofone:
Il fegato è posto alla destra dell’ipocondrio, formato a guisa di sigma greco. Nella parte superiore è gibboso con alcune membrane. È altresì concavo nella parte che si congiunge allo stomaco, il cui fondo abbraccia il fegato con i suoi cinque lobi. Nel lobo più grande v’è la cistifellea (cistis fellis), che sembra avere un unico canale, ma in realtà sono due congiunti in uno. Il canale superiore più grande è connesso al fegato, mentre quello più piccolo si dirige verso l’intestino dove riversa la bile superflua per il funzionamento del ventre.
Collegato al fegato è una vescichetta, la cistis fellis, mentre l’organo è rivestito da due pannicoli, zirbus e siphac, implicati fra loro come rete. Quello più consistente è detto zirbus, quello più sottile siphac. Le regioni che accolgono fegato e milza sono dette ipocondri (da ipo e condros sotto le cartilagini).
Secondo Costantino Africano, monaco cassinense, salernitano d’adozione, cartaginese di nascita, robusto traduttore di opere di medicina dall’arabo in latino, al fegato fanno capo due grosse vene, una che entra, detta “porta”, perché penetra nel fegato attraverso la sua porta d’ingresso (l’ilo) e l’altra che esce, la “cava”, che origina dalla convessità del fegato ed è formata dalla confluenza di più vene epatiche, quasi nascesse dalla raccolta delle sue radici. Le vene che raggiungono il corpo umano hanno origine dalla cava.
Abbiamo detto delle conoscenze anatomiche, passiamo agli aspetti funzionali.
La fisiologia della medicina salernitana, che è poi quella della medicina medievale, poggia sul sistema costruito da Galeno nel II sec., che a sua volta rappresenta la sintesi dell’antico pensiero. Secondo tale dottrina il fegato è il centro d’origine delle vene, fons venarum, cosi come il cuore rappresenta l’origine delle arterie. Sussistono nell’organismo tre elementi principali: gli alimenti, l’aria e il sangue. Gli alimenti, introdotti attraverso il tubo digerente, vengono raccolti dall’intestino come “chilo” e attraverso la vena “porta” convogliati al fegato. Qui avviene l’elaborazione del “chilo” in sangue venoso, che si impregna di “spirito naturale” (pneuma fisicòn) e così arricchito, viene spinto dal fegato con un movimento oscillatorio di va e vieni a tutte le parti del corpo attraverso le vene. La vena cava, ritenuta ramo dell’epatica, si diparte dal fegato, entra nel cuore destro trasportandovi il sangue proveniente dal fegato.
Secondo l’anonimo estensore della Demonstratio i cibi, triturati nello stomaco, vengono successivamente tramutati nel fegato in umori (in hepate mutatur in humore), che li purifica (excoquitur humores hepar) e attraverso le vene meseraiche li invia come fluido nutritivo a tutto il corpo (toto corporis praebeant nutrimentum). Questo nutrimento è chiamato “chimo” (generatur in hepate chimus). Per inciso, dopo Salerno, a proposito del fegato, non è stato più detto nulla di nuovo sulla funzione epatica fino al XIX sec. e, precisamente, fino alle ricerche di Claude Bernard e della sua Scuola.
Il fegato, peraltro, è anche produttore di bile, bile rossa, uno degli umori fondamentali (gli altri sono: il sangue, il flegma e la bile nera prodotta dalla milza). La bile rossa, formatasi nel fegato, è raccolta nella vescichetta biliare e convogliata nell’intestino ove interviene a favorire la digestione degli alimenti e ad agevolare l’eliminazione dei residui con le feci e le urine.
A questo punto ritengo interessante una breve digressione etimologica.
La parola “fegato” viene a sostituire il medievale hepar e il latino classico iecur.
Iecur è voce latina classica, di Cicerone e di Orazio, che indica il viscere addominale. È mutuata dall’aruspicina etrusca, che a sua volta la ricava dal sanscrito: iakar.
Hepar è voce latina tarda, del IV-V sec d.C., impiegata dai medici della bassa latinità e durante il medioevo, voce derivata dall’omonimo termine greco bizantino.
“Fegato” proviene dal latino ficatum, una voce popolare che indicava l’animale domestico ingrassato con pasti di fichi come leccornia gastronomica. Il termine passò poi ad indicare il fegato grasso e, successivamente, scomparso il latino iecur, si consolidò nel significato attuale di fegato, prima come fecàtum e poi come fècatum.
Secondo Matteo Plateario, membro di un’altra illustre famiglia di medici salernitani fiorita nel XII secolo, il fegato può ammalarsi o in seguito ad un alterato deflusso della bile o per degenerazione del parenchima epatico.
Nell’ostruzione dei dotti biliari, non potendo essere la bile purgata, si rimescolerà nel sangue, dando origine a febbre ed itterizia, itterizia che, a volte, viene descritta come sintomo, a volte come, processo morboso autonomo. Se l’ostruzione si verifica a livello del canale che porta all’intestino (coledoco), insorge febbre suppurativa (biliare), itterizia, le feci si scolorano e le urine si caricano di bile. L’itterizia è anche chiamata “morbo regio” per il colore dorato che acquista la cute dell’itterico.
Da grandi osservatori questi medici sanno distinguere e descrivere i vari aspetti cromatici dell’itterizia, dallo zafferano, al rossastro, al bruno e da tali rilievi costruiscono le vane entità cliniche di compromissione epatica.
Per quanto riguarda i processi patologici che investono direttamente il fegato sono descritti gli “ascessi epatici”, che si formano o nella parte alta, nel gibbus o in quella inferiore del viscere. Si accompagnano a febbre alta, continua, dolore vivo all’ipocondrio destro, occhi color zafferano, cute itterica e urine rossastre oppure possono presentarsi con febbricola (febris lenta), senso di peso all’ipocondrio, urine cariche, ma senza ittero.
Lo svuotamento dell’ascesso è ottenuto mediante la cauterizzazione della parete addominale fino alla formazione di un escara, che viene perforata da un ago allo scopo di far uscire il pus.
È nota ai clinici peraltro la “cirrosi epatica”, detta da Petroncello: scirosin, riferita come una sclerosi del fegato, che si presenta duro alla palpazione, laonde è anche chiamata duritia hepatis. Ben conosciuta l’“ascite” ovvero l’“idropisia”, malattia che coinvolge l’intero organismo (egritudine totius corporis) ritenuta conseguenza di una profonda alterazione del fegato (de infermitate hepatis nascitur ydropisia), indotta da una sovrabbondanza di umori prodottasi nel suo interno.
Il trattamento dell’ascite è condotto con paracentesi, che si attua traforando la parete addominale al di sotto dell’ombelico con un bisturi e applicando nel foro prodotto una cannula, che viene tolta a operazione conclusa; la pelle, rilasciandosi, richiuderà spontaneamente la breccia. È raccomandato lo svuotamento lento del liquido ascitico per evitare l’eventuale collasso del paziente.
Il trattamento medico delle malattie epatiche si avvale di una ricca farmacopea vegetale, piante medicinali di cui il Regimen Sanitatis salernitano ci offre una messe di informazioni.
Un’analisi dettagliata delle procedure di intervento terapeutico richiederebbe un tempo esageratamente superiore a quello assegnato alla relazione per cui si sorvola
Basterà dire che nelle malattie biliari ampio è l’uso dei colagoghi come il mirabolano (terminalia chebula), il titimallo (euphorbia nista), l’aloe socotrina. Nelle malattie di fegato i rimedi sono molteplici, tutti tesi a correggere l’eccessiva produzione di umori e a favorire l’eliminazione di quelli cattivi; basta accennare alla verbena, al cinnamomo, alla noce moscata e via via alla cassia, uva passa, capperi, rabarbaro, ecc.
Cito qualche aforisma, di cui è ricco e ridondante il Regimen Sanitatis:
«Il cappero apre le ostruzioni del fegato e della milza e allontana i superflui umori»;
«L’uva senza semi e senza buccia seda l’ardore della bile e del fegato»;
«L’aloe giova all’itterico e risana il fegato»;
«Il rabarbaro,curando il fegato,frena le visceri rilasciate»;
«Il finocchio scaccia le sofferenze del polmone e del fegato».
Non manca naturalmente l’accenno al clistere che «scaccia le flatulenze nella colica ed, espellendo le feci, calma le sofferenze del fegato».
Voglio concludere con la chirurgia.
Ruggero di Frugardo è stato massimo chirurgo salernitano e annoveratore della chirurgia nell’alveo della medicina scientifica, fiorito agli inizi del XIII sec. Nel suo trattato di clinica e tecnica operatoria, a proposito del fegato, descrive un unico intervento, quello della riposizione in sede del viscere, quando fuoriesce da una ferita stretta provocata da un evento traumatico:
Il paziente giaccia supino e ben disteso. Dal lato del capo il medico afferri trasversalmente la parete addominale, mentre dal lato dei piedi un assistente faccia lo stesso in simultaneità. Tenendo ferma la cute, ambedue con un rapido movimento sollevino il corpo: una improvvisa inspirazione d’aria per la sua stessa pressione costringerà il fegato a rientrare in situ.
Tutto qui. Per il resto il nostro è oltremodo prudente, anzi ammonisce, forte anche di esperienze altrui:
Una ferita al fegato è fuori dalle nostre cure, anzi, per evitare che la gente ci possa ritenere responsabili della morte dei parenti, è bene declinare ogni invito a intervenire chirurgicamente.
Come si vede, stessi problemi, stesse considerazioni, ieri come oggi.
23 gen 2011
Sciroppo per la tosse all’aglio.
Un vero elisir, da prendetene 1 cucchiaino alla volta per tosse, raffreddore e congestione di muco.
Ingredienti: 1 tazzina di miele, 5-10 spicchi di aglio, succo di un limone, 1 cucchiaio di salvia in foglie, 1 cucchiaio di scorza di limone.
Versare il miele nel frullatore, aggiungere l’aglio, il succo di limone, la salvia e la scorza di limone. Frullare fino a ottenere una crema omogenea. Lasciare riposare in un contenitore lontano da fonti di calore per alcuni giorni.
L’azione antibatterica ed espettorante dell’aglio è spesso d’aiuto per alleviare la tosse.
Per riacquistare un alito accettabile dopo aver mangiato dell’aglio, mettete una goccia di olio essenziale di menta sulla lingua o masticate delle foglie di prezzemolo.
21 gen 2011
STAMINALI: UN REGALO DI FUTURA SALUTE DA MADRE A FIGLIO
Quelle amniotiche, crioconservate, potranno essere impiegate in caso di fratture od ustioni
MILANO – Una frattura od un’ustione nel corso della vita si potranno curare in modo del tutto speciale con le cellule staminali prelevato dalla stessa persona infortuna al momento della sua gravidanza. E’ una forma innovativa di “assicurazione” sulla salute che potrà concretizzarsi con un prelievo dal liquido amniotico della madre fra la 19° e la 24° settimana di gestazione, conservata al freddo in una speciale “banca” ed utilizzabile nel momento del bisogno, senza possibilità di reazioni di rigetto trattandosi di un trapianto autologo, cioè sullo stesso individuo. Ne hanno parlato a Milano Claudio Giorlandino, segretario generale della Società Italiana Diagnosi Prenatale e Medicina Materno Fetale e Giuseppe Simoni,direttore scientifico di Biocell Center.
Oggi esito quattro tipi di cellule staminali (embrionali, vietate in Italia per problemi di sicurezza dell’embrione e possibilità di creare tumori – adulte, presenti nel corpo umano dopo la nascita e capaci di rigenerare l’organo od il tessuto in cui risiedono, già in uso per molte malattie – cordone ombelicale, valide per leucemia e linfomi in impianti su altre persone – amniotiche.
Queste ultime vengono impiegate a livello di laboratorio nelle malattie congenite animali, per la sostituzione di diaframma,trachea,sterno. Così come nella cura sperimentale di degenerazione maculare e retinite pigmentosa.
Il tutto avviene con un prelievo fra la 19° e la 24° settimana, la loro crioconservazione a meno 196 gradi. Lo scopo è la prevenzione delle anomali genetiche ( l’amniocentesi,raccomandata dopo i 35 anni, viene effettuato in media da un terzo delle gestanti italiane). Duplice il vantaggio: coniugare la diagnosi prenatale e la garanzia al bambino di possedere cellule staminali da disporre in futuro. Il prelievo non crea problemi a madre e bimbo. Anche altri membri della famiglia potrebbero avvantaggiarsene poiché in un caso su quattro sono compatibili con quelle di un familiare. (info@biocellcenter.it)
GIAN UGO BERTI
(riproduzione vietata)
BANCOMAT sporchi come i bagni pubblici: gli stessi batteri
E' il risultato di uno studio condotto nel Regno Unito: test batteriologici effettuati in alcuni dei luoghi più frequentati dai cittadini hanno infatti dimostrato che le macchinette bancomat sono sporche tanto quanto i bagni pubblici
Sarebbe saggio indossare un bel paio di guanti per prelevare del contante visti i risultati di uno studio condotto nel Regno Unito: test batteriologici effettuati in alcuni dei luoghi più frequentati dai cittadini hanno infatti dimostrato che le macchinette bancomat sono sporche tanto quanto i bagni pubblici.
I dati sono incontrovertibili: gli esperti incaricati da un’azienda britannica che produce disinfettanti si sono recati in alcuni punti-prelievo di denaro in giro per l’Inghilterra, per ottenere tamponi dalla tastiera che consente di digitare il proprio codice e la cifra desiderata.
Poi, allo stesso modo, hanno testato le tavolette del wc di alcune toilette pubbliche. Giungendo a risultati raccapriccianti: il microscopio ha rivelato che il contenuto di batteri è lo stesso e che, ad esempio, i batteri pseudomonas o bacillus si possono ritrovare su entrambe le superfici, con altissimi rischi per la salute umana.
Un quadro inaspettato, dunque, anche secondo un’indagine, sempre riportata dalla stampa d’Oltremanica, che rivela il parere dei cittadini inglesi su quale sia il luogo più sporco in assoluto: al primo posto ci sono i bagni pubblici, seguono le cabine telefoniche, le fermate dei bus e della metro, i sedili dei mezzi pubblici e solo in settima posizione i bancomat.
20 gen 2011
Londra, 19 gennaio 2011 - Il sesso è un toccasana per la nostra salute. Farlo spesso infatti ci mantiene più giovani e ci fa vivere più a lungo. Lo ha detto Eric Braverman, un esperto americano di invecchiamento, autore del libro ‘Younger (Sexier) You', al quotidiano britannico Daily Mail.
Secondo Braverman una buona vita sessuale migliora il metabolismo, l’attività cerebrale, la salute del cuore e il sistema immunitario. Inoltre, il sesso aumenta i livelli degli ormoni sessuali, facendoci sentire più giovani di quello che in realtà siamo. Per farlo più spesso l’esperto americano consiglia di bere caffè, in quanto aumenta la libido, e di mangiare gli arachidi perchè migliorano l’eccitazione.
Anche uno studio della Queen’s University di Belfast consiglia di fare più sesso: fare l’amore almeno tre volte alla settimana, infatti, ridurebbe il rischio infarto e ictus negli uomini di mezza età. Gli orgasmi, invece, si pensa aiutino a combattere le infezioni, aumentando l’attività di difesa delle cellule fino al 20 per cento in più. Un recente studio, inoltre, ha dimostrato che un’attività sessuale più intensa protegge gli uomini più anziani dall’insorgenza del cancro alla prostata. Braverman, infine, consiglia qualche afrodisiaco: gli aspragi, le banane, i cavoli, il sedano, i fichi, le ostriche e le alghe marine.
WASHINGTON - Per le coppie giovani è davvero difficile riuscire a rinunciare alla promiscuità. Molti infatti rifiutano la monogamia, nonostante questo metta a rischio la salute del proprio partner dinanzi alle malattie sessualmente trasmissibili. Uno studio della Oregon State University, pubblicato sulla rivista Journal of Sex Research, ha rilevato che su 434 coppie giovani eterosessuali di età compresa tra i 18 e i 25 anni sono molti i partner che non accettano di avere rapposrti sessuali esclusivi. Nel 40 per delle coppie, infatti, solo un partner vuole la monogamia.
Sull’argomento la maggior parte non è riuscita a trovare un accordo. "Altri studi - ha detto Jocelyn Warren, che insieme a Marie Harvey ha coordinato nello studio - hanno esaminato le percezioni legate alla monogamia, questo studio e davvero il primo a esplorare le discussione delle coppie eterosessuali sulla monogamia". "Incomunicabilità e incomprensioni sull’esclusività sessuale sembrano molto comuni", ha aggiunto.
Precedenti ricerche hanno dimostrato che l’uso del preservativo tende a diminuire quando le relazioni si fanno più intime e più lunghe nel tempo. Eppure, quest’ultimo studio dimostra che molte coppie non comunicano efficacemente i termini del loro rapporto, mettendo a rischio la propria salute. Anche tra coloro che hanno deciso esplicitamente di essere monogami, quasi il 30 per cento ha alla fine rotto questo accordo intrattenendo un rapporto sessuale con un’altra persona. "Le coppie hanno difficoltà - ha detto Harvey - a parlare di questo tipo di argomenti e immagino che lo sia ancor di più per quelle giovani". Un dato che più di tutti ha sorpreso gli scienziati è che le coppie giovani sposate, anche con figli, avevano meno probabilità di aver raggiunto un accordo sulla monogamia.
19 gen 2011
Michelangelo e il cancro al seno
Secondo due studiosi americani, l’oncologo James J. Stark e lo storico dell’arte Jonathan K. Nelson, la Notte di Michelangelo, una statua scolpita nel 1524 che si trova nelle Cappelle Medicee (monumento tombale creato dallo scultore nella Chiesa di San Lorenzo a Firenze) aveva il cancro al seno. Esaminando la statua, i due studiosi hanno individuato tre anomalie nel seno sinistro, a loro avviso indizi inconfutabili di uno stadio avanzato del tumore alla mammella: la sporgenza del contorno del seno, un rigonfiamento in prossimità dell’area del capezzolo e un’area affossata a lato di quest’ultimo. L’obiettivo di Michelangelo, secondo gli studiosi, era proprio quello di accentuare il messaggio funebre della Cappella. L’ipotesi è stata fortemente contestata, su “Il Messaggero” di Roma (28/11/00), da Cristoph Frommel, direttore della Biblioteca Hertziane e tra i massimi esperti di Michelangelo che invita a chiedersi come mai non vi siano segni di malattia o di morte imminente nelle altre statue della Cappella (il Giorno, l’Aurora e il Tramonto).
Gli storici dell’arte, hanno discusso per secoli sul significato di questa scultura; alcuni ritengono, d’accordo con i chirurghi plastici di oggi, che l’artista non avesse mai visto una donna nuda e dunque la deformità del seno sinistro della Notte rifletta la supposta mancanza di interesse e la poca familiarità di Michelangelo con il nudo femminile; altri lo considerano un errore della scultura.
da Scuola medica salernitana
18 gen 2011
Vitamina D, meglio non esagerare
Se assunta oltre una certa soglia, produce effetti
opposti a quelli sperati: rende le ossa più fragili
MILANO - Ne abbiamo tutti sentito parlare come di un toccasana per le ossa. Un elemento indispensabile per la salute dell’impalcatura del nostro organismo. E per questo, da più parti giungono consigli, rivolti soprattutto alle donne, specie se anziane, di mantenere livelli elevati di vitamina D attraverso una dieta equilibrata e una adeguata esposizione al sole. O, se queste misure fossero insufficienti, assumendo appositi integratori. Tuttavia, meglio non esagerare. La vitamina D, una molecola essenziale per l’assorbimento del calcio - che costituisce a sua volta la componente principale della struttura delle ossa - se assunta in dosi eccessive può produrre l’effetto contrario a quello sperato e, piuttosto che rinforzare le ossa, le rende più fragili. Lo ha scoperto un gruppo di ricercatori del Minneapolis Veterans Affairs Medical Center e dell’University of Minnesota di Minneapolis in uno studio pubblicato sul Journal of Clinical Endocrinology Metabolism.
LA GIUSTA MISURA - I ricercatori hanno misurato i livelli di vitamina D circolanti nel sangue di oltre 6mila donne con più di 69 anni di età. Quella presa in considerazione è stata la forma inattiva della vitamina, il calcidiolo, che rappresenta una vera e propria riserva a disposizione dell’organismo, a differenza del calcitriolo che è la versione pronta all’utilizzo. I valori di vitamina D sono stati poi messi in relazione con lo stato di salute delle ossa, valutato in base alla loro fragilità. Sorprendentemente, è emerso che le ossa più fragili si riscontravano non soltanto nelle donne che avevano bassi livelli della sostanza, ma anche in chi ne aveva troppa. In particolare, i valori di vitamina D a cui corrispondevano ossa più forti sono quelli compresi tra i 20 e i 30 miliardesimi di grammo (nanogrammi) di calcidiolo per millilitro di sangue. Al di sotto dei 15 nanogrammi per millilitro le donne presentavano ossa del 47 per cento più fragili rispetto a questo gruppo, al di sopra dei 30 ng/ml le ossa erano più fragili del 32 per cento.
INTEGRARE CON CAUTELA - I risultati dello studio, secondo gli autori, invitano a considerare con più attenzione il tema della supplementazione di vitamina D. «La sua popolarità - ha affermato Kristine Ensrud, docente di epidemiologia presso l’istituto americano e principale autrice dello studio - è cresciuta negli ultimi anni, anche se l’associazione tra i livelli di vitamina D presenti nell’organismo ed eventuali rischi per la salute negli anziani è ancora incerta. Infatti - ha precisato - il nostro studio non dimostra che quanto più alti sono i livelli di vitamina D tanto più bassi sono i rischi di fragilità ossea o di morte. Al contrario, anche alti livelli di vitamina D sono associati con un aumento della fragilità». Per questa ragione, secondo i ricercatori, si avverte l’urgenza di ampi studi clinici randomizzati, ben congegnati e di sufficiente durata, che quantifichino gli effetti della supplementazione di vitamina D sulla salute.
Antonino Michienzi
La prima impressione
è quella che conta (per i belli)
Se la persona che abbiamo appena conosciuto è attraente, studiamo con più attenzione il suo carattere e riusciamo così a individuarne meglio i tratti principali
MILANO - Messaggio a tutti i cuori solitari impegnati nella ricerca dell'anima gemella: se il vostro aspetto fisico lascia a desiderare e pensate di conquistare il partner puntando tutto sul vostro bel carattere, lasciate perdere e correte a fissare un appuntamento dall'estetista. Il segreto per catturare l'attenzione dell'interlocutore e invitarlo a scoprire la nostra personalità, infatti, sta proprio nella gradevolezza dell'aspetto esteriore: lo dimostrano i risultati di un recente studio condotto da un team di psicologi canadesi e pubblicato sulla rivista Psychological Science.
LO STUDIO - Per scoprire quali persone vengono meglio comprese dagli altri nei tratti fondamentali del loro carattere, gli esperti della University of British Columbia di Vancouver hanno condotto un divertente esperimento analizzando il comportamento di 75 volontari, uomini e donne, durante una specie di cocktail-party (ovviamente senza alcolici). Divisi in gruppetti di massimo 11 persone, i partecipanti hanno avuto l'opportunità di chiacchierare per tre minuti con ciascun componente del gruppo, come in un grande speed-date. Dopo ogni conversazione, i volontari sono stati chiamati a compilare un questionario sull'interlocutore appena conosciuto, di cui dovevano giudicare l'attrazione fisica e i cinque tratti più importanti della personalità, e cioè l'essere aperti, estroversi, coscienziosi, gradevoli e nevrotici. Ciascuno poi ha dovuto anche valutare nello stesso modo il proprio carattere.
Durante l'analisi dei questionari, i ricercatori sono stati in grado di determinare l'accuratezza delle percezioni confrontando quello che ciascuno diceva del proprio carattere con le opinioni dei suoi interlocutori.
ATTENTI AI BELLI - Dall'elaborazione dei risultati dei test sono emerse diverse verità. Da un lato, come si poteva facilmente intuire, si è visto che di fronte a una persona attraente siamo meglio predisposti, ma dall'altro si è scoperto che siamo anche più capaci di coglierne con precisione i tratti del carattere, mettendoli nel giusto ordine relativo. «Se la gente pensa che Jane sia bella e lei è di suo molto organizzata e abbastanza generosa - spiega il coordinatore della ricerca, Jeremy Biesanz - gli altri la vedranno come la più organizzata di tutte e più generosa di quanto sia in realtà. Nonostante questo, il nostro studio dimostra che le persone sanno riconoscere l'ordine relativo di questi tratti della personalità di Jane, ovvero che è più organizzata che generosa, meglio di come facciano con altre persone che trovano meno attraenti». Insomma, lo studio pare sconfessare quei belli e lagnosi che si dicono incompresi perché giudicati solo dalle apparenze: se una persona piace, infatti, si è più motivati nel prestarle attenzione, vuoi un po' per curiosità o per interesse sentimentale. «Non siamo solo portati a giudicare un libro dalla sua copertina - commenta Biesanz - ma leggiamo quelli che hanno belle copertine con molta più attenzione di altri».
È BELLO CIÒ CHE PIACE - Dai ricercatori di Vancouver arriva però anche un messaggio di speranza per quei "comuni mortali" che non possono contare su un fisico alla Raoul Bova o uno sguardo alla Megan Fox: non è bello ciò che è bello, ma è bello ciò che piace. Infatti, i volontari arruolati nell'esperimento hanno dimostrato di intuire meglio il carattere delle persone che loro trovavano attraenti, anche se non erano giudicate tali dagli altri componenti del gruppo. Ma forse non serviva proprio un test scientifico per capire che la bellezza è negli occhi di chi guarda.
Elisa Buson(Corriere Della Sera)
17 gen 2011
Cos'è la Medicina Tibetana
La Medicina Tradizionale Tibetana (MTT) è una scienza medica, naturale e olistica, che si rivolge ai bisogni del corpo, della mente e dello spirito dell'essere umano in modo integrato.
Di origine molto antica, la MTT ha una genesi, una storia e uno sviluppo del tutto propri, che affondano le radici nella terra tibetana, nella cultura indigena e nello spirito del popolo tibetano.
La Medicina Tradizionale Tibetana comprende un sistema filosofico e cosmologico completo e un sistema di anatomia sottile associata a pratiche spirituali.
Lo studio della MTT comporta l'acquisizione di una vasta conoscenza di anatomia e fisiologia, embriologia, patologia, di metodi diagnostici e terapeutici, che includono un'estesissima farmacopea erboristica e un'ampia varietà di terapie corporee chiamate 'esterne' ancora poco conosciute in Occidente.
Per quanto sia un sistema medico tra i più antichi al mondo, la Medicina Tradizionale Tibetana continua a essere praticata con successo nella società contemporanea. La ricerca moderna in ambito medico-scientifico sta oggi confermando gli straordinari benefici di questa scienza antica.
Gli scopi della MTT sono principalmente due:
Prevenzione
La prevenzione delle malattie mediante uno stile di vita e una dieta alimentare corretti è un punto fondamentale nella MTT. La maggior parte delle malattie croniche della nostra epoca, sono il risultato di stati mentali non equilibrati, di stili di vita scorretti e di una dieta sbagliata. Il diabete e le malattie cardiovascolari sono esempi ben noti a questo proposito.
Cura
Una volta insorta una condizione di squilibrio, la malattia diventa chiaramente manifesta. Si rende quindi necessario ripristinare l'equilibrio perduto agendo sull'origine delle cause e sugli effetti della malattia. Significa, in primo luogo, occuparsi degli aspetti riguardanti il regime dietetico e lo stile di vita e solo in seguito, se non si sono ottenuti i risultati sperati, somministrare le medicine a base di erbe e utilizzare le terapie esterne.
L'Equilibrio e lo Squilibrio secondo la MTT
L'Equilibrio si riferisce allo stato d'armonia tra il corpo, l'energia e la mente. Tra questi tre aspetti, l'energia riveste il ruolo più importante perché costituisce il collegamento vitale tra il corpo e la mente. Quando l'energia vitale perde il suo naturale equilibrio, anche il corpo fisico e la mente risentono, di conseguenza, dello stato di squilibrio e insorge la malattia.
Il buon equilibrio energetico ha come effetto un corpo sano, una mente calma e chiara e un'abbondante quantità d'energia a disposizione.
Lo Squilibrio è sempre il risultato di una o più cause. Nella MTT le cause di malattia sono classificate in primarie e secondarie. Le cause primarie sono le emozioni distruttive: la rabbia, l'aggressività, la brama, l'odio, l'attaccamento, il desiderio, l'ignoranza, la pigrizia e la confusione mentale. Le cause secondarie sono quei fattori concomitanti quali una dieta e le abitudini di vita scorrette e i fattori climatici stagionali.
L'Energia
Nella MTT, il termine energia si riferisce all'energia dinamica che è all'origine di tutto l'esistente, microcosmo e macrocosmo compresi. A livello del corpo fisico è il principio vitale psicofisico.
L'energia è generata dall'interazione dei Cinque Elementi Spazio, Aria, Fuoco, Acqua e Terra.
La funzione basilare dello Spazio è la vacuità o la potenzialità, dalla quale sorgono tutti i fenomeni. L'elemento Aria produce il movimento, la crescita e lo sviluppo. La natura del Fuoco è la rapidità e il calore che inducono alla maturazione. Le funzioni dell'elemento Acqua sono la fluidità e la coesione, mentre quelle della Terra sono la solidità e la stabilità.
I cinque elementi possono essere raggruppati, in base alla loro natura, nei Tre Umori, o energie fisiologiche denoninate Vento, Bile e Flemma, che rispecchiano rispettivamente le qualità essenziali neutra, calda e fredda.
Tibet.
Umore
Elemento
Funzione
generale
Funzioni specifiche
Lung
Vento
Spazio
Aria
Movimento
Movimento
Attività mentale: facoltà di pensiero e ragionamento
Funzioni del sistema nervoso: interfaccia tra corpo e mente
Respirazione
Escrezione
Tripa
Bile
Fuoco
Calore
Regolazione del calore corporeo
Digestione e assimilazione
Funzione catabolica del metabolismo
Percezione della fame e della sete
Coraggio e determinazione
Vista
Badkan
Flemma
Terra
Acqua
Stabilità
Coesione
Formazione della struttura corporea
Funzione anabolica del metabolismo
Sistema linfatico
Pazienza e tolleranza
Sonno
La diagnosi nella Medicina Tradizionale Tibetana
Questa antica scienza medica naturale prevede tre metodi diagnostici:
L'osservazione (tib. lTa ba - guardare, osservare)
La palpazione (tib. Reg pa - toccare)
L'anamnesi (tib. Dri ba - porre domande, interrogare)
L'osservazione (tib. lTa ba)
Un'accurata osservazione include un'attenta valutazione della forma e del profilo del corpo del paziente, della sua carnagione, degli organi di senso, con particolare riguardo alle caratteristiche della lingua e all'esame delle urine, che è ritenuto il fattore di diagnosi più significativo e attendibile.
L'analisi dell'urina secondo la MTT
Nella MTT gli aspetti importanti da osservare nell'analisi dell'urina sono nove. I primi quattro aspetti che dovrebbero essere osservati quando l'urina è ancora calda e sono il colore subito dopo la minzione, il vapore, l'odore e la natura delle bolle.
Due sono invece gli aspetti che dovrebbero essere osservati nella fase di raffreddamento dell'urina: l'eventuale formazione di sedimenti e/o di tracce oleose che si raccolgono sulla sua superficie.
Durante la fase di raffreddamento dell'urina dovrebbero essere osservati: il tempo impiegato per cambiare di colore e per passare dallo stato caldo a quello freddo; il modo in cui cambia il colore e il colore che assume una volta che si è completamente raffreddata.
Ciascuna di queste caratteristiche dell'urina e i cambiamenti che avvengono con il passare del tempo forniscono informazioni su come i Tre Umori stanno influenzando il corpo e il suo metabolismo.
La palpazione (in tib. Reg pa)
Nella MTT, l'arte della palpazione (del toccare) comprende:
La lettura del polso - Pulsologia
La lettura del polso è un metodo di diagnosi molto importante e complesso largamente utilizzato dalla maggior parte delle medicine tradizionali orientali. Occorre specificare che l'arte della lettura del polso tibetana si differenzia da quelle delle altre medicine. Due sono i tipi principali di pulsologia: la lettura del polso per la definizione della tipologia costituzionale dell'individuo e la lettura del polso a scopo diagnostico
I punti bersaglio
Reg pa si riferisce inoltre alla pressione di punti specifici, lungo la colonna vertebrale e sulla testa, connessi ad organi e umori, al fine di individuare gli organi coinvolti e le relative problematiche
Anamnesi (in tib. Dri ba)
È il metodo attraverso il quale si raccolgono le informazioni relative alla situazione, come porre le domande e ascoltare il paziente, al fine di individuare i segni e i sintomi, di conoscere la dieta abituale e il suo comportamento, per identificare le possibili cause della malattia.
Tre sono i punti principali che devono essere ben chiariti durante l'anamnesi: i sintomi attuali lamentati dal paziente; il pensiero del paziente riguardante le possibili cause in relazione ai sintomi e come risponde quando interpellato su determinati tipi di alimenti e/o circostanze.
Le terapie nella Medicina Tradizionale Tibetana
I principali metodi di terapia nella Medicina Tradizionale Tibetana sono quattro: la dieta, lo stile di vita, le medicine e le terapie esterne.
La dieta
Secondo la Medicina Tibetana, ciascuna persona dovrebbe conoscere la propria tipologia umorale, per poter rispettare una dieta atta a mantenere il proprio equilibrio.
La dieta può essere prescritta per correggere differenti tipi di squilibrio, di natura calda o fredda, o per intervenire su una precisa patologia in relazione ai Tre Umori.
Esistono alcune linee-guida importanti che portano a migliorare il benessere e la vitalità: una dieta naturale, bilanciata sul piano nutrizionale, con basso contenuto di grassi e moderata assunzione di carne, priva di eccessi nel gusto (evitare cibi molto dolci, molto piccanti o molto salati o amari) e con un moderato consumo di alcol.
Nella vita moderna, i cibi pronti (fast-food) dall'alto contenuto di grassi, gli alimenti conservati (confetture, sottaceti, conserve ecc.) e le bevande confezionate dovrebbero essere evitati, specialmente durante gli anni della crescita, per prevenire il futuro insorgere di malattie.
Lo stile di vita
Per la Medicina Tibetana, uno stile di vita sano comporta una particolare attenzione alla qualità di ogni istante della nostra vita: il risveglio, il sonno, il pasto, lo stare seduti o il camminare, il lavoro e non riguarda unicamente il regolare esercizio fisico!
L'ambiente in cui si vive dovrebbe essere adeguato alla tipologia di ciascuna persona. In particolare, è importante vivere in equilibrio e in armonia con la natura. È essenziale respirare aria fresca, stare alla luce o in ambienti luminosi ed evitare di esporsi a temperature estreme, troppo calde o troppo fredde.
È importante che ciascuna persona trovi del tempo da dedicare ad attività come la meditazione, gli esercizi di respirazione e di yoga, al fine di ridurre lo stress fisico e mentale, che costituisce la causa di fondo di molte malattie.
Le medicine
La farmacopea tibetana utilizza erbe, piante e fiori selvatici in funzione delle loro proprietà terapeutiche, un'ampia varietà di sostanze minerali e un ridotto numero di sostanze derivate dagli animali. Molte di queste sostanze si trovano in tutta l'Asia, ma alcune erbe e alcuni minerali, specifici e particolarmente potenti, possono essere trovati unicamente negli altipiani del Tibet. L'ambiente naturale ancora intatto di questi territori fa sì che gli ingredienti della Materia Medica tibetana sono particolarmente puri.
La formulazione delle medicine nella farmacopea tibetana segue due principi-guida: i sapori e le potenzialità delle sostanze.
I medici esaminano i diversi sapori delle sostanze e compongono le medicine. Questo procedimento è noto come "composizione delle medicine secondo il sapore".
Ciascuna sostanza considerata dalla Materia Medica possiede una potenzialità terapeutica che è indipendente dal sapore e in base alla quale si formulano le medicine. Questo procedimento è la formulazione delle medicine secondo la loro potenzialità .
I medici tibetani continuano ancora oggi a preparare entrambi i tipi di medicine, attenendosi ai testi antichi e alle ricette di generazioni di medici.
La caratteristica tipica delle medicine tibetane è quella di contenere molti componenti diversi e di appartenere alla categoria dei rimedi cosiddetti a formula multicomposta. Un rimedio semplice può contenere 10 diverse sostanze, mentre una formula più complessa può contenerne anche 70. I rimedi possono presentarsi sotto forma di pillole, polveri, decotti, concentrati, creme o lozioni.
Le formule medicinali correntemente utilizzate sono circa 500. Queste formule, o rimedi, hanno la funzione di ristabilire l'equilibrio fra i tre Umori. Recenti studi scientifici oggi sono in grado di dimostrare l'efficacia di queste formule medicinali (vedi Padma AG Svizzera)
Le terapie esterne
La MTT descrive lo stato di salute fisica come il risultato dell'equilibrio fra i Tre Umori. Per ristabilire l'equilibrio di ciascuno dei Tre Umori possono essere impiegate le specifiche terapie corporee esterne.
La Medicina Tradizionale Tibetana include una ricca gamma di terapie esterne, ciascuna delle quali può essere applicata singolarmente o in associazione alle altre.
Massaggio - Ku Nye (tib. bsKu mNye)
Il Ku Nye, forma di massaggio terapeutico e parte integrante della medicina tradizionale tibetana, può essere impiegato per mantenere o per ristabilire l'equilibrio energetico. Prevede la pressione su specifici punti e meridiani e si avvale dell'uso di oli medicamentosi a base di spezie per il massaggio di tutto il corpo.
Agopuntura - Thuche (tib. Thur dPyad)
L'arte e la conoscenza dell'agopuntura tibetana era caduta in disuso da molto tempo. Tuttavia, grazie al lavoro di ricerca del Dott. Nida Chenagtsang si assiste oggi al ritorno di questa antica terapia. L'agopuntura tibetana differisce da quella cinese prevalentemente per l'uso di punti e di meridiani diversi.
Moxibustione o Moxa- Metsa (tib. Me bTsa)
La moxibustione è anch'essa una terapia molto antica che utilizza l'erba Artemisia Vulgaris per apportare calore su punti specifici o aree del corpo. Con la polvere di questa erba essiccata si preparano dei conetti o dei sigari, che vengono fatti bruciare sopra o vicino a punti specifici del corpo, al fine di apportare calore all'organismo. È una delle più importanti terapie esterne impiegate per la cura dei disturbi causati dall'eccessivo raffreddamento del corpo come la digestione lenta, una scarsa circolazione sanguigna e dolori dovuti all'umidità. Per ogni disturbo è indicata la moxibustione di punti specifici. Nella Medicina Tradizionale Tibetana esistono 20 tipi diversi di moxibustione, ciascuno dei quali utilizza materiali differenti per problematiche differenti, il che rende questa pratica terapeutica quasi unica nel suo genere.
Coppettazione - Mebum (tib. Me Bum)
La Medicina Tibetana impiega l'applicazione di coppette di rame su zone sofferenti per lenire il dolore e per trattare i blocchi energetici.
16 gen 2011
Un'altro problema frequente
Placca batterica
La placca batterica è un aggregato di germi che si deposita alle superfici dentali, restandovi strettamente congiunto, in modo da favorire lo sviluppo di alcune tra le più comuni patologie orali, quali la carie e i vari tipi di parodontopatie. Qualora, poi, si accumulino anche sali di calcio e di fosfati, la placca si può trasformare in tartaro. Dopo circa un quarto d'ora dall'ingestione di zuccheri, inizia la produzione di acido lattico, che, tra l’altro, agevola l'adesione batterica e il conseguente accumulo di placca. Se non rimossa, anche nei punti meno visibili, tramite i consueti metodi di pulizia dentale, la placca inizia a disgregare lo smalto tramite le sostanze chimiche da essa prodotte, l’acido lattico e la pirofosfatasi. In mancanza di intervento tempestivo di eliminazione, la componente proteica interprismatica dello smalto viene lentamente distrutta e ha inizio la carie, con tutte le conseguenze che ne possono derivare. La deposizione di sali di calcio, inoltre, può dar luogo alla formazione di tartaro.
UN PROBLEMA COMUNE
Tartaro
Il tartaro in odontoiatria consiste in un deposito che deriva dalla deposizione di sali di calcio, che, se non regolarmente e accuratamente rimossa, diventa di consistenza gradualmente sempre più dura, dapprima di natura caseosa, poi, cretosa, fino a presentarsi come un addensamento giallastro durissimo che non può essere rimosso con lo spazzolino ma solo con strumenti appositi; questi sono apparecchiature ad ultrasuoni, elettriche o, più semplicemente, attrezzi idonei a raschiare ed eliminare tali antiestetici addensamenti. I depositi di tartaro, formati dalla presenza di saliva, minuscoli frammenti di cibo, sali minerali, e placca, possono situarsi al di sopra del bordo gengivale oppure in sacche inferiori al bordo. L'ablazione del tartaro (o “detartrasi”) consiste nella rimozione meccanica dei depositi di tartaro sui denti utilizzando uno strumento odontoiatrico che raschia la formazione dai denti. L'operazione viene compiuta non solo sulla parte dei denti esposta, ma anche sulla porzione coperta dalle gengive, nella porzione in cui quest’ultime non aderiscono al dente.
15 gen 2011
Musica 'mima' effetti di sesso e cibo, più dopamina nel cervello
Roma, (Adnkronos Salute) - Chi ama la musica può confermarlo: un brano può stimolare emozioni fortissime e dare la pelle d'oca. Ora gli scienziati hanno capito perché: quando ascoltiamo una canzone, il nostro cervello 'risponde' attivandosi esattamente come quando gustiamo del cibo delizioso, ci scambiamo effusioni con il nostro partner o spendiamo del denaro. Lo ha scoperto uno studio della McGill University di Montreal, in Canada, pubblicato sulla rivista 'Nature Neuroscience'. Le esperienze piacevoli a cui fanno riferimento gli esperti si riconducono tutte a un meccanismo cerebrale ben preciso, dunque, anche se si tratta di attività diverse: il rilascio di una sostanza, la dopamina, che dona un forte senso di soddisfazione. Al ristorante, con davanti una pietanza prelibata. Sotto le lenzuola con il proprio partner o all'uscita di un negozio con in mano i nostri acquisti. E anche con lo stereo acceso ad alto volume, ascoltando la nostra musica preferita: il processo innescato nel nostro cervello è lo stesso. E l'effetto sul fisico anche: aumentano il ritmo respiratorio, il numero di battiti cardiaci e la temperatura corporea. Il merito della nuova ricerca è appunto di aver mostrato, utilizzando la risonanza magnetica, che i livelli di dopamina aumentano anche quando una persona ascolta un brano che le sta a cuore. Durante il picco emozionale, si attivano proprio le regioni del cervello collegate con il piacere e il rilascio di dopamina. "Se la musica è in grado di indurre stati emotivi che portano al rilascio di dopamina, come i nostri risultati indicano - sottolineano gli studiosi - possiamo finalmente spiegare perché le esperienze musicali sono così apprezzate da molte persone e sono anche impiegate per provocare emozioni nelle pubblicità o nei film. E' la prova che l'intensa risposta neurochimica alla musica coinvolge circuiti di ricompensa 'antichi', e i dati serviranno da punto di partenza per studi più dettagliati sul tema delle forme astratte di piacere".
14 gen 2011
ANGELICA ANGELICA
Nome botanico latino: Angelica Arcangelica L. detta Archangelica officinalis Hoffm.
Famiglia botanica: Ombrellifere, Paucedacee, Angelicee
Significato del nome. Angelica dal greco anghelos, cioè angelo annunziatore, pianta venuta dal cielo. Arcangelica, dal credo arco = il primo, il capo: pianta dell’Arcangelo. Secondo altri vorrebbe dire: pianta che supera, per le sue virtù medicinali, all’Angelica.
Nomi internazionali: It.: Arcangelica. Fr.: Archangélique officinale. Ingl.: Angelica. Ted.: Echte Engelwurz. Sp.: Arcangelica silvestre.
Nomi dialettali. Angelica di Boemia, Angelica domestica, Erba degli angeli, Ceciel, Bragosse selvadeghe, Angelica odorata, Mala erba, Angelica.
Descrizione botanica. E’ una grande pianta coltivata o spontanea, erbacea, biennale, alta. Arriva a oltre un metro e mezzo. Radice tuberosa o fusiforme, lunga, brunastra, rugosa, fibrosa, anellata, carnosa e biancastra nell’interno. Caule eretto, striato, cilindrico, succulento e ramificato. Foglie alterne, a segmenti sub-cordati, bipennatosette, lobati, con il margine dentellato; ha le terminali con 3 lobi. Picciuolo fistoloso, cilindrico, con la guaina abbracciante e dilatata. I fiori dell’Arcangelica sono di un verde gialliccio, raccolti in ombrelle terminali subglobose e composte. Involucro eguagliante l’ombrella, a 3-5 foglioline. Involucretto fatto di 8 foglioline lineari e subulate. Cinque denti per il calice. Cinque petali, ellittici, acuminati, interi, curvi all’interno. Ovario infero. Il diachenio (frutto) ovoide, piuttosto compresso. Carpelli a 5 coste, carenati; largamente alati i due laterali. Due semi biancastri, convessi sul dorso, liberi nel pericarpio.
Dove si trova. La sua origine botanica è dell’Europa settentrionale, ma naturalizzata e cresce spontanea nei luoghi incolti, nei campi, prati, lungo gli argini, le strade, nelle zone montane inferiori dell’Europa meridionale e della Russia centrale. Si trova lungo i fiumi e nei terreni paludosi e umidi. Asia del Nord. Si coltiva in Germania, Francia, sulle rive del Dnieper, in Scandinavia e in Siberia.
Parti usate. Le radici.
Fioritura. Giugno-agosto, fiori verde-gialliccio.
Tempo balsamico o della raccolta. Autunno, settembre.
Corrispondenza astrologica. Sole, Leone, Cancro.
Composizione chimica. Acidi angelico e valerianico, tannino, zucchero, gomma, un olio essenziale che contiene fellandrene (terebangilene), gli acidi metiletilacetico, ossipentadecilico e ossimiristico; una resina costituita da ombelliferone e acido pirocatechico, oltre il fellandrene e diverse cumarine, un lattone.
Azione farmacodinamica. Antiacida, antiputrida, aromatica, bechica, carminativa, diuretica, emocinetica, espettorante, sedativa bronchiale, spasmolitica, tonica.
Applicazioni terapeutiche. Alito fetido, bronchite cronica, dispepsia nervosa, enteronevrosi, fermentazioni putride, indigestioni, ipercloridria, isterismo, meteorismo, oliguria, pirosi, spasmi esofagei e gastrointestinali. Vien consigliata nella clorosi, la leucorrea, nell’anoressia di origine psichica. Entra nella composizione di diversi liquori da dessert: chartreuse, il bénédictine, il ponee. Come emmenagogo promuove i mestrui ed è un buon vermifugo. Non bisogna confondere l’Angelica Arcangelica con l’Angelica silvestris, somigliante, ma meno aromatica e ricercata, con un succo acre e non aromatico, come quello dell’Arcangelica, ma ugualmente dotata degli stessi principi attivi medicamentosi. Qualche studioso sostiene che masticare la radice di Arcangelica si assicura la longevità.
Preparazioni e dosi.
Infuso delle radici: 20 gr. di radici per litro di acqua, riposo 25 minuti. Bere 4-5 cucchiai al giorno.
Infuso dei semi: 5 gr. per 100 di acqua bollente.
Polvere di radici o dei semi: 1-3 grammi alla volta in ostia.
Decotto: radice gr.3, acqua 100, bollire 8 minuti. Dose: 1-2 tazze.
Infuso di foglie: come pettorale e depurativo.
In polvere si usa la radice ed i semi, l’infusione si addice alle foglie e steli. I semi si usano come vermifughi.
Estratto fluido: 30-60 gocce (1 gr. = 53 gocce), 3-4 volte al giorno.
Tintura: 20 gr. d’estratto in 80 gr. d’alcool a 60°: 2-4 cucchiaini prima dei pasti.
Avvertimento. Questa pianta sia raccolta guidati da un esperto, perché può essere scambiata con la velenosissima Cicuta. E con altre piante consimili.
RADICE DELLO SPIRITO SANTO
I medici del Rinascimento soprannominarono la pianta Angelica “radice dello Spirito Santo” per le sue divine proprietà di curare le malattie più gravi. Gli esorcisti e i magi si servivano di un ramo di Angelica Arcangelica per liberare i fatturati, uomini o bestie e per spezzare gli incantesimi.
Paracelso, medico e grande ermetista (1490-1541) narra che, durante la peste del 1510, numerosi milanesi si salvarono per aver fatto bere a essi della polvere di Angelica nel vino. Non è tutto. I Lapponi aveva l’usanza di mettere sulla loro testa una corona di Angelica, quando cercavano l’ispirazione. Erba meravigliosa per eliminare l’agitazione, la depressione, i mal di capo, l’anemia, l’asma, l’influenza virale, le cattive digestioni. Essa si trova spontanea e si coltiva in Italia e in tutta l’Europa, specialmente nel nord, ma è abbondante in Scandinavia e in Siberia. Ne ho trovati molti esemplari in Groenlandia durante un mio viaggio al Polo Nord.
Si chiama Angelica Arcangelica, perché considerata una pianta venuta dal cielo, dagli angeli. Fiorisce fra giugno e agosto ed i suoi fiori sono verde-gialliccio. Il tempo balsamico o della raccolta è l’autunno. La sua potenza terapeutica è maggiore quando domina il Sole, il Leone, il Cancro e Venere. Ma per usufruire di questi rapporti astrologici bisogna conoscere un pochino di astrologia pratica, anche perché esistono dei tempi astronomici più favorevoli per ricevere tutta la forza di questo dono di Dio.
L’Angelica Arcangelica entra nella composizione di molti liquori dei frati benedettini. L’infuso delle radici si prende in ragione di due grammi per cento di acqua bollente, riposo 25 minuti, sorbendone cinque cucchiai al giorno. Se ne fa un distillato quando Venere è buon aspetto al Sole per normalizzare le donne nella menopausa o impedite nei loro cicli
Tratto Grande Erbario Medicinale
di Tommaso Palamidessi
13 gen 2011
BIOLOGIA E POLITICA
Sei di destra o di sinistra?
Lo rivela uno sguardo
Studio: i progressisti spostano l'attenzione nella direzione suggerita dall'interlocutore, a differenza dei conservatori
BIOLOGIA E POLITICA
Sei di destra o di sinistra?
Lo rivela uno sguardo
Studio: i progressisti spostano l'attenzione nella direzione suggerita dall'interlocutore, a differenza dei conservatori
(Corbis)
MILANO - Per capire se chi abbiamo davanti condivide le nostre idee politiche potrebbe bastare un semplice test: provate a osservare dove va il suo sguardo se voi appuntate l'attenzione altrove. Se chi vi sta di fronte guarda quello che osservano i vostri occhi, molto probabilmente è di sinistra; chi continua a fissare voi, è verosimilmente di destra.
STUDIO - Progressisti e conservatori "vedono" il mondo in modo diverso, si sa; ora alcuni psicologi dell'università del Nebraska, sulla rivista Attention, Perception and Psychophysics, ci spiegano che l'inclinazione politica ha davvero parecchio a che fare con il modo di guardare gli altri. L'esperimento per dimostrarlo ha coinvolto 72 volontari messi di fronte a uno schermo di computer bianco con una piccola croce nera al centro; questa spariva e al suo posto compariva un viso con gli occhi che guardavano a destra o a sinistra; infine, a destra o a sinistra del volto appariva un piccolo cerchio e il volontario doveva a questo punto premere un tasto sul computer. La direzione dello sguardo del viso non era correlata al luogo dove sarebbe poi apparso il cerchietto, per cui non c'era motivo di seguire lo sguardo della faccia riprodotta sullo schermo. «Nonostante ciò l'istinto porta a non ignorare questo elemento - dice Michael Dodd, responsabile della ricerca -. Confrontando dove si dirigeva lo sguardo dei volontari con le loro ideologie politiche, indagate attraverso specifici questionari, ci siamo accorti che c'è però una differenza nelle reazioni di liberali e conservatori».
SGUARDO - Ebbene, chi era di sinistra guardava invariabilmente nella direzione dello sguardo del viso sul computer, le persone di destra invece non lo facevano mai, erano insomma immuni ai suggerimenti dello sguardo altrui. L'ovvia domanda è: perché? «Forse il gran valore che i conservatori danno all'autonomia personale li rende meno influenzabili dagli altri, e quindi anche meno tendenti a rispondere a questo tipo di stimolo visivo; i liberal di solito tengono in maggior considerazione le istanze altrui, e forse per questo seguono di più lo sguardo dell'interlocutore», ipotizza Dodds. Il suo collega, lo psicologo Kevin Smith, ha aggiunto: «Questi dati sembrano dimostrare una volta di più che liberal e conservatori vedono il mondo e valutano le informazioni dall'esterno in modo diverso. Capire perché potrebbe aiutarci a comprendere le radici dei conflitti politici». Dalle nostre parti ce ne sarebbe sicuramente bisogno, visti i toni accesi dei dibattiti; va detto però che i risultati degli americani potrebbero non essere esattamente esportabili in Italia, perché i concetti di conservatore e liberal non sono sovrapponibili alle nostre destra e sinistra (negli Stati Uniti è liberal chi crede soprattutto nel principio di uguaglianza, mentre i conservatori hanno come guida il principio di libertà).
BIOLOGIA - Differenze a parte, il dato interessante è anche il "peso" della biologia nella politica: non sono solo le forze ambientali a influenzare il credo politico, ma probabilmente anche fattori biologici e cognitivi (ma non si sa ancora indicare con precisione quali siano). Non è la prima volta che lo si ipotizza: qualche tempo fa una ricerca statunitense simile a quella appena pubblicata ha dimostrato che chi è molto toccato da immagini paurose o minacciose è più portato a sostenere l'uso delle armi, la pena capitale e la guerra in Iraq. Siamo allora biologicamente destinati a essere di destra o di sinistra? La certezza per ora non c'è. E chissà se verificarlo aiuti a stemperare i toni del dibattito politico o, al contrario, non finisca per offrire un argomento in più per denigrare chi la pensa in modo diverso.
Elena Meli
12 gennaio 2011
© RIPRODUZIONE RISERVATA
11 gen 2011
C'è una chimica della tristezza
Le lacrime non sono tutte uguali, quelle versate quando siamo tristi potrebbero contenere dei composti chimici che veicolano messaggi emotivi fino al naso di chi ci guarda piangere, per segnalare la nostra tristezza (o magari una situazione di pericolo, o ancora dolore fisico e non); potrebbero nascondere messaggeri chimici vestigia di un linguaggio non verbale che viene dal passato.
E' quanto dimostra un curioso esperimento pubblicato sulla rivista Science condotto da Noam Sobel del Dipartimento di Neurobiologia del Weizmann Institute of Science a Rehovot in Israele. Gli sperimentatori hanno fatto annusare a un gruppo di 24 uomini le lacrime di donne che si erano commosse di fronte a un film triste e poi (per confronto) gli hanno messo sotto al naso una soluzione salina artificiale simile alle lacrime.
E' emerso che i maschi, pur non distinguendo all'olfatto alcuna differenza tra lacrime e soluzione artificiale, vengono influenzati dalle lacrime, infatti il solo ''sniffarle'' riduce la loro 'mascolinita'' abbassando i livelli di testosterone nella saliva e ne diminuisce il grado di eccitazione fisiologica di fronte a foto di donne attraenti. 6 gennaio 2011
10 gen 2011
LA SINDROME DI RETT E LA CURA CON I PROFUMI
Studio di stimolazione sensoriale a Santa Maria alle Scotte
SIENA - Odorare i profumi per facilitare la stimolazione sensoriale nei soggetti colpiti da sindrome di Rett, malattia con grave compromissione dell’acquisizione del linguaggio e delle funzioni motorie. Su questo percorso si base il primo studio del genere in Italia, condotto al Policlinico Santa Maria alle Scotte.
Mettendo a confronto soggetti sani e pazienti, sorpresa hanno creato i risultati opposti ottenuti. Ciò che piace ai secondi non piace invece ai primi e viceversa. Alle persone sono state sottoposte cinque diverse fragranze:essenza marina tenue,essenza muschiata acre,fragranza fruttata dolce, essenza selvatica ed essenza speziata e agrumata.
Risultato: I soggetti sani hanno dato un voto da 1 a 10.L’altro gruppo, al contrario, ha reagito con rilassamento o repulsione, però nessuno è rimasto indifferente agli stimoli proposti. La ricerca – secondo gli esperti –verrà allargata anche ai casi di autismo, per verificare meglio la loro interazione con gli stimoli esterni.
L’obiettivo, hanno concluso,è individuare metodi di comunicazione alternativa per poter consentire ai pazienti di potersi esprimere attraverso i sensi, con canali differenti da quelli classici.
GIAN UGO BERTI
(riproduzione vietata)
SINDROME DI RETT
La sindrome di Rett (abbreviato RTT o RS) è un debilitante disordine neurologico dello sviluppo, che si manifesta nella prima infanzia e colpisce quasi esclusivamente le bambine.
E’ una malattia genetica ed è presente in tutto il mondo con una incidenza media stimata di 1:10.000 / 15.000 bambine nate.
La RTTè la seconda causa di ritardo mentale femminile spesso erroneamente diagnosticata come autismo o un non specificato ritardo dello sviluppo.
La storia
La sindrome di Rett prende il suo nome dal Dr Andreas Rett, un neurologo austriaco chenel 1966, per primo ha identificato la sindrome, dalla semplice osservazione di alcuni sintomi comuni ad alcune bambine da lui visitate.
I suoi articoli scientifici, scritti in lingua tedesca,furono ignorati per molti anni, e solo nel 1982 la comunità scientifica internazionale, viene a conoscenza della sindrome di Rett, grazie alla pubblicazione scientifica in lingua inglese del neurologo svedese Bengt Hagberg, che descrive in maniera dettagliata i sintomi tipici della malattia.
Per diversi anni, la comunità scientifica internazionale non riesce a individuare la causa della sindrome di Rett.
La causa
Nel 1999 una ricercatrice del team della Dott.ssa Huda Zoghby dell'Howard Hughes Medical Institute e del Baylor College of Medicine di Houston, ha identificato la causa della sindrome di Rett in un difetto del gene MEPC2 sul cromosoma X.
I sintomi
Le bimbe con la Sindrome di Rett nascono sane e hanno uno sviluppo normale sino ai 6 / 18 mesi di età.
La malattia si manifesta in un primo momento con il rallentamento e la stagnazione di abilità già acquisite, poi subentra un periodo di regressione in cuile bambine perdono le capacità comunicative, con atteggiamenti di isolamento e chiusura sociale.
Perdono l’uso volontario delle mani e subentrano movimenti ripetitivi e stereotipati.
Si evidenziano problemi di deambulazione e un rallentamento della crescita della circonferenza cranica. Alcune bimbe sviluppano crisi epilettiche, sono irritabili e hanno spesso problemi respiratori.
La disabilità
Si possono riscontrare diversi gradi di disabilità in bambine colpite da sindrome di Rett.
In generale gli aspetti più invalidanti della sindrome di Rett, sono l’aprassia, ossia l’incapacità del corpo di eseguire movimenti volontari, l’incapacitàdi parlare e comunicare, associato ad un grave deficit psicomotorio e cognitivo.
La diagnosi
La sindrome di Rett è stata spesso diagnosticata come autismo, paralisi celebrale o come un non ben specifico ritardo dello sviluppo.
La prima diagnosidi sindrome di Rett viene presa in considerazione dopo aver scartato tutta una serie di altre patologie, ed è in base ai sintomi osservati che viene ipotizzata.
Ora con il test genetico di ricerca della mutazione del gene MECP2, la diagnosi può essere più facilmente confermata.
La diagnosi molecolare per accertare la RTT è basata sul sequenziamento del DNA di MECP2, e si effettua a partire da un semplice prelievo venoso.
A tutt’oggi però, risultano positivi al test l’85% dei pazienti diagnosticati con sindrome di Rett, questo non significa che il restante 15% non abbia la sindrome, è possibile che la mutazione si trovi in un area del gene MECP2 che non è ancora stata sequenziata o che sia dovuta ad altri geni coinvolti nella sindrome. In un numero ridotto di casi la RTTè dovuta ad alterazioni in CDKL5, un gene spesso coinvolto in casi di spasmi infantili associati a ritardo mentale.
Principali criteri di diagnosi
Sono necessaritutti i seguenti criteriper diagnosticare la sindrome di Rett:
Sviluppo apparentemente normale fino ai 6-18 mesi di età.
Circonferenza cranica normale alla nascita, seguita da un rallentamento nella crescita fino ai 4 anni.
Gravi disfunzioni del linguaggio.
Perdita dell’uso volontario delle mani, sostituito da stereotipie che includono una moltitudine di movimenti involontari e ripetitivi, quali sfregare, battere, lavare, portare le mani alla bocca.
Ritardo intellettivo.
Instabilità di mantenere la posizione eretta.
Se è mantenuto il cammino, il passo è insicuro, a gambe rigide e allargate o sulla punta dei piedi.
Altri criteri di supporto alla diagnosi
Possono essere presenti o verificarsi nel tempo ulteriori sintomi e complicazioni, quali:
Anormalità nell' EEG (elettroencefalogramma).
Crisi epilettiche o simil-epilettiche.
Irregolarità del respiro che include iperventilazione, apnea e tendenza ad ingoiare aria.
Scoliosi o cifosi.
Problemi gastro-intestinali che possono includere reflusso, cattiva assimilazione del cibo, tendenza a essere sottopeso e stitichezza.
Disturbi del sonno.
Tendenza alle malattie respiratorie.
Ritardo nella crescita e calo della massa muscolare.
Difficoltà a masticare, mordere e inghiottire.
Cattiva circolazione del sangue agli arti inferiori.
Bruxismo (digrignamento dei denti).
Irritabilità e agitazione.
Rigidità muscolare, spasticità, contratture alle giunture.
Piedi piccoli rispetto alla statura.
Riduzione della mobilità con l'età.
Le fasi della sindrome di Rett.
In linee generali la sindrome di Rett ha una evoluzione, che si può delineare in quattro fasi.
La schematizzazione di queste fasi serve solo per comprendere a grandi linee il decorso della patologia. Le fasi sono variabili sia come tempi, che come sintomie gravità da bambina a bambina.
La prima fase
Ha inizio tra i 6-18 mesi, e dura alcuni mesi, si caratterizza con un rallentamento dello sviluppo psicomotorio e un rallentamento dell’accrescimento della circonferenza cranica.
La bambina dimostra una perdita di interesse verso le persone e l’ambiente circostante.
La seconda fase
Inizia tra il 1° e il 4° anno di età, può durare da poche settimane a diversi mesi.
E’ caratterizzatada una regressione e una perdita delle capacità acquisite.
La bambina si isola sempre più, ha caratteristiche autistiche e presenta un ritardo dal punto di vista cognitivo. Si assiste ad una perdita del linguaggio fin’ora acquisito, a una perdita dell’uso funzionale delle mani, a cui subentrano stereotipie (hand-washing, clapping e mouthing)
La deambulazione diventa instabile accompagnata da movimenti bruschi e scatti involontari.
In questa fase è evidente l’aprassia ovvero l’ incapacità di coordinare i movimenti.
Possono subentrare altri sintomi collegati alla malattia:
anormalità respiratorie (apnee e iperventilazione), bruxismo (digrignamento dei denti), un ridotto peso corporeo causato dalla difficoltà di masticare, ingerire e assimilare cibo,stitichezza, difficoltà nell’acquisire un regolare ritmo del sonno, frequente agitazione ed irritabilità.
La terza fase
Inizia dai 3 - 4 anni fino ai 10, segue la fase della regressione e la situazione generale della bambina diventa più stabile.
Le bambine migliorano nel rapporto emotivo con le persone e l’ambiente circostante, diminuiscono isintomi autistici, migliorano il loro contatto visivo e sono meno irritabili.
Il loro livello di attenzione e le loro abilità comunicative migliorano nettamente.
In questa fase, possono intervenire altri sintomi dovuti alla malattia, che deteriorano lentamentele capacità grosso motorie della bambina, quali l’aprassia ovvero l’incapacità di coordinare i movimenti spesso associata a una curvatura della spina dorsale (scoliosi o cifosi).
In questa fase, spesso subentrano crisi epilettiche o simil-epilettiche.
La quarta fase
Inizia dopo i 10 anni ed è caratterizzata da un miglioramento dello stato emotivo e relazionale, ma anche da una riduzione della mobilità. In questa fase c’è un peggioramento delle abilità grosso-motorie, aumenta l’atrofia, la spasticità e la scoliosi contribuiscono alla perdita delle abilità del movimento.
Di positivo c’è che non ci sono ulteriori perdite cognitive, di comunicazione e di abilità manuali fin’ora acquisite.
I movimenti stereotipati delle mani si riducono come frequenza ed intensità. In questa fase le ragazze con la sindrome di Rett hanno maturato un buon contatto visivo e vivono un sereno contatto emotivo.
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